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  Dicembre 2012

Articoli n° 10
DICEMBRE 2007
 


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Uffici delle Associazioni degli Industriali della Campania

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L’industria alimentare nel 2007

L’export regge malgrado la forte concorrenza internazionale

Gian Domenico AURICCHIO
Presidente Federalimentare


L'Industria alimentare italiana - che Federalimentare rappresenta attraverso le sue 20 Associazioni di categoria aderenti a Confindustria - è uno dei pilastri dell'economia nazionale: è il secondo settore manifatturiero del nostro Paese con 113 miliardi di fatturato (+2,8%), quasi 18 di export (+10%) e 36.000 imprese, delle quali 6.500 con più di 10 dipendenti e 2.600 sopra i 20 dipendenti. Gli addetti sono oltre 400.000mila. Una realtà economica significativa, dal momento che insieme ad agricoltura, indotto e distribuzione, l'Industria alimentare è al centro della prima filiera economica del Paese.
Va ricordato, inoltre, che acquista e trasforma il 70% delle materie prime agricole ed è universalmente riconosciuta come ambasciatrice del Made in Italy nel mondo: quasi l'80% dell'export agroalimentare italiano è rappresentato infatti da prodotti industriali di marca! L'immagine del Made in Italy alimentare costituisce un patrimonio molto apprezzato in Europa e nel mondo, articolato in un invidiabile ventaglio di offerta di prodotti di alta qualità e su una schiera di prodotti a denominazione di origine protetta o controllata che troviamo al “top” dei mercati internazionali. Un successo dovuto ai legami della produzione alimentare italiana col territorio e col patrimonio culturale del Paese, agli alti standard di sicurezza e qualità, oltre che alla capacità di unire tradizione e innovazione costante di processo e di prodotto.
Non è casuale che il settore sia oggetto di vistosi fenomeni di contraffazione e imitazione, soprattutto su mercati ricchi ed esigenti come quello americano e nord-europeo: contraffazioni illegali e imitazioni dei nostri prodotti - il cosiddetto italian sounding - sottraggono ogni anno proventi al settore per circa 55 miliardi di euro, minacciando di arrivare nel giro di pochi anni a superare il fatturato del vero Made in Italy alimentare.
La nostra Industria alimentare veniva da un 2006 positivo, con il tasso di crescita dell'export migliore dell'ultimo decennio - quasi a due cifre - e con una produzione in lieve salita (+0,6%). La prima metà del 2007 è stata invece caratterizzata da una crescita leggermente inferiore delle esportazioni (+5,2%), legata soprattutto alla svalutazione del dollaro e alle tensioni derivanti dalle difficoltà di approvvigionamento di alcune materie prime (grano duro, latte, uova), oltre che dall'aumento dei loro prezzi. Un problema che si sta ripercuotendo pesantemente sul settore, dal momento che in alcuni casi - come per il grano duro - il costo della materia prima è lievitato anche del +150%, con inevitabili conseguenze sui prezzi di produzione e, ovviamente, su quelli allo scaffale. Una situazione di difficoltà per le nostre aziende, oltre che per i consumatori che vedono aumentare i prezzi di alcuni dei prodotti alimentari alla base della nostra dieta. Per questo è importante dire con chiarezza che, sebbene gli aumenti dei prezzi di alcuni prodotti siano purtroppo inevitabili, gli aumenti dei prodotti trasformati dall'industria sono esclusivamente limitati all'effettivo impatto dell'incremento del costo della materia prima sul prodotto finito. Infatti i parziali ritocchi dei listini operati dai comparti industriali più direttamente interessati dagli aumenti degli ingredienti base - frumento, mais, latte, burro, uova, farina, mangimi e carni - sono stati compensati da andamenti in controtendenza degli altri comparti del settore alimentare, che anche nel corso dell'ultimo anno hanno continuato a “raffreddare” l'inflazione. Gli aumenti registrati sono perciò contenuti, del tutto fisiologici e inevitabili! Al di là del valore “simbolico” o, se si vuole, “di bandiera” di prodotti come la pasta e i formaggi, le voci coinvolte, che impattano concretamente sulla spesa, sono molto più limitate di quanto si pensi. Non dimentichiamo inoltre che oggi, l'alimentare incide per circa il 16% sul totale della spesa familiare, rispetto al 25% degli inizi degli anni '90. E ancora, il pane, la pasta, le uova e il latte - prodotti cui è stata attribuita la responsabilità inflattiva in questi giorni - pesano tutti insieme il 2,6% sul paniere ISTAT, esattamente come le sigarette, o le consumazioni al bar o le verdure fresche. Del resto, l'Industria alimentare italiana sul fronte dei prezzi ha sempre dimostrato con i fatti un grande senso di responsabilità, tutelando il potere d'acquisto degli italiani e contribuendo nel tempo e in maniera significativa al contenimento del tasso d'inflazione. Dal 1995 al settembre scorso, i prezzi dei prodotti alimentari trasformati dall'industria sono aumentati del +19,8%, mentre nello stesso periodo l'inflazione ha viaggiato al +30,4%. Significa che il settore - dalla produzione agricola alla trasformazione industriale - si è attestato ben al di sotto del trend inflattivo. E questo, a differenza di altri comparti, come i servizi, i trasporti, il credito e le assicurazioni, e i prodotti energetici, che hanno superato ampiamente la soglia del +40%. Non basta. I prezzi alla produzione del settore, quelli alla fonte, di esclusiva responsabilità dell'Industria, hanno registrato un aumento decisamente inferiore (+19,8%) rispetto ai rispettivi prezzi al consumo (+29,8%): dieci punti in meno in un decennio. É chiarissimo, perciò, il forte ruolo calmieratore esercitato dall'Industria, ed è altrettanto chiaro il trasferimento di valore che questa “forbice” (circa un punto all'anno) ha consentito nel tempo dal momento produttivo a quello distributivo.
Oggi, a fine 2007, circa un quarto (26%) del prezzo allo scaffale per il consumatore italiano è assorbito dall'Industria alimentare, circa il 13% va all'agricoltura, l'11% va a remunerare i servizi, mentre ben il 50% viene acquisito dalla distribuzione.
Ma qual è oggi, a fronte di una situazione congiunturale difficile e di consumi interni stagnanti, lo spazio di crescita per le nostre aziende? Il settore deve investire sull'export, poiché è sui mercati esteri che cresce l'attenzione per i prodotti italiani, soprattutto per i prodotti di qualità.
L'export appare, infatti, sempre più l'unica valvola di sfogo per molti comparti, malgrado la forte concorrenza internazionale. I mesi estivi e l'inizio dell'autunno hanno riportato una ventata di ottimismo sul fronte dell'export dell'industria alimentare, che dopo un inizio d'anno faticoso (+5,2% nel primo semestre) ha ripreso un trend di crescita migliore (+6,5%). È un segnale importante, che permette all'anno in corso di tornare nella scia della buona performance segnata nel 2006.
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