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  Dicembre 2012

Articoli n° 5
GIUGNO 2006
 

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L’occupazione giovanile
nel Mezzogiorno

Uso strategico dei diritti di proprietà industriale


L’occupazione giovanile
nel Mezzogiorno



Ernesto Floro CAROLEO

Quale riforma del sistema scolastico
e della formazione può favorirla efficacemente?

Le scelte formative dei giovani, o anche l’abbandono, dipendono in larga misura dall’ambiente familiare

Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è il più alto rispetto alla media europea: 27% contro una media del 15,8%. Anche il rapporto tra il tasso di disoccupazione giovanile e quello degli adulti supera di gran lunga la media europea. In un mercato del lavoro dinamico, il fatto che la disoccupazione giovanile sia più elevata di quella degli adulti non è di per sè un fatto necessariamente negativo. Infatti, i giovani sono molto più mobili degli adulti nel senso che all'inizio della loro attività lavorativa sono maggiormente propensi a cambiare più volte occupazione, riuscendo in questo modo ad aumentare le proprie esperienze professionali per puntare, nell'età adulta, a livelli salariali maggiori e a lavori più qualificati e stabili.
Durante i periodi di mobilità essere disoccupati è, quindi, un fatto fisiologico. Inoltre in tale situazione, il tasso di disoccupazione dei giovani dovrebbe essere normalmente di breve periodo, mentre quello degli adulti dovrebbe avere caratteristiche di maggiore durata.
Sono questi ultimi, infatti, che quando perdono il lavoro hanno più difficoltà a riqualificarsi e a trovare una nuova occupazione.
Il problema nasce quando anche per i giovani la durata della disoccupazione si allunga. Il fatto che costoro, soprattutto quando si affacciano per la prima volta nel mercato del lavoro, ne siano esclusi per lunghi periodi di tempo, porta a una veloce perdita delle professionalità acquisite nel corso degli studi e a fenomeni di scoraggiamento e di disaffezione con gravi rischi di esclusione sociale. L'altra caratteristica del mercato del lavoro italiano è che il fenomeno della disoccupazione giovanile è più grave nel Mezzogiorno. In questa regione, per esempio, il tasso di disoccupazione di lunga durata sia per gli adulti che per i giovani è uguale ed è pari addirittura al 76% circa del tasso complessivo.
Un ulteriore indicatore che ci rappresenta la gravità della perdita di capitale umano nel Mezzogiorno può essere osservato confrontando la condizione a distanza di un anno degli studenti che lasciano gli studi. Nel 2003, nel Nord il 63,8% era occupato, il 19,3% era disoccupato e il 16,9% si dichiarava fuori delle forze di lavoro. Nel Mezzogiorno invece solo il 20,4% si trovava nella posizione di occupato, il 38,4% era disoccupato e il 41,3% tra gli inattivi.
I dati ci mostrano dunque un mercato del lavoro che intrappola i giovani, soprattutto meridionali, nella condizione di disoccupazione o addirittura fuori delle forze di lavoro, depauperandone le capacità professionali e riducendo la probabilità di trovare in futuro lavori più stabili e qualificati. In questo contesto, politiche volte alla flessibilità contrattuale e salariale potrebbero non essere sufficienti; è necessario invece sapere aggredire anche altri fattori istituzionali che rendono rigido il mercato del lavoro. Parlando di giovani ciò vuol dire, in sostanza, affrontare il nodo della riforma del sistema scolastico e formativo al fine rendere finalmente efficiente il percorso scuola-formazione-lavoro dei giovani che, superati i 15 anni, decidessero di entrare nel mondo del lavoro.
L'articolazione e la qualità dell'offerta formativa, una volta superata l'istruzione primaria, è quella dove si osservano le differenze più sostanziali e significative tra i vari stati europei ed è la causa principale dei differenziali dei tassi di disoccupazione. La ricerca "Drop Out", condotta dal Celpe per conto della Provincia di Salerno e i cui primi risultati sono disponibili sul sito (http://www.celpe.unisa.it), analizza le motivazioni che spingono i giovani che risiedono nella provincia ad abbandonare i percorsi scolastici e formativi. In essa si conferma quello che una corposa letteratura ha verificato per l'intero territorio italiano e cioè che i risultati scolastici, le scelte formative o di abbandono dipendono in modo cruciale dall'ambiente familiare e che l'operare concreto del sistema scolastico ripropone di fatto esiti di stratificazione sociale inefficienti ed iniqui. Tali studi, infine, individuano proprio nel meccanismo di funzionamento dei gradi secondari dell'istruzione l'anello debole dell'esclusione. D'altro lato la ricerca mostra anche che i giovani, che decidono di interrompere prematuramente il proprio corso di studi perché scoraggiati dall'organizzazione delle istituzioni scolastiche, dimostrano comunque un buon interesse ad intraprendere percorsi alternativi di apprendistato, formazione e avviamento al mercato del lavoro.
In Italia si è cominciato ad affrontare il problema della riforma del sistema scolastico e formativo, nelle nuove forme dettate dall'evoluzione del mercato del lavoro, da meno di un decennio. Con la legge 9/99, e con l'art. 68 della L. 144/99, si introduce il cosiddetto obbligo formativo per i giovani tra i 15 e i 18 anni; con la successiva "Riforma Moratti" si inserisce, invece, il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione per 12 anni.
Anche se le due riforme sono molto diverse nel determinare il sistema scolastico complessivo, tuttavia, per quanto riguarda l'istruzione superiore, non vi sono sostanziali differenze su come affrontare il rapporto scuola, alternanza scuola-lavoro, apprendistato.
Entrambe infatti prevedono l'organizzazione di percorsi integrati scuola-formazione mediante il coinvolgimento di tutte le istituzioni scolastiche e formative, l'estensione e la riorganizzazione delle forme contrattuali (stage, apprendistato) e attuando un sistema di governance decentrato che mette in rete le diverse istituzioni coinvolte (istituti scolastici, centri per l'impiego, province).
Questo processo di riforma ha indubbiamente notevoli spunti interessanti. Tuttavia le conclusioni della ricerca del Celpe sottolineano che bisogna ancora fare un lungo percorso per far sì che si accresca da un lato la consapevolezza delle famiglie e degli adolescenti dell'importanza delle scelte di istruzione per il destino lavorativo e la formazione culturale dei giovani e, dall'altro lato, per far aumentare la consapevolezza da parte delle istituzioni locali che il governo di questi processi richiede un grande sforzo di lavoro comune.
Professore di Politica Economica
Università degli Studi di Napoli Parthenope - caroleo@unisa.it

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