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È irpina
l’ultima missione
della Nasa
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È irpina
l’ultima missione
della Nasa
Gianni Capasso, ricercatore del Cnr di Avellino originario di Lioni,
sottolinea quanto la crescita del territorio sia legata al progresso
tecnologico e quanto sia importante investire nella ricerca
di Filomena LABRUNA
É made in Irpinia l'ultima missione della Nasa, grazie al CNR di Avellino e al professore Gianni Capasso, lionese purosangue, ordinario di Nefrologia del II Policlinico di Napoli. Il professor Capasso sarà tra gli scienziati che analizzeranno i tessuti di alcune cavie, spedite nello spazio, per verificare gli effetti dell'assenza di gravità sulla funzionalità dei reni. I reni dei topolini arriveranno proprio al Cnr di Avellino, dove lo staff del professore Capasso effettuerà tutti gli studi.
Professor Capasso, ormai ci siamo, il viaggio dei topolini è finito e inizia il suo lavoro. Come considera questa esperienza?
É stata ed è una esperienza straordinaria. E non posso nascondere il mio orgoglio di essere irpino purosangue e di aver fatto in modo che nell'ultima missione della Nasa ci fosse un pezzo della mia terra. Con questa esperienza, ma non solo, l'Irpinia dimostra di essere in grado di dare un contributo notevole in ambito scientifico.
Quali sono i problemi e gli ostacoli in questo settore?
Tanti, ma ritengo che la ricerca possa essere sicuramente un volano per la promozione culturale ed economica dell'intera provincia. Una scommessa sulla quale puntare. Il fatto che la Nasa si sia interessata ad una idea originale nata dalla collaborazione dell'Università di Napoli e del Cnr di Avellino è di gran lunga più importante del fatto che sia io uno de protagonisti. Non sarebbe giusto relegare questa esperienza esclusivamente ad un dato geografico.
A che punto è il progetto?
I topolini sono arrivati prima al laboratorio di genomica funzionale a Napoli e poi presso il laboratorio di proteomica che si trova al Cnr di Avellino, diretto dal professore Antonio Malorni. Il fatto che i topolini abbiano viaggiato dagli Usa, poi nello spazio, ed infine, ancora negli States quindi a Napoli e ad Avellino dimostra come la scienza non abbia più confini.
Come operare affinché tutto questo abbia una ricaduta sul piano locale?
Di fatto già ce l'ha. Sono ricerche che se non proprio quotidiana, hanno una applicazione importantissima per la generazione di prodotti farmacologici. Sono l'abc di natura applicativa di un prossimo futuro, quindi già in sé hanno tutte le credenziali per lo sviluppo economico e per la crescita di una intera comunità. Il fatto che sia stata la nostra provincia a promuovere una idea del genere dimostra che l'Irpinia può competere a livello mondiale in ambito scientifico, per ricerche particolarissime.
Ma non è sempre così. É unanime la considerazione che non si punta sullo sviluppo scientifico e tecnologico in maniera adeguata.
Purtroppo è vero, ma devo anche constatare con orgoglio che l'Irpinia ha già un bagaglio di conoscenze, di cultura, di know-how sufficiente. Il Cnr di Avellino ha una sua storia importante e una attività quotidiana encomiabile e riconosciuta. Ma esistono difficoltà serie, anche quotidiane, come lo stesso direttore del dipartimento di Proteomica del Cnr di Avellino, Antonio Malorni, afferma. In primis, una sede del Cnr ha bisogno di una massa critica di ricercatori, un numero adeguato di persone che vi lavorano. In secondo luogo, le strumentazioni, che necessitano di importanti investimenti in fase di installazione, hanno bisogno di continui updates, devono essere rese funzionali, aggiornate ed efficienti. Sono condizioni necessarie per mantenere standard di efficienza ottimali.
Il che significa che il Cnr da solo giustificherebbe un indotto farmaceutico che non c'è?
Sicuramente. Anche perché centri come il Cnr in altre realtà vengono continuamente assistiti da una serie innumerevole di risorse, sia materiali che immateriali. Molti ricercatori del Cnr di Avellino non sono irpini. Purtroppo ciò comporta disagi. Il Cnr dovrebbe richiamare investimenti cospicui come avviene altrove e ad Avellino non capita ciò. Tutto è più difficile, il nostro impegno deve centuplicarsi, per le difficoltà che si incontrano ad operare in una provincia che non ha una facoltà universitaria medica, per esempio, che non consente facili raccordi con l'altro importante centro di ricerca sulla biogenetica, il Biogem di Ariano Irpino. Da sole, passione e intelligenze locali non bastano. Su questo la classe politica ha responsabilità, in quanto non ha capito che l'Irpinia nonostante investimenti esorbitanti, non è stata in grado di puntare sulla ricerca, sulle scienze, sull'industria e sull'insediamento ricettivo. Esistono ancora occasioni di crescita legate ad elementi di progresso tecnologico e che possono far diventare questa provincia una punta di diamante. La classe politica non deve sottovalutare tutto questo.
Lei sostiene senza riserve e anzi auspica un'università irpina?
I grandi centri di ricerca, Silicon Valley, il Mit di Boston, sono sorti nei pressi di importanti poli universitari e strutture satelliti dalle quali richiamare la massa critica dei ricercatori, che poi è quella che consente ai centri di ricerca di vivere. Il Cnr, il Biogem di Ariano non hanno un entourage di provenienza universitaria, pochissimi sono i ricercatori di Avellino e sempre meno quelli disposti a trasferirsi in Irpinia. Ed allora siamo costretti a districarci tra enormi difficoltà. Si dice che in Campania ci sono già tre facoltà di medicina, ma in Emilia, in un raggio di 40 km ne esistono altrettante e non è uno scandalo, senza considerare che in Emilia i servizi di trasporto e di collegamento sono molto più efficienti. Avellino merita una facoltà medica nel modo più assoluto, anche perché, dal rapporto tra pubblico e privato, i centri di formazione e ricerca continuano a sorgere nelle città più grandi.
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