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  Dicembre 2012

Articoli - n° 1 Gennaio/Febbraio 2004
 



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CINA E INDIA LANCIANO LA SFIDA
DAL SOTTOSVILUPPO AL PROTAGONISMO

L’esigenza di una nostra nuova collocazione nello scenario mondiale

a cura dell’Area Legislativa Assindustria Salerno


di Oreste Pastore
Area Legislativa Assindustria Salerno
o.pastore@assindustria.sa.it


Le analisi di fine anno e le previsioni per il 2004 hanno riproposto sulla scena economica europea lo spauracchio di due Paesi che costituiscono secondo alcuni una minaccia; secondo altri, una opportunità per l'economia occidentale. Infatti, mentre George W. Bush provava a risolvere come sappiamo i suoi problemi con il mondo arabo e a Parma si registrava un uso anomalo degli scanner in una grande azienda multinazionale, la Cina si posizionava al quinto posto negli scambi mondiali, con un valore dell'interscambio complessivo che è in progressivo aumento da un decennio. La costante crescita del PIL dal 1994, con una previsione di quasi 1500 miliardi di dollari per il 2004, pone la Cina già fra i "giganti" mondiali. Il Paese asiatico ha raggiunto il 70% del volume assoluto di produzione di fotocopiatrici, il 60% di biciclette, il 50% di computer e calzature; ma anche il 45% dei pomodori che si producono al mondo sono cinesi. Sei giocattoli su 10 sui mercati mondiali sono cinesi. Questo a fronte di un costo della manodopera che nel 2001 era di mezzo dollaro all'ora (rispetto ai 18,4 in Europa e ai 20,3 negli Stati Uniti). Le analisi condotte anche da Confindustria dimostrano inoltre che la Cina è divenuto inoltre il terzo importatore mondiale in assoluto, dopo gli Usa e la Germania, con un valore stimato di circa 400 miliardi di dollari e con una crescita di oltre il 40% nel 2003 rispetto al 2002. In considerazione di tali trend, la Pechino ha accumulato oltre 400 miliardi di dollari di riserve valutarie. Previsioni più di lungo periodo parlano di un incremento pari a 1000 miliardi dollari di importazioni nel corso dei prossimi due anni, mentre la crescita delle esportazioni sarà più lenta. La Cina ha raggiunto gli Stati Uniti nell'attrarre investimenti stranieri diretti a livello mondiale, con flussi stimati intorno a 53 miliardi di dollari, e una crescita di circa il 10% all'anno.
Anche gli scambi bilaterali tra l'UE e la Cina sono aumentati notevolmente: nel 2002 la Cina è divenuta il secondo partner commerciale dell'UE, superando il Giappone. Gli scambi bilaterali hanno raggiunto i 115 miliardi di euro ed il deficit commerciale dell'UE con la Cina è stato di oltre 47 miliardi di euro nel 2002. L'UE è uno dei maggiori investitori stranieri in Cina con uno stock di investimenti stranieri diretti di 34 miliardi di dollari alla fine del 2002. Nel corso del 2002 la distribuzione delle importazioni UE dalla Cina ha visto al primo posto la Germania con oltre 19 miliardi di euro, seguita dalla Gran Bretagna con circa 17 miliardi di euro, dall'Olanda con circa 12 miliardi di euro, dalla Francia e dall'Italia con oltre 8 miliardi di euro. Anche dal lato delle esportazioni UE verso la Cina, nel corso del 2002 la Germania è al primo posto con oltre 14 miliardi di euro, seguita da Italia con 4 miliardi di euro (e una crescita del 23% circa rispetto all'anno precedente), Francia, Gran Bretagna e Olanda.
Nel corso del primo trimestre del 2003, dal lato delle importazioni UE dalla Cina l'Olanda registra rispetto al 2002 una crescita di circa il 27%, la Germania del 18% e l'Italia del 15% circa. Per quanto riguarda le esportazioni UE verso la Cina, una crescita significativa è registrata dalla Francia con il 43% e dall'Italia con oltre il 27% rispetto al 2002. Se la Cina è il principale dilemma di fronte al quale si pone la nostra economia, grazie ai suoi eccezionali volumi di produzione e di scambio, l'India è il Paese che si propone di sfidare il primato economico americano grazie al basso costo del lavoro e ai suoi preparatissimi laureati.
A Bangalore ci sono più ingegneri elettronici che nell'intera Silicon Valley: 150mila contro 120mila. E costano meno: a Bangalore la media dello stipendio annuo è circa 10 mila dollari; nella Silicon Valley oltre 80 mila. Ogni anno dai sei Politecnici indiani escono circa 260mila ingegneri. Bastano questi numeri per capire che l'India sfida come nessun altro Paese la supremazia USA nell'economia digitale. Grandi aziende come Intel e Texas Instruments sfruttano le condizioni favorevoli per spostare in India i loro centri di ricerca e sviluppo. La miscela indiana del successo è fatta di cultura anglosassone ereditata dall'Impero britannico, costi della vita e del lavoro fra i più competitivi e investimenti aggressivi sulla formazione delle nuove generazioni.
A ciò bisogna aggiungere che gli indiani che vengono a studiare negli USA una volta terminata l'Università tornano indietro, diversamente dagli europei che preferiscono restare. A differenza di quanto avviene per la Cina, gli americani non percepiscono però la crescita economica indiana come una minaccia nazionale. Trattandosi della più popolosa democrazia del mondo alle prese da anni con gli attacchi del terrorismo fondamentalista islamico, i sentimenti che prevalgono sono solidarietà, amicizia e molto spesso stima. Con l'eccezione di Wall Street, dove invece l'India fa paura. La politica economica del Governo in carica, di cui riferisce un recente articolo de Il Sole 24ore, asseconda un grande progetto di sviluppo: tagli ai dazi doganali, esenzioni fiscali, liberalizzazione dei movimenti di capitale, accesso agevolato al credito. La lunga lista degli interventi approvata, dal premier Atal Mehari Vajpayee, a sorpresa all'inizio dell'anno è certo un’operazione per stimolare i consumi interni, ma è anche un ulteriore favore alle imprese straniere, che si vedono ridurre i dazi doganali in entrata. Anche i più recenti dati congiunturali confermano il buon momento del Paese.
La crescita del PIL ha toccato l'8,4% nel trimestre luglio-settembre e per l'anno fiscale 2003, in scadenza a marzo, le previsioni indicano una crescita compresa tra il 7 e l'8%. Un risultato che si regge su un'industria in forte crescita (+8,1% il settore manifatturiero a novembre) e sui servizi. L'India non viveva da anni una congiuntura così favorevole, e il Governo sembra avere tutte le intenzioni di alimentarla: è questa la premessa ai recenti provvedimenti, in certi casi "rivoluzionari" per il Paese. Tra questi spicca l'abolizione del limite di 100 milioni di dollari sugli investimenti all'estero delle imprese indiane: ora possono investire fino al 100% del proprio valore in operazioni oltre frontiera
Altrettanto importante è la possibilità per i residenti di portare all'estero fino a 25mila dollari e, sempre in tema di liberalizzazione dei movimenti di capitale, alle imprese indiane sarà consentito di finanziarsi sui mercati internazionali allo scopo di realizzare progetti infrastrutturali senza l'obbligo di ottenere il via libera dal Governo.
Ancora: verrà istituito un fondo da 1,75 miliardi di euro che fornirà finanziamenti a tasso agevolato (200 punti base al di sotto del tasso base) alle piccole e medie imprese; e per gli abitanti delle campagne, che rappresentano i 3/4 della popolazione, è in arrivo un programma triennale da 8,75 miliardi di euro per lo sviluppo delle infrastrutture e del credito rurale. Cina e India: il cammino di questi due Paesi dal sottosviluppo al protagonismo pone nuove sfide alla nostra economia, anche sul piano strettamente locale. Il costo dei fattori della produzione sta mettendo l'Italia e le sue Aziende sempre più fuori mercato. Di converso, le caratteristiche culturali, sociali e geomorfologiche potrebbero esaltarne il ruolo di Patria delle eccellenze nell'industria del design, del lusso, della moda e saremo sempre tra le mete che un immenso numero di nuovi consumatori metterà al primo posto entrando nel mercato delle vacanze. Le scelte di politica economica dovranno favorire una nostra nuova collocazione nello scenario mondiale. Senza temere né tigri cinesi né indiane.

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