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Risolto il contrasto sul danno da dequalificazione professionale?
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Risolto il contrasto sul danno da dequalificazione professionale?
Massimo AMBRON
Le SS.UU. della Cassazione finalmente intervengono per sciogliere l’annoso conflitto
Ie SS.UU. della Cassazione, con sentenza del 24/3/2006 n. 6572, reperibile anche su Altalex, hanno composto il dissidio tra due orientamenti. Il primo ritiene che il danno alla professionalità non necessiti di prova, è in re ipsa, in quanto discende direttamente dall'accertamento della violazione dell'obbligo datoriale, di cui all' art. 2103 c.c.. In giudizio, accertata la dequalificazione, si arriva ad una duplice condanna: reintegra nelle mansioni svolte e pagamento a titolo di risarcimento di somma anche cospicua, parametrata alla retribuzione mensile per il periodo di demansionamento. La ricaduta negativa aziendale in questo caso è palese, sia organizzativa che economica. Il secondo sostiene la necessità della prova della sussistenza del danno, in quanto il danno non patrimoniale non è conseguenza automatica di ogni inadempimento. Nella pratica, il Giudice, verificato l'inadempimento, ordina la reintegra nelle mansioni e prevede un risarcimento solo laddove sia accertato il danno e ne sia provato dal lavoratore il nesso causale ex art. 1223 con l'inadempimento. In tale quadro si inserisce la pronuncia delle SS.UU. che dice: il danno patrimoniale e non, biologico e in particolare esistenziale, conseguente al demansionamento non sussiste ogni qualvolta si verifichi l'inadempimento datoriale (2103, 2087 c.c.) e il Giudice deve indagare e accertare la fondatezza di tale danno arrecato al dipendente, che ha l'onere di provarlo con tutti i mezzi consentiti. Il Giudice può formare il proprio convincimento sul punto attraverso nozioni generali di esperienza (115 c.p.c.) e quindi ricorrere a presunzioni semplici. In tema di quantificazione il Giudice può fare riferimento al criterio di equità, ma è fatto obbligo al lavoratore fornire parametri valutativi. Prima facie sembra che la Cassazione abbia sposato la tesi più rigorosa, ma è proprio così? Infatti, mentre si onera ex art. 2697 il lavoratore della prova del danno, patrimoniale e non, da demansionamento, poi si sceglie la cosiddetta terza via della prova con presunzioni e fatti notori. Si noti che le S.U. si soffermano in particolare sul danno esistenziale, per sua natura sfuggente e sovrapponibile con il cosiddetto danno biologico dinamico. Quale sarà la ricaduta nella pratica di tale orientamento? I giudici di merito avranno l'impegnativo onere di indagare anche i concreti cambiamenti che l'inadempimento ha apportato in senso peggiorativo nella qualità di vita del danneggiato!, avvalendosi di qualsiasi prova (congiunti, e colleghi del danneggiato, oltre che documentali o presuntive!!). Gli avvocati avranno il compito più oneroso di allegazione e di esigere dal cliente la puntuale prova del danno esistenziale da dequalificazione, in via documentale o testimoniale. Le aziende rinnoveranno l'impegno ad affrontare con la massima attenzione la delicata problematica del legittimo esercizio dello ius variandi, anche se consapevoli che ora il danneggiato ha l'onere di provare, sia pur con tutti i mezzi, «l'alterazione delle sue abitudini di vita».
Avvocato
massimo.ambron@libero.it
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