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  Dicembre 2012

Articoli n° 5
GIUGNO 2006
 

diritto e impresa - Home Page
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Accordo di ristrutturazione dei debiti: limiti e problemi

La sfida della
mediazione ambientale

Risolto il contrasto sul danno da dequalificazione professionale?

Il dialogo competitivo:
iter procedurale e implicazioni

Accordo di ristrutturazione dei debiti: limiti e problemi

Gennaro STELLATO

Esame di una norma che può e deve essere migliorata nell’interesse di tutti

Questa norma potrebbe consentire il salvataggio di aziende in crisi grazie a un meccanismo meno costoso e più rapido

Per chiudere il cerchio dell'analisi delle novità più importanti proposte dalla recente riforma del diritto fallimentare, occorre approfondire una norma che ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo istituto il cui approccio alla realtà è apparso, però, di difficile applicazione.
Trattasi dei cosiddetti "accordi di ristrutturazione dei debiti", previsti dall'art. 182 bis del D.Lgs. 5/2006.
Dalla lettura testuale della norma si può comprendere immediatamente l'essenza e l'importanza della novità. L'art. 182 bis testualmente recita: «Il debitore può depositare, con la dichiarazione e la documentazione di cui all'art. 161, un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un esperto sull'attuabilità dell'accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei. L'accordo è pubblicato sul Registro delle imprese; i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione entro 30 giorni dalla pubblicazione. Il Tribunale, decise le opposizioni, procede all'omologazione in camera di consiglio con decreto motivato. Il decreto del Tribunale è reclamabile alla Corte di Appello ai sensi dell'art. 183, in quanto applicabile, entro 15 giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese».
In sostanza, con la predetta norma, si è andati a consacrare sotto il profilo legislativo la prassi molto diffusa nella realtà economico-imprenditoriale dei cosiddetti “concordati stragiudiziali”: in tal modo si è inteso fare filtrare il tutto attraverso il controllo de Tribunale a tutela sia del debitore che del creditore. Si tratta quindi di una norma importante che potrebbe consentire il salvataggio di aziende in crisi con un meccanismo che, rispetto ad altri istituti (ad esempio il concordato preventivo), dovrebbe avere un costo complessivo inferiore e maggiore rapidità.
Esaminiamo gli aspetti pratici del nuovo istituto. In breve, l'imprenditore in difficoltà può cercare un accordo con un numero di creditori che rappresentino almeno il 60% dell'intero. Il predetto accordo è completamente aperto nel senso che il debitore può proporre percentuali, forme e tempi di pagamento nel modo più vario possibile con la sola condizione che venga accettato dai creditori. Ovviamente questa proposta deve essere accompagnata da una relazione che, in sostanza, confermi l'attuabilità dell'accordo sotto il profilo finanziario anche per quanto riguarda i creditori estranei all'accordo stesso. La relazione cioè deve contenere una serie ipotesi di risanamento dell'impresa accompagnata dall'individuazione degli strumenti finanziari necessari per consentire l'esecutività del piano di ristrutturazione.
Deve trattarsi di una relazione il più possibile esaustiva sulle aree di intervento, sull'indicazione della debitoria in termini precisi, sulle forme di ristrutturazione del debito per quanto attiene ai tempi di pagamento, alle forme contrattuali scelte ed ai mezzi, sia di capitale proprio che esterno, sia alle garanzie eventuali,sia in particolare ad una ipotesi di risanamento. Naturalmente il deposito della proposta e della contestuale relazione presuppone a monte che sia già intervenuto un accordo con i creditori rappresentanti, come si è già detto, almeno il 60%; pertanto le problematiche riguardano due aspetti fondamentali: i rischi della procedura e i rapporti con i creditori che non abbiano accettato l'accordo. Va detto preliminarmente che la proposta spetta esclusivamente al debitore e che il tribunale ne deve verificare soltanto la rispondenza alla norma e mai potrebbe sostituirsi al proponente modificando la stessa o ponendo nuove condizioni. Questo principio vale ancora di più se si considera la natura contrattuale dell'accordo sottoscritto fra debitore e creditore. Conseguentemente laddove il Tribunale, verificati i presupposti di legge, omologhi l'accordo, non dovrebbero sorgere più problemi anche in presenza, come è ovvio, di un riconoscimento, da parte dell'imprenditore, di un sostanziale stato di insolvenza che potrebbe essere propedeutico ad una sentenza di fallimento. In pratica il Tribunale lascia ampia libertà alle parti anche perché i creditori dissenzienti hanno la possibilità di opporsi nei modi e nei termini previsti dal precitato art. 182 bis. Il problema principale, che appare di non facile ed univoca soluzione, è quello relativo ai cosiddetti creditori estranei. Quei creditori, cioè, che non hanno accettato l'accordo o perché vogliono essere pagati in percentuale superiore, o con modi e tempi diversi o perché non credono all'attuabilità del piano o, magari, come spesso succede, per questione di principio.
Una prima lettura della norma sembra fondamentalmente prevedere che la relazione accompagnatoria del piano debba contenere anche in quale modo il debitore intenda pagare questa categoria di creditori. Tuttavia, proprio per evitare una lesione della par condicio creditorum, molti autorevoli commentatori hanno rilevato appunto che la norma prevede la possibilità per i creditori di opporsi all'accordo. Tenendo conto del fatto che i creditori hanno accettato, almeno nella misura del 60%, la proposta di definizione, sembrerebbe che tale opposizione spetti soltanto ai creditori estranei con la conseguenza che, se tale opposizione non fosse effettuata e il Tribunale procedesse all'omologazione, i creditori estranei non potrebbero pretendere il pagamento integrale del proprio credito. Si tratta di un aspetto fondamentale dell'istituto perché una cosa è avere la certezza che l'importo complessivo da pagare sia effettivamente quello del piano con proposte anche diverse per quanto attiene le singole categorie di creditori (banche, dipendenti, fornitori), altra cosa invece è dover essere obbligati a pagare integralmente creditori che, per tale motivo, potrebbero far pesare in modo eccessivo tale posizione nell'ambito della procedura.
Sembra necessario un intervento correttivo per migliorare un istituto che potrebbe essere risolutivo in molte situazioni di crisi aziendale.

*Avvocato - studiostellato@tiscalinet.it

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