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  Dicembre 2012

Articoli n° 09
NOVEMBRE 2007
 


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Ilardi: «Gli imprenditori
facciano sentire la propria voce»

Politica energetica, la svolta per il rilancio del Paese

Ilardi: «Gli imprenditori
facciano sentire la propria voce»

La manovra finanziaria del Governo per il 2008 delude
e rischia di aggravare ulteriormente la capacità competitiva delle imprese

di Raffaella Venerando


Antonio ILARDI
Presidente Piccola Industria Confindustria Salerno

Con il Presidente della Piccola di Confindustria Salerno, abbiamo fatto il punto sulle emergenze, e non solo, che interessano da vicino il nostro tessuto imprenditoriale.
Nel nostro Paese un eccesso di prescrizioni normative soffoca l'impresa.
L'iper-normazione in Italia non è certo un problema recente. Nonostante infatti le innumerevoli promesse dei governi, nazionali e regionali, da dieci anni a questa parte vere opere di semplificazione amministrativa non ce ne sono state. Anzi, registro con rammarico che anche il disegno di legge Nicolais (disegno di legge in materia di efficienza delle amministrazioni pubbliche e di riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese) nato con l'obiettivo di semplificare alcune procedure, dopo essere stato presentato alla opinione pubblica nei mesi scorsi, è oggi fermo in Parlamento.
Di fatto, pare che alla denuncia di un'iper-normazione non faccia poi mai seguito un provvedimento organico e risolutivo che impedisca alla politica di esercitare un'azione di mediazione continua sui problemi quotidiani delle imprese e delle persone.

Alla malaburocrazia poi si aggiunge il fisco.
Sulla questione del fisco ritengo che dagli imprenditori debba levarsi una voce di ferma contrarietà all'ipotesi, contenuta in Finanziaria, di scambio tra Ires e incentivi cui fa seguito un ampliamento della base imponibile della tassazione. In particolare per le piccole imprese del Mezzogiorno, che hanno sostenuto notevoli investimenti, la manovra finanziaria rappresenta un appesantimento e non una riduzione fiscale, dal momento che introduce una limitata deduzione degli interessi passivi entro il 30% del risultato operativo lordo. Siamo, insomma, di fronte a un vero e proprio bluff.

Investire al Sud è più complicato che farlo al Nord, quindi. Quali sono allora le motivazioni che possono indurre un imprenditore a fare impresa nel Sud?
Credo vada fatta una distinzione per settori. Se parliamo di manifatturiero e di nuovi investimenti di imprenditori esterni al tessuto imprenditoriale del Mezzogiorno, ritengo che non ci sia alcuna motivazione valida per considerare ancora il nostro territorio interessante. Se invece facciamo riferimento a settori diverso dal manifatturiero, ad esempio al comparto turistico, credo che il Sud possa essere un'area molto attrattiva grazie alle oggettive bellezze e potenzialità inespresse dei nostri territori. Un discorso diverso vale invece per quanti già operano al Sud. A spingerli nel continuare a fare impresa è una motivazione passionale, senz'altro superiore a quella dell'interesse. È una motivazione che è nell'animo dell'imprenditore più che nel tessuto esterno, anzi io direi che gli imprenditori continuano a stare al Sud “nonostante il contesto” e non grazie a questo.

Lei crede fortemente nella “rappresentanza”. Oggi quale è o dovrebbe essere il ruolo dell'imprenditore impegnato in sistemi di rappresentanza?
La prospettiva in cui l'imprenditore deve proiettarsi è quella del medio periodo. La contiguità vissuta in certi anni tra classe politica e istituzionale ed imprenditoria, in base alla quale una serie di cose sono state attuate senza che gli imprenditori levassero un grido di protesta, non è più ammissibile. Oggi le scelte di breve periodo penalizzano fortemente la possibilità di uno sviluppo duraturo del Mezzogiorno e dell'intero sistema Paese. L'imprenditore deve avvertirsi come appartenente ad una classe e dimostrare, insieme a tutti i propri colleghi, una cura particolare verso il futuro del proprio Paese, mostrandosi meno propenso ai compromessi e meno accondiscendente verso scelte sbagliate della politica.

Etica e profitto: un connubio per crescere?
Comportamenti virtuosi da parte del mondo imprenditoriale hanno possibilità di diffondersi se esiste un'etica di fondo che coinvolge tutti gli attori impegnati nel sistema socio-economico. Senza una comunione di intenti e di visioni tra le parti si rischia di dare luogo a un conflitto sociale dove l'interesse generale è subordinato al raggiungimento di particolarismi.

La flessibilità nel mondo del lavoro di oggi è un elemento irrinunciabile?
Innanzitutto va chiarito che flessibilità non vuol dire precariato. Occorre generare un contesto giurisdizionale teso alla flessibilità, ma al contempo favorire la nascita di strumenti che accompagnino eventuali percorsi di uscita dal mondo del lavoro. Bisognerebbe pensare a un sistema di sussidi, diverso da quello attuale, capace di accompagnare la persona nel momento in cui perde il lavoro facilitandone al contempo il reinserimento in un contesto diverso, evitando così quel fenomeno tutto italiano dei disoccupati a vita, di quanti vedono nella perdita del lavoro un'opportunità per ricevere qualcosa dallo Stato senza dare in cambio alcun contributo in termini di prestazioni lavorative. Occorre, infine, diffondere la consapevolezza che l'impresa può avere, per mille motivi, un suo termine. In questi casi, invece di impegnare risorse per prolungare agonie, è meglio concentrare gli sforzi per incentivare la nascita di nuove aziende.

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