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  Dicembre 2012

Articoli - n° 1 Gennaio/Febbraio 2004
 



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L’IDENTITA' COME BALUARDO DI DIFESA
LE PROSPETTIVE DEL SETTORE CONSERVIERO

YES FOR EUROPE
L'INCONTRO CON PRODI

YES FOR EUROPE
L’INCONTRO CON PRODI
Il documento dei Giovani Imprenditori Europei sull’allargamento a 25 Paesi

di Elio de Meo
Consigliere G.I. Assindustria Salerno
saisalerno@gasai.it

Il lungo percorso che dovrà condurre a una proficua integrazione dei mercati nella futura Europa a 25 nazioni partirà da questa affermazione: «Europe is an union of minorities, not majorities». Sono le parole del Presidente della Commissione Europea Romano Prodi rivolte alla platea dei Giovani Imprenditori dello "YES for Europe", la Confederazione che comprende i Gruppi di dieci Stati del Vecchio Continente, riuniti a Bruxelles il 21 e 22 novembre scorsi per il 13° summit. Il tema dei lavori, "Entrepreneurship in a new Europe", affidati alla regia del Presidente olandese Tjark de Lange, riconfermato al vertice dello "YES" nel corso dell'Assemblea Generale, fondava la sua attualità sull'integrazione tra soggetti economici distinti, in vista dell'ormai sempre più vicino ingresso nell'Unione di nuovi 10 Stati membri. Argomento certamente stimolante, al quale Gianfranco Dell'Alba, membro del Parlamento Europeo, prima, e Romano Prodi poi, hanno cercato di dare un contributo.
Il documento presentato dallo "YES for Europe" tocca molti nodi ritenuti critici per una economia che si appresta a dialogare con cinquecento milioni di consumatori, legislazioni e fiscalità differenti e che soprattutto si trova a fare i conti con politiche del mercato del lavoro frammentate, la cui non semplice integrazione sociale e la conseguente riduzione delle disomogeneità fra Stati rappresenterà un terreno di confronto delicato per il libero trasferimento di risorse.
L'apprezzato intervento di Matteo Colaninno, vice Presidente dei G.I. di Confindustria con delega ai rapporti istituzionali, si sofferma sulla lentezza di riforme che un sistema economico come il nostro non può continuare a permettersi.
Riorganizzazione che passerà inevitabilmente da scelte coraggiose ma necessarie, ad esempio in politica monetaria, per rendere attraenti i mercati agli investitori d'oltreoceano e principalmente per consentirne la fruizione alle nostre stesse aziende che magari ne hanno una percezione puramente teorica. In questo contesto si può inoltre leggere l'affermazione del Presidente Prodi secondo cui «enlargement is a problem but it's a great occasion»; quindi matrimonio di convenienza da entrambe le parti, si direbbe, ma occasione ormai non più procrastinabile per un continente sempre più stretto tra la ripresa statunitense e lo sgomitare inarrestabile della Cina. Se a questo si aggiunge un cambio euro/dollaro irrazionale il quadro generale per competere attualmente non è dei più favorevoli.
La "grande occasione" quindi potrà riequilibrare i pesi e caricare le batterie di un sistema che accusa segnali di stanchezza. Appare però poco plausibile che un tale cambiamento dello scacchiere politico ed economico internazionale non porti con sé una componente di incognite quantomeno pari alle opportunità. Prodi non fa cenno alle inevitabili criticità che si presenteranno ospitando sotto lo stesso ombrello culture ed economie profondamente differenti, legate alle problematiche connesse al mantenimento dei parametri richiesti dal Patto di Stabilità, che a 25 inevitabilmente rappresenterà un nodo cruciale, rischiando di far assistere a continue rincorse nei rapporti deficit/pil. Inoltre, come sostiene l'OCSE, ulteriori allentamenti di bilancio potrebbero alimentare un circolo vizioso e creare precedenti scomodi per i Paesi che, pur tra mille difficoltà in epoche recessive, si attengono ai parametri di Maastricht e agli accordi del Patto di Stabilità. Per muoversi compiutamente in questa direzione dovranno essere affrontate in tempi brevissimi alcune questioni, ad esempio il cruciale problema delle infrastrutture.
All'inadeguatezza strutturale di molte opere europee, si aggiungerà il problema della costruzione ex novo di reti stradali, ferroviarie e aeroportuali in diversi nuovi Paesi aderenti e la loro successiva integrazione con quelle esistenti. Diversamente non è così scontato che le imprese italiane, tedesche o francesi abbiano interesse a scegliere come partner quelle lettoni o lituane, e viceversa.
I progetti dei Corridoi europei di transito vanno in questa direzione, ma già è noto che noi italiani rischiamo di farci scippare il Corridoio 5 (Lisbona-Kiev), qualora dovesse correre sopra l'arco alpino. Se anche così non fosse, come si auspica, il tutto avverrebbe esclusivamente a vantaggio delle regioni settentrionali e ad impatto quasi nullo per le imprese del Mezzogiorno, obbligate, se vorranno esportare, a sostenere costi maggiorati per il trasporto su gomma, usufruendo di infrastrutture inadeguate. Privatizzazioni incomplete e assenza di politiche di project financing completano il quadro. Parola d'ordine dell'UE: "interoperabilità" e finanziamenti Comunitari solo a strutture transfrontaliere. Altro aspetto su cui i Giovani Imprenditori Europei hanno posto la loro attenzione è il futuro del "family business". Nell'area euro l'85% delle imprese ha il centro decisionale nell'ambito familiare ma solo il 30% sopravvive alla seconda generazione.
La poca propensione ad accettare l'ingresso di capitali freschi nella compagine societaria si riscontra con il lillipuziano mercato borsistico di casa nostra e lo scarso ricorso a risorse esterne di finanziamento come il venture capital. È altresì vero che ripristinare un ambiente adatto alla crescita di aziende esistenti ha la stessa importanza di promuovere nuove start up, congiuntamente alla maggiore maturità di chi si appresta a confrontarsi con più competitors.
Quindi, ancora una volta, il crescere di un'incognita è direttamente proporzionale alle opportunità. Per un imprenditore è pane quotidiano. Ciò che invece deve ancora diventare parte integrante del modo di pensare e di strutturare l'impresa è la propensione all'innovazione. Il Consiglio Europeo in diverse occasioni ha ribadito che le aree di interesse strategico come la formazione, la creazione di centri d'eccellenza e la conseguente capacità di generare ricchezza e posti di lavoro saranno patrimonio dell'Europa di domani.
Tutti questi meccanismi, legati tra loro, avranno la capacità di dare slancio tanto alle necessarie attività di ricerca applicata e ICT, per le quali siamo in ritardo, quanto alla rivitalizzazione delle industrie tradizionali che stentano a maturare una definita tendenza all'innovazione. Sul fronte della formazione l'Unione avrà il compito di incidere sulla creazione di un sistema educativo che dia ai giovani l'esatta percezione delle possibilità di creare dal nulla un'attività imprenditoriale, incoraggiando ed integrando gli studi con progetti di learning by doing, rendendo agevolato l'accesso alle business schools degli studenti meritevoli ma con poche risorse e spingendo le sinergie tra imprese, scuole ed università, mondi finora tra loro semisconosciuti e destinati a dialogare in sintonia.
Sarebbe auspicabile, inoltre, una maggiore chiarezza in ordine all'accesso ai finanziamenti dell'Unione e sui criteri di gestione di somme rilevanti che solo in piccola parte finiscono alle imprese e contribuiscono allo sviluppo e sempre più spesso restano incagliati tra i sistemi decisionali delle Regioni. Le aziende italiane, intanto, continuano silenziose la loro quotidiana battaglia con la burocrazia, pregando strenuamente ogni mattina che a questa non si aggiunga quella europea. Siamo e saremo sempre più in mostra dietro una vetrina che si chiama competitività. Finora non tutto è andato come si sperava e le conseguenze non sono mancate: Svezia docet.

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