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  Dicembre 2012

Articoli n° 5
GIUGNO 2006
 

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La sfida di un nuovo meridionalismo


Silvio SARNO

Quanto ancora va sacrificato, in termini di sviluppo, a quella politica fatta solo di gestione del potere?

Un un'estrema sintesi i filoni di attività su cui facciamo valere la nostra azione di ammodernamento dell'economia meridionale sono: a) la sensibilizzazione e la richiesta per una politica europea e nazionale che sostenga la competitività e la svolta decisiva per il pieno sviluppo; b) la decisa azione per condizioni locali più coerenti con l'autopropulsività dell'economia dei diversi territori. Questi due aspetti, tra loro interconnessi, legano l'impegno contingente agli auspicati mutamenti strutturali.
Alla vigilia dell'adozione del QCS 2007-2013 ha una maggiore probabilità di applicazione la forte richiesta di una “fiscalità di vantaggio” o “fiscalità compensativa”: la Commissione Affari Economici del Parlamento Europeo si è pronunciata favorevolmente; il Presidente Barroso e la Commissaria Kroes si sono dichiarati disponibili. Avremo modo di verificarne lo stato dell'arte nella prossima missione a Bruxelles del Comitato Mezzogiorno di Confindustria. Sembra certa, inoltre, la riduzione di 5 punti della fiscalità gravante sul costo del lavoro. Se gli impegni saranno mantenuti, in tempi brevi, avremo un innovato quadro di sostegno. É evidente che queste misure dovranno inserirsi nel complesso degli interventi per le infrastrutture, per l'innovazione e la ricerca, per la sburocratizzazione, per la riduzione del costo energetico. I fabbisogni e le proposte di intervento sono ampiamente descritte dall'impegnativo e completo programma 2006-2008, approvato dalla Giunta di Confindustria in aprile. Il programma confindustriale, mi preme sottolinearlo, è una fondamentale traccia, sulla quale l'intero sistema imprenditoriale, da Nord a Sud, si ritrova; fatto di rilievo questo, dopo i risultati elettorali di aprile, che hanno evidenziato il diverso pronunciamento delle macroaree tra i due schieramenti politici. Se quindi c'è da attendersi segnali forti da Bruxelles e da Roma, resta ancora incerto l'orientamento delle politiche dei governi locali. Questa incertezza è destinata ad innalzare il rischio che il minore gravame fiscale sul reddito d'impresa e sul lavoro, possa essere parzialmente vanificato dalla maggiore imposizione locale. Sotto la spinta dell'incontenibile spesa sanitaria, si paventano per esempio in Campania ulteriori aumenti dell'Irpef e dell'Irap, aggiuntivi a quelli già previsti, destinati a permanere nella struttura del prelievo. Anche dopo la smentita dell'Assessore regionale al ramo, il problema del deficit sanitario resta, insieme a quello della gestione dei rifiuti. L'orientamento degli Enti locali, inoltre, è di espansione, senza limiti, nell'economia, a dispetto della sussidiarietà sancita dalla Costituzione, della necessità di contenere la spesa pubblica e dell'impellenza di aprire nuovi spazi al mercato. Quindi non si tratta di rivendicare solo attenzione al Mezzogiorno. É lo stesso Mezzogiorno che deve essere protagonista del suo sviluppo. E questa è la questione che riguarda la capacità delle classi dirigenti di proiettare l'azione di governo locale, risolvendo nodi ineludibili, rinnovando la sfida di un meridionalismo nuovo. I richiami autorevoli sono tanti. Di recente il Presidente dell'Antitrust al “Forum PA” 2006 ha lanciato un vero e proprio monito. Parlando delle municipalizzate ha richiamato la posizione dominante nella gestione dei servizi e del meccanismo dei lavori in house; ha criticato una legislazione regionale che rafforza questa situazione; si è spinto oltre, chiedendo che vengano esternalizzate le strutture di back office della P.A..
Sono orientamenti chiari, che mettono bene in luce l'enorme differenza tra l'aggiornata visione del ruolo del pubblico e la prassi amministrativa. Ancora più netta è l'analisi presentata da Confservizi, lo scorso 10 maggio, nel corso della Giornata dedicata ai servizi pubblici locali. Nel Mezzogiorno, dice lo studio, nel settore dei servizi pubblici locali si impongono «soprattutto due elementi: da un lato, la staticità del sistema (pur con lodevoli eccezioni) con l'assoluta prevalenza di aziende polveri e il forte ruolo che continua tuttora a giocare il diretto controllo politico sulle strategie e i processi decisionali delle aziende, dall'altro, la mancanza o la crisi delle stesse reti di civiltà».
Quanto ancora dobbiamo sacrificare, in termini di sviluppo, a quella politica fatta di sola gestione del potere?

Presidente di Confindustria Avellino

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