I dettagli di un caso “mediatico” che ha fatto discutere
Il lavoratore,
assente per malattia,
deve evitare qualsiasi attività che possa anche solo potenzialmente pregiudicare la ripresa
del lavoro
Massimo AMBRON Avvocato massimo.ambron@libero.it Lascia riflettere una recente sentenza della Corte di Cassazione Sezione Lavoro, precisamente la n. 5106 del 27 febbraio 2008, che, chiamata a decidere su una questione molto delicata in tema di licenziamento, non fornisce sufficienti motivazioni al deliberato, lasciando così spazi di critica.
Il fatto: una lavoratrice, pur assente per malattia, aveva partecipato ad un programma televisivo, sobbarcandosi un viaggio in treno, senza preavvisare l’azienda, che, venutane a conoscenza, la licenziò.
Sia in via cautelare sia nel giudizio di merito, i Giudici riconobbero la legittimità del licenziamento; in sede di Appello la sentenza fu riformata ed accolto il ricorso, in quanto, a parere della Corte, la lavoratrice aveva comprovato con idonea certificazione lo stato di malattia, aveva ripreso il lavoro senza colpevoli ritardi e quindi la partecipazione al programma televisivo non aveva portato alcun concreto pregiudizio alla sua salute.
L’Azienda non soddisfatta di tale provvedimento propose ricorso per Cassazione, che, esaminata la questione, ha aderito ad un orientamento della stessa Suprema Corte ed ha ritenuto (sul presupposto che non esiste norma che vieti di svolgere altra attività durante il periodo di assenza per malattia) che la partecipazione al programma non aveva portato pregiudizio alla salute né ritardato la ripresa al lavoro della dipendente, che aveva avuto cura di usare ogni mezzo per evitare lo stress, recandosi con il treno, alloggiando in prossimità della sede ove si svolgeva il programma televisivo. In conclusione, la dipendente era stata nell’occasione diligente ed attenta a non aggravare il suo stato di salute.
Critiche al provvedimento: omissione della considerazione che il rapporto di lavoro ha la caratteristica di essere sinallagmatico, quindi l’Azienda continua a corrispondere la retribuzione in costanza di malattia, mentre il lavoratore deve prodigarsi per la pronta ripresa del lavoro, evitando qualsiasi attività che possa anche potenzialmente pregiudicare la guarigione.
Nel caso di specie sembrano violati gli obblighi di buona fede e correttezza che permangono a carico del dipendente anche durante il periodo di assenza per malattia. Infatti, invece di recuperare le energie e guarire presto dalla malattia, la dipendente si sottopone ad un viaggio, addirittura da Roma a Milano, per partecipare al programma televisivo: tutto questo sicuramente provoca stress a persona sana, figuriamoci ad una persona ammalata e sofferente di coliche renali, come il soggetto in questione.
Appare violato anche l’articolo 2014 del Codice Civile che stabilisce l’obbligo del prestatore di lavoro alla diligenza sia nella esecuzione del contratto di lavoro sia nel comportamento da tenere durante i momenti di sospensione dello stesso, come nel caso della malattia, imponendo comportamenti idonei alla ricostituzione della propria capacità lavorativa, temporaneamente ridotta per effetto della malattia, ed alla pronta ripresa al lavoro nell’interesse proprio e della Azienda che ha continuato, durante il periodo di malattia, pur in assenza di prestazione, a corrispondere la retribuzione.
Conclusioni. Colpisce la mancata considerazione dei Giudici degli elementi della buona fede e correttezza, alla base del rapporto di lavoro, del tutto disattesi da parte della lavoratrice, che se doverosamente valutati, avrebbero consentito di giungere ad una ben più equa decisione.
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