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  Dicembre 2012

Articoli n° 03
APRILE 2009
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L’Impairment Test sull’Avviamento: nuovo obiettivo della guerra alla crisi

Crolla il mito della sua infallibilità

Marco Fiorentino
Dottore Commercialista
marcofiorentino@studiofiorentino.com

Uno degli argomenti che sta emergendo nella discussione sulle ragioni della crisi economica mondiale è l’inadeguatezza del principio contabile relativo all’Impairment Test sull’avviamento a gestire i bilanci nelle bufere finanziarie.
È troppo rigido, è stato detto. Come pure, è stato affermato che è tecnicamente in grado di rovinare le imprese. In sintesi, uno strumento concepito per tutelare il patrimonio aziendale, in realtà, in scenari di crisi lo distrugge.
Le osservazioni appaiono fondate, anche se, per la verità, occorre ricordare che molte delle imprese che oggi lamentano depauperamenti del loro intangible, sono le stesse che nel passato, all’atto dell’adozione dei criteri IAS (di cui l’Impairment è l’elemento caratterizzante), hanno avuto benefici, grazie, sia all’andamento favorevole dell’economia (che ha evitato rettifiche negative), che agli effetti tecnici della cosidetta “First Time Adoption” (che ha consentito, in sostanza, il ripristino di valori già ammortizzati).
Benefici che, peraltro, non poco hanno pesato sui corsi dei titoli, sui dividendi e persino sui famigerati bonus ai manager.
Verrebbe perciò da dire che, per equità, non dovrebbe essere preso alcun provvedimento: se prima si sono avuti i vantaggi, adesso si prendono gli svantaggi.
Ovviamente, la gravità degli effetti della crisi ha già sconsigliato tale approccio e suggerisce invece qualche riflessione di fondo.
Lo IASB (massimo organismo mondiale sui principi contabili) e il Governo italiano hanno già adottato qualche provvedimento, allo scopo di depotenziare gli effetti distorsivi di talune regole contabili, ma purtroppo non sul tema in specie (sugli attivi finanziari non immobilizzati).
Per contro, sull’Impairment Test, oggi si sta solo cercando di suggerirne applicazioni migliori, consigliando l’abbandono delle tecniche basate sul fair value (valore di mercato), che in momenti come questi apparirebbe del tutto fuorviante, e la scelta del criterio più mite del valore d’uso. Tuttavia, a mio vedere, tale sforzo appare inefficace.
Ciò in quanto, anche il valore d’uso soffre i limiti della congiuntura. Esso viene infatti determinato attualizzando flussi di utili attesi. E chi oggi è in grado di elaborare un’analisi finanziaria prospettica, senza tener conto del trend negativo e al tempo stesso senza incorrere in presunzioni, incertezze o peggio, nell’aleatorietà?
Pertanto, se il fair value non è giustamente percorribile e il valore d’uso, nella migliore delle ipotesi, è una stima troppo aleatoria, dobbiamo concludere che l’Impairment Test sull’avviamento così come oggi concepito, nei periodi di crisi va in corto circuito a danno dell’impresa.
Ma paradossalmente tale corto circuito non deriva dagli imprevisti della crisi, ma sta più a monte. Non può più ragionevolmente ritenersi che l’avviamento sia giustificabile solo ed esclusivamente se esista un mercato che lo valuti ovvero un piano pluriennale che evidenzi flussi di utili.
Prima di capire come valutare correttamente l’avviamento, occorre stabilire cosa veramente tale voce rappresenti.
Appare necessario cioè ripensarne la definizione, liberarla dal recinto quantitativo nel quale è stato rinchiuso e arricchirlo di nuovo delle sue componenti qualitative, talvolta esoaziendali, e per questo non misurabili solo attraverso sofisticate formule di matematica finanziaria. Occorrerebbe nel concreto, ritornare al concetto del prezzo pagato quale giustificazione intrinseca del valore in bilancio, da sottoporre semplicemente ad un ammortamento ragionevole su base pluriennale (10 anni).
Così operando, forse si perderà un po’ di elegante technicality di bilancio, certamente le imprese non avranno i piccoli vantaggi dell’Impairment positivo durante cicli economici crescenti, ma di contro si eviterà di portare i libri in tribunale nei momenti di crisi.

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