L’IDENTITA' COME BALUARDO
DI DIFESA
LE PROSPETTIVE DEL SETTORE CONSERVIERO
YES
FOR EUROPE
L'INCONTRO CON PRODI
YES FOR EUROPE
L’INCONTRO CON PRODI
Il documento dei Giovani Imprenditori
Europei sull’allargamento a 25 Paesi
di
Elio de Meo
Consigliere G.I. Assindustria Salerno
saisalerno@gasai.it
Il lungo percorso che dovrà condurre a una proficua
integrazione dei mercati nella futura Europa a 25 nazioni partirà da
questa affermazione: «Europe is an union of minorities, not majorities».
Sono le parole del Presidente della Commissione Europea Romano Prodi
rivolte alla platea dei Giovani Imprenditori dello "YES for Europe",
la Confederazione che comprende i Gruppi di dieci Stati del Vecchio
Continente, riuniti a Bruxelles il 21 e 22 novembre scorsi per il 13° summit.
Il tema dei lavori, "Entrepreneurship in a new Europe", affidati
alla regia del Presidente olandese Tjark de Lange, riconfermato al
vertice dello "YES" nel corso dell'Assemblea Generale, fondava
la sua attualità sull'integrazione tra soggetti economici distinti,
in vista dell'ormai sempre più vicino ingresso nell'Unione di nuovi
10 Stati membri. Argomento certamente stimolante, al quale Gianfranco
Dell'Alba, membro del Parlamento Europeo, prima, e Romano Prodi poi, hanno
cercato di dare un contributo.
Il documento presentato dallo "YES for Europe" tocca molti nodi
ritenuti critici per una economia che si appresta a dialogare con cinquecento
milioni di consumatori, legislazioni e fiscalità differenti e che
soprattutto si trova a fare i conti con politiche del mercato del lavoro
frammentate, la cui non semplice integrazione sociale e la conseguente
riduzione delle disomogeneità fra Stati rappresenterà un
terreno di confronto delicato per il libero trasferimento di risorse.
L'apprezzato intervento di Matteo Colaninno, vice Presidente dei
G.I. di Confindustria con delega ai rapporti istituzionali, si sofferma
sulla lentezza di riforme che un sistema economico come il nostro non può continuare
a permettersi.
Riorganizzazione che passerà inevitabilmente da scelte coraggiose
ma necessarie, ad esempio in politica monetaria, per rendere attraenti
i mercati agli investitori d'oltreoceano e principalmente per consentirne
la fruizione alle nostre stesse aziende che magari ne hanno una percezione
puramente teorica. In questo contesto si può inoltre leggere l'affermazione
del Presidente Prodi secondo cui «enlargement is a problem but it's
a great occasion»; quindi matrimonio di convenienza da entrambe le
parti, si direbbe, ma occasione ormai non più procrastinabile per
un continente sempre più stretto tra la ripresa statunitense e lo
sgomitare inarrestabile della Cina. Se a questo si aggiunge un cambio euro/dollaro
irrazionale il quadro generale per competere attualmente non è dei
più favorevoli.
La "grande occasione" quindi potrà riequilibrare i pesi
e caricare le batterie di un sistema che accusa segnali di stanchezza.
Appare però poco plausibile che un tale cambiamento dello scacchiere
politico ed economico internazionale non porti con sé una componente
di incognite quantomeno pari alle opportunità. Prodi non fa cenno
alle inevitabili criticità che si presenteranno ospitando sotto
lo stesso ombrello culture ed economie profondamente differenti, legate
alle problematiche connesse al mantenimento dei parametri richiesti dal
Patto di Stabilità, che a 25 inevitabilmente rappresenterà un
nodo cruciale, rischiando di far assistere a continue rincorse nei rapporti
deficit/pil. Inoltre, come sostiene l'OCSE, ulteriori allentamenti di bilancio
potrebbero alimentare un circolo vizioso e creare precedenti scomodi per
i Paesi che, pur tra mille difficoltà in epoche recessive, si attengono
ai parametri di Maastricht e agli accordi del Patto di Stabilità.
Per muoversi compiutamente in questa direzione dovranno essere affrontate
in tempi brevissimi alcune questioni, ad esempio il cruciale problema delle
infrastrutture.
All'inadeguatezza strutturale di molte opere europee, si aggiungerà il
problema della costruzione ex novo di reti stradali, ferroviarie e aeroportuali
in diversi nuovi Paesi aderenti e la loro successiva integrazione con quelle
esistenti. Diversamente non è così scontato che le imprese
italiane, tedesche o francesi abbiano interesse a scegliere come partner
quelle lettoni o lituane, e viceversa.
I progetti dei Corridoi europei di transito vanno in questa direzione,
ma già è noto che noi italiani rischiamo di farci scippare
il Corridoio 5 (Lisbona-Kiev), qualora dovesse correre sopra l'arco alpino.
Se anche così non fosse, come si auspica, il tutto avverrebbe esclusivamente
a vantaggio delle regioni settentrionali e ad impatto quasi nullo per le
imprese del Mezzogiorno, obbligate, se vorranno esportare, a sostenere
costi maggiorati per il trasporto su gomma, usufruendo di infrastrutture
inadeguate. Privatizzazioni incomplete e assenza di politiche di project
financing completano il quadro. Parola d'ordine dell'UE: "interoperabilità" e
finanziamenti Comunitari solo a strutture transfrontaliere. Altro aspetto
su cui i Giovani Imprenditori Europei hanno posto la loro attenzione è il
futuro del "family business". Nell'area euro l'85% delle imprese
ha il centro decisionale nell'ambito familiare ma solo il 30% sopravvive
alla seconda generazione.
La poca propensione ad accettare l'ingresso di capitali freschi nella
compagine societaria si riscontra con il lillipuziano mercato borsistico
di casa nostra e lo scarso ricorso a risorse esterne di finanziamento come
il venture capital. È altresì vero che ripristinare un ambiente
adatto alla crescita di aziende esistenti ha la stessa importanza di promuovere
nuove start up, congiuntamente alla maggiore maturità di chi si
appresta a confrontarsi con più competitors.
Quindi, ancora una volta, il crescere di un'incognita è direttamente
proporzionale alle opportunità. Per un imprenditore è pane
quotidiano. Ciò che invece deve ancora diventare parte integrante
del modo di pensare e di strutturare l'impresa è la propensione
all'innovazione. Il Consiglio Europeo in diverse occasioni ha ribadito
che le aree di interesse strategico come la formazione, la creazione di
centri d'eccellenza e la conseguente capacità di generare ricchezza
e posti di lavoro saranno patrimonio dell'Europa di domani.
Tutti questi meccanismi, legati tra loro, avranno la capacità di
dare slancio tanto alle necessarie attività di ricerca applicata
e ICT, per le quali siamo in ritardo, quanto alla rivitalizzazione delle
industrie tradizionali che stentano a maturare una definita tendenza all'innovazione.
Sul fronte della formazione l'Unione avrà il compito di incidere
sulla creazione di un sistema educativo che dia ai giovani l'esatta percezione
delle possibilità di creare dal nulla un'attività imprenditoriale,
incoraggiando ed integrando gli studi con progetti di learning by doing,
rendendo agevolato l'accesso alle business schools degli studenti meritevoli
ma con poche risorse e spingendo le sinergie tra imprese, scuole ed università,
mondi finora tra loro semisconosciuti e destinati a dialogare in sintonia.
Sarebbe auspicabile, inoltre, una maggiore chiarezza in ordine all'accesso
ai finanziamenti dell'Unione e sui criteri di gestione di somme rilevanti
che solo in piccola parte finiscono alle imprese e contribuiscono allo
sviluppo e sempre più spesso restano incagliati tra i sistemi decisionali
delle Regioni. Le aziende italiane, intanto, continuano silenziose la loro
quotidiana battaglia con la burocrazia, pregando strenuamente ogni mattina
che a questa non si aggiunga quella europea. Siamo e saremo sempre più in
mostra dietro una vetrina che si chiama competitività. Finora non
tutto è andato come si sperava e le conseguenze non sono mancate:
Svezia docet. |