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  Dicembre 2012

Articoli n° 03
APRILE 2009
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Industria alimentare Com’È cambiato lo scenario di competizione globale

di Raffaella Venerando

Senesi: «I nostri prodotti sono richiesti sui mercati non per le materie prime, ma per le ricette, la cultura, il lavoro degli imprenditori nazionali che hanno fatto dello stile di vita italiano un “plus” nel mondo»


«In un momento critico come quello che stiamo vivendo, la trasformazione alimentare del Paese non può farsi carico di oneri aggiuntivi pesanti, come quelli legati alla indicazione dell’origine geografica delle materie prime utilizzate»

intervista:

Francesco Senesi,
Presidente Giovani Imprenditori Federalimentare


Presidente, che momento vive l’industria alimentare italiana?

Il settore alimentare ha bisogno in questa fase di un forte sostegno promozionale all’export, per recuperare gap strutturali che vengono da lontano. Proprio le aziende più orientate all’esportazione rischiano infatti di andare incontro nel 2009 alle flessioni di produzione più marcate, in quanto i mercati esteri presenteranno contrazioni accentuate rispetto alle ulteriori, marginali erosioni che riserverà il mercato interno. Sul mercato nazionale occorrerà inoltre razionalizzare e rendere trasparenti i rapporti con la distribuzione per tutelare maggiormente i nostri consumatori. Una fase di difficoltà economica generalizzata e quasi emergenziale come quella presente deve essere utilizzata per rendere più corretti i rapporti di filiera, trasferendo sul consumatore i vantaggi di prezzo e qualità ottenuti dalla distribuzione moderna.
La nuova disciplina sull'etichettatura penalizzerà o aiuterà le imprese italiane?
Specialmente in un momento critico come quello presente, la trasformazione alimentare del Paese non può farsi carico di oneri aggiuntivi pesanti, come quelli legati alla indicazione dell’origine geografica delle materie prime utilizzate. Per un settore fisiologicamente e largamente legato alle importazioni, e che è già sottoposto a garanzie igienico-sanitarie esemplari, queste misure di matrice solo nazionale risultano discriminanti e penalizzanti nella gestione delle aziende, onerose e senza concreti vantaggi per il consumatore. Il Made in Italy alimentare inoltre è diventato così richiesto sui mercati, non per le materie prime, ma per le ricette, la cultura, il lavoro degli imprenditori nazionali che hanno fatto dello stile di vita italiano un “plus” nel mondo. Sarebbe come chiedere alla moda la provenienza della seta e del cotone, o al metalmeccanico l’origine dei metalli o dell’alluminio. Ricordiamoci che la disponibilità a pagare l’italianità delle materie prime, sempre se in quantità e qualità sufficienti, non supera il 3,5% del valore finale del bene, a differenza dei costi di segregazione, certificazione e informazione dell’origine che possono superare in alcuni casi il 15-20% del valore.
Quali misure ritiene siano più urgenti per restituire competitività alle aziende del settore?
L’impresa alimentare, così come tutte le altre, per crescere e svilupparsi ha bisogno di un ambiente di regole favorevoli e di chiarezza e trasparenza dei rapporti competitivi. Il dibattito in Italia non solo non aiuta le imprese a crescere ma addirittura tende ad imporre vincoli ulteriori e costi aggiuntivi. Basterebbe andare all’estero, e tutti noi ci andiamo, per vedere come l’ancoraggio europeo prevale sulle fantasie protezionistiche degli stakeholder nostrani. Oltre alle regole più semplici, più chiare per tutti, in Italia andrebbe favorito chi realizza efficienza e coordinamento. Abbiamo una costituzione bella e complessa, un federalismo ancora non attuato coerentemente, e troppe sovrapposizioni fra enti, regioni, autonomie locali e istituzioni varie. Questo vale per la promozione all’export, dai comuni alle camere di commercio, passando per province, regioni e stato. Questo vale per la sicurezza alimentare: dalle singole ASL, Ispettorati ecc. fino all’EFSA di Parma e alla Commissione Europea. Questo vale per le tematiche ambientali: dalle autorizzazioni comunali fino alla IPPC europea. Questo vale per la disciplina commerciale, dal piccolo dettaglio locale fino alle grandi catene europee e mondiali. Probabilmente andrebbe istituito un premio a quell’ente che riesce a coordinare gli altri! E come ben potete immaginare noi Giovani Imprenditori coltiviamo sempre l’auspicio che il livello di coordinamento sia il più alto possibile quindi a livello statale o europeo. Nel caso della finanza, come abbiamo visto, le regole vanno stabilite a livello globale (Fondo Monetario e Vigilanza).
Il territorio invece cosa può fare?
Il territorio può innestarsi, come sta facendo brillantemente in alcune regioni anche del sud, nella dimensione globale, dando identità ai nostri prodotti, vestendo il made in Italy, sfruttando il patrimonio delle nostre diversità. Infatti un ragionamento a parte merita, come abbiamo visto dalle ricerche presentate nel corso del VI Forum "Coltivare l'impresa. Nuovi scenari di competizione globale" svoltosi il 20 e il 21 marzo presso la Masseria San Domenico di Savelletri di Fasano (Brindisi), l’immagine del nostro made in Italy. Non illudiamoci, è una carta da giocare e ce la stiamo giocando, con tutte le esperienze che ci hanno visto protagonisti come Italia Insieme, ma non tutto il mondo vive la competizione solo sulla qualità. Esistono la logistica, la finanza, i prezzi relativi, la rotazione dello scaffale e su tutte queste variabili il nostro made in Italy vive delle debolezze. Per fare massa critica e innovare ci vuole uno sforzo per migliorare la formazione, insistere sulla ricerca e sulla dimensione di impresa, tutte cose ancora insufficienti in Italia.
La rappresentanza è un tema centrale nelle attività dei Giovani Imprenditori.
I cittadini e gli operatori economici possono anche semplificare il rapporto con le istituzioni attraverso i media, gli annunci, il cosiddetto decisionismo. Ma alcune materie e anche la società stessa mantengono una loro complessità. Si pensi solo alle diverse interprofessioni o alle diverse filiere produttive, e questa complessità è irriducibile a un rapporto diretto. Bisogna catalizzare il consenso, far maturare le decisioni sia dei cittadini - pensate al caso Englaro ad esempio - che degli operatori economici - pensate alla decisione di affidare ai prefetti gli osservatori locali sul credito. Questo processo di maturazione del consenso e di definizione delle posizioni collettive richiede un’azione di rappresentanza da parte dei soggetti intermedi, come le organizzazioni sindacali, le associazioni dell’agricoltura, dell’industria e del commercio, come le confederazioni artigianali e quelle cooperative. Gli stessi consumatori si stanno confrontando con un deficit organizzativo e una moltiplicazione della rappresentanza. L’economia e il territorio, gli investimenti pubblici, l’innovazione sociale e produttiva non possono camminare né essere governate senza i soggetti intermedi della rappresentanza. Perfino la politica si sta dimostrando sensibile alla sua funzione di intermediazione delle esigenza collettive attraverso dei partiti reali, concreti e radicati sul territorio, come lo erano una volta. Anche per noi Giovani e per l’Industria alimentare allora bisogna essere vicini al sistema associativo, a Federalimentare e a Confindustria, perché il ruolo di rappresentanza dei nostri legittimi interessi possa sempre più rinforzarsi e continuare nel suo cammino di autorevolezza e credibilità istituzionale.

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