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  Dicembre 2012

Articoli n° 09
NOVEMBRE 2007
 


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Project financing e promotore

Rischia il posto chi denigra il datore di lavoro

Arbitrato e conciliazione nelle controversie sportive

Il contratto di endorsement


Rischia il posto chi denigra
il datore di lavoro

Massimo Ambron
Avvocato
massimo.ambron@libero.it

La Cassazione riscontra la giusta causa di licenziamento in tale fattispecie

Con sentenza n. 19232 del 14 settembre 2007, la Cassazione ha affermato che denigrare l'immagine della propria azienda può portare al licenziamento del lavoratore resosi responsabile di tale condotta. Nella fattispecie ad una lavoratrice, infermiera professionale dipendente di una società di gestione di un centro di cura, venivano contestati vari addebiti riconducibili tutti a frasi di contenuto denigratorio pronunziate nei confronti dell'azienda o di suoi altri dipendenti e colleghi. La Corte ha osservato che, in tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, allorquando siano contestati al dipendente diversi episodi, il giudice di merito non deve valutarli separatamente, bensì globalmente, al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva sia tale da minare la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel dipendente. Nel caso in esame la stessa molteplicità degli episodi, a detta della Corte, delinea una persistenza che è di per sé ulteriore negazione degli obblighi del dipendente ed una potenzialità negativa sul futuro adempimento di tali obblighi. Pertanto la S.C. ha confermato che il fatto concreto addebitato al lavoratore va valutato nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante alla potenzialità del medesimo di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento. Nel caso di specie, ad avviso della Corte, è mancata, da parte dei giudici di merito, una valutazione globale del comportamento ascritto alla dipendente, i singoli fatti addebitati alla stessa non sono stati valutati nell'ambito della particolare delicatezza della funzione assegnata, infermiera professionale in un ospedale, dello specifico settore in cui il lavoro si svolgeva, blocco operatorio, della elevata responsabilità che ne conseguiva e della fiducia. Pertanto è stato annullato il provvedimento emesso in sede di merito, di reintegra e disposto il rinvio alla Corte d'Appello. La novità della fattispecie risiede nell'avere i Giudici di legittimità ritenuto che allorquando il lavoratore esagera in critiche e illazioni sulla professionalità dei colleghi o sulla correttezza della società in cui lavora, a danno dell'immagine della struttura, può perdere irrimediabilmente la fiducia del datore. La S.C. richiama però l'attenzione in tali casi sulla «delicatezza della funzione assegnata alla dipendente, lo specifico settore in cui lavorava e l'elevata responsabilità che ne conseguiva». Dunque la lesione dell'immagine aziendale, perpetrata al suo interno ma con possibili ripercussioni esterne, dipende anche dalla “qualità” e dal grado di affidamento del soggetto che perpetra la diffamazione. Un mezzo di tutela in più per il datore che abbia a cuore la propria immagine aziendale ed uno spunto di riflessione per il lavoratore.
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