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  Dicembre 2012

Articoli n° 09
NOVEMBRE 2007
 


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L’Italia ha bisogno
del “Partito del Fare”

Vincenzo Boccia:
«Il Sud È sempre meno attrattivo»


L’Italia ha bisogno
del “Partito del Fare”


Per il Presidente della Piccola è ora che la politica alzi gli occhi per rendersi bene conto di quello che succede poco fuori i confini del nostro Paese

di Raffaella Venerando



Si è concluso lo scorso 27 ottobre, il IX Forum della Piccola Industria di Confindustria. Siamo andati a chiedere al suo presidente, Giuseppe Morandini, un bilancio dell’evento.

Allora, Presidente, soddisfatto?
Molto. Innanzitutto per la risposta degli imprenditori. Era la prima volta che questo tradizionale appuntamento della Piccola Industria lasciava la sua storica sede di Prato, ma non ci sono state defezioni. Anzi, dopo gli oltre 800 accrediti del venerdì, abbiamo superato quota mille il sabato, grazie a più di 200 nuove presenze. E sto parlando dei soli imprenditori. Parto dai numeri, perché ne sono orgoglioso: la scelta del Sud non è stata casuale, abbiamo volutamente deciso di arrivare a Caserta, nel Mezzogiorno, per dare un segno concreto di vicinanza e di sostegno ai tanti imprenditori che vivono e lavorano in una terra dove fare impresa è cosa da giganti. Per fortuna, qui di giganti ce ne sono tantissimi e insieme stanno vincendo la sfida per la normalità.

Nel corso del televoto sui margini operativi del prossimo anno, la percentuale più alta è stata quella di chi non ha fatto previsioni, frenato da una situazione di contesto troppo incerta. Preoccupa il super euro, i rincari del petrolio e delle materie prime, i ritardi nei pagamenti, non solo quelli della Pubblica Amministrazione, ma anche quelli dei propri clienti. Condivide questo scenario?
Assolutamente sì. Ho detto a Caserta che dal fare non si scappa. O qui nasce il “PDF”, il partito del fare, con una maggioranza assoluta e come simbolo l’interesse generale del Paese, o siamo un Paese finito. Non possiamo pensare di andare avanti con livelli di crescita dell’1,9-1,7%, quando gli altri, e non parlo dei supersonici India o Cina, né dei Paesi emergenti, ma dei nostri concorrenti storici, crescono molto più di noi: la Spagna del 4,1%, la Germania del 3,1%. È inaccettabile. Per questo, dal palco del nostro Forum, abbiamo chiesto una politica che alzi gli occhi per rendersi bene conto di quello che succede poco fuori i nostri confini. Una politica che la smetta di dire che va tutto bene, perché non va bene per niente.

Il ministro Bersani però le ha risposto che non bisogna esagerare con il “vamalismo”…
Ho grande stima per Bersani e per l’apertura che ha sempre dimostrato nei confronti delle imprese, ma anche qui, dobbiamo guardare ai fatti. Sulla privacy, per esempio, abbiamo presentato due emendamenti al suo decreto sulle liberalizzazioni, poi è stato lanciato l’allarme per cui i dipendenti non avrebbero avuto più tutele, e gli emendamenti sono stati ritirati. Eppure, non mettevano a rischio niente e nessuno, chiedevano solo buon senso e un adeguamento a quello che già succede negli altri paesi europei. Recuperiamoli, e Bersani vedrà i raggi di sole che avrebbe voluto vedere già a Caserta…


Il viceministro Visco vi ha dato un importante segnale di apertura sulle spese di rappresentanza..
Verissimo, e lo abbiamo molto apprezzato. Visco ha detto che la nostra proposta sulla deducibilità delle spese di rappresentanza, spese che sono funzionali all’attività d’impresa, è giusta e si è impegnato a recepirla con un decreto ministeriale subito dopo l’approvazione della Finanziaria. Noi abbiamo già individuato alcune macroaree nelle quali si può intervenire, vedremo…

In proposito, direi che un tema particolarmente “caldo” del Forum è stato proprio il fisco…
Beh, credo che i dati presentati a Caserta, si commentino da soli. Nonostante la riduzione delle aliquote inserita nell’ultima Finanziaria, riduzione che pure va nella giusta direzione, il livello dell’acqua, come ho detto a Caserta, con una metafora, è ancora molto alto.
Lo studio che abbiamo presentato in occasione del Forum ha preso in esame tre bilanci di tre piccole aziende italiane tipo, applicando ad essi i regimi fiscali di Germania, Francia, Slovenia e Tunisia. Una scelta assolutamente non casuale, ma voluta, proprio per la loro vicinanza geografica, perché sono paesi nei quali le nostre piccole imprese non avrebbero difficoltà a delocalizzare. Ebbene, lo studio evidenzia come l'Italia, anche dopo il taglio del cuneo e la riforma fiscale contenuta nell'attuale manovra, continui ad essere il Paese europeo con la più alta pressione fiscale sulle imprese, soprattutto su quelle più piccole.
Il confronto è evidente con la Germania. Considerando, per noi, il taglio del cuneo fiscale dello scorso anno e la rimodulazione di Irap e Ires prevista dalla Finanziaria 2008 e per le imprese tedesche il taglio dell'aliquota societaria che scatterà dal prossimo primo gennaio, la pressione fiscale in Italia si aggira sul 35%, mentre in Germania, compresa l'imposta locale e quella di solidarietà, si ferma al 29,8%, cioè ben oltre sei punti sotto. Non solo.
Più le imprese sono piccole, più il peso del fisco è penalizzante. Prendiamo, ad esempio, il primo caso dello studio: per un'azienda con un reddito fiscale di circa 850mila euro, le aliquote arriveranno nel 2008 a 311mila euro, pari al 36,5%.
Se saliamo di reddito, a 1,3 milioni di euro, la pressione fiscale scende al 34,6%. Se saliamo ancora, a un reddito imponibile di 3,4 milioni, la pressione scende ancora, al 34,2%. Questo perché da noi, la reale pressione fiscale sulle imprese non è semplicemente data dalla sommatoria dell'aliquota Ires con l’Irap, cioè il 37,25% di oggi, perché la base imponibile Irap è diversa da caso a caso.
In Germania, invece, le nostre tre imprese non avrebbero avuto alcuna differenza, per tutte, il carico totale del fisco sarebbe stato del 29,8%.
È evidente che dobbiamo fare di più, rendendo questa riduzione delle aliquote meno nominale e più percepita nei nostri bilanci, nei quali deve entrare con un bel segno meno davanti.
Se vogliamo davvero “abbassare l’acqua”, occorre rivedere seriamente la base imponibile: le imprese le tasse le pagano, ma sarebbe ora di pagarle solo sugli utili reali e non anche su alcuni dei costi che sosteniamo.
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