La Conciliazione civile
e commerciale È legge
Ordini professionali in prima linea per la soluzione pacifica delle liti civili
M. Marinaro
Avvocato Cassazionista - Conciliatore CCIAA Salerno, Avellino, Caserta
Perfezionato in Diritto dell’arbitrato interno ed internazionale - Univ. Salerno
Membro dell’AIA Associazione Italiana per l’Arbitrato
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Mentre Unioncamere diffondeva i dati delle conciliazioni gestite dalle Camere di Commercio nel 2008 segnalando un ennesimo e deciso incremento rispetto al precedente anno pari al 45%, con 136 voti favorevoli, 92 contrari e 4 astenuti, Palazzo Madama il 26 maggio 2009 approvava la legge 18 giugno 2009 n. 69 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 140 in data 19 giugno) recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”.
L’art. 60 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dal momento dell’entrata in vigore della legge di riforma, uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale. Così entro il termine del 4 gennaio 2010 dovranno essere emanate per la prima volta nell’ordinamento italiano norme a carattere generale che disciplineranno la materia. I princìpi ed i criteri direttivi ai quali il Governo dovrà attenersi sono particolarmente rilevanti ed appare interessante esaminare quelli principali:
1) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia; si chiariscono due princìpi chiave della mediazione tesa alla conciliazione e cioè che la stessa possa avere ad oggetto soltanto diritti disponibili (situazioni soggettive patrimoniali e non situazioni soggettive personali) e che l’accesso alla conciliazione non deve mai essere preclusivo dell’accesso alla giustizia ordinaria. In questa disposizione vi è quindi anche la distinzione tra la mediazione non finalizzata alla conciliazione (che quindi può aver ad oggetto situazioni personali, come ad esempio i rapporti di famiglia) e la mediazione tesa alla conciliazione; autorevole dottrina ha da tempo chiarito infatti che il ruolo del mediatore è quello «di convincere le parti a tenere comportamenti conformi alle prescrizioni normative, o più in generale a meglio soddisfare gli interessi in gioco»; la conciliazione in questi casi ha tecnicamente «la funzione di prevenire comportamenti illeciti o comunque inopportuni: non già quella di porre termine ad una controversia»;
2) prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione; la scelta dell’odierno legislatore segue quella già effettuata dal legislatore del 2003 quando nel disciplinare la conciliazione in materia societaria venivano per la prima volta regolamentati i cosiddetti organismi di conciliazione istituendo il Registro per la loro iscrizione per il Ministero della Giustizia; è una scelta che mira alla costituzione di enti dedicati in grado di gestire professionalmente le procedure di mediazione; in questa prospettiva viene altresì previsto proprio come per la materia societaria (ed invero viene prevista proprio lì estensione del D.Lgs. 5/2003) l’iscrizione di diritto delle Camere di Commercio affidando al Ministro della Giustizia l’indicazione dei requisiti per l’iscrizione;
3) prevedere la possibilità, per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli stessi consigli; più volte l’avvocatura ha posto l’accento sul rilievo costituzionale del suo ruolo sottolineando il notevole contributo che la stessa potrà dare per la crescita e la corretta attuazione degli strumenti conciliativi; in questa direzione il legislatore ha ritenuto di attribuire notevole rilievo agli organismi che potranno essere costituiti dagli Ordini Forensi tanto che gli stessi saranno iscritti di diritto nel Registro tenuto presso il Ministero della Giustizia;
4) prevedere, per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali; di notevole rilievo è la possibilità espressamente attribuita agli altri Ordini professionali di istituire organismi di conciliazione “in particolari materie”; la ratio di questa disposizione è chiaramente quella di creare degli organismi specializzati ed autorevoli in grado di gestire con professionalità le controversie in un determinato ambito. In questa direzione e anticipando i tempi si segnala l’istituzione della Camera di Conciliazione per la materia sanitaria da parte dell’Ordine dei Medici di Salerno il quale sulla scia dell’esperienza maturata dall’Ordine dei Medici di Roma con il Progetto Accordia (che prevede la soluzione delle controversie presso la Camera di Conciliazione degli Avvocati di Roma) ha istituito un autonomo organismo di conciliazione in grado di gestire con specifica competenza la complessa materia della responsabilità sanitaria; anche per questi organismi il legislatore ha previsto l’iscrizione di diritto nel Registro tenuto presso il Ministero della Giustizia;
5) prevedere che le indennità spettanti ai conciliatori, da porre a carico delle parti, siano stabilite, anche con atto regolamentare, in misura maggiore per il caso in cui sia stata raggiunta la conciliazione tra le parti; particolare interesse suscita questa norma che introduce una novità nel consolidato sistema di retribuzione del conciliatore. Sulla scorta dell’esperienza maturata principalmente presso le Camere di Commercio infatti il compenso dei conciliatori viene attualmente commisurato al valore della liti in misura fissa e quindi a prescindere dall’esito della procedure; si introduce invece un criterio che prevede la possibilità di commisurare il compenso all’esito positivo del procedimento conciliativo. É evidentemente un meccanismo che mira ad incentivare l’attività del conciliatore rendendolo partecipe seppure indirettamente dell’esito dell’attività che compie;
6) prevedere il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione; particolarmente importante è questa previsione in quanto è presso lo studio dell’avvocato che le parti assumono le decisioni strategiche in relazione alla insorgenda lite; è l’avvocato che può orientare scelte e soluzioni congiuntamente alle parti finalizzando la scelta di una opzione conciliativa senza pregiudicare in ogni caso la tutela giudiziale;
7) prevedere che il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro mesi; uno dei principali vantaggi del procedimento conciliativo è la rapidità e la stessa deve essere garantita sia per incentivare la parti sia per non pregiudicare il ricorso alla giustizia ordinaria;
8) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di incompatibilità tale da garantire la neutralità, l’indipendenza e l’imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni; questa è l’unica norma che riguarda direttamente il conciliatore; il legislatore ha ritenuto centrale per la funzione che lo stesso dovrà svolgere di prevedere norme che ne garantiscano neutralità, indipendenza e imparzialità; questi princìpi potranno essere garantiti dalla sensibilità del conciliatore stesso in grado di valutare quanto nel procedimento conciliativo assuma rilievo l’autorevolezza della sua presenza e del suo ruolo privo di potere decisorio.
Infine, la L. 69/2009 all’art. 60 indica al Governo delegato di prevedere forme di agevolazione diretta ed indiretta della conciliazione ed in particolare:
9) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell’accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l’accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, salvo quanto previsto dagli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile, e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato ai sensi dell’articolo 9 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115;
10) prevedere, a favore delle parti, forme di agevolazione di carattere fiscale;
11) prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Dopo i numerosi disegni di legge che si sono succeduti nelle ultime legislature, finalmente la strada della conciliazione è stata imboccata prevedendo per la prima volta una disciplina organica che dovrà avviare e supportare un percorso culturale in grado di avvicinare i contendenti ad uno strumento alternativo alla giustizia ordinaria. Si tratta di un percorso che, al di là dagli incentivi fiscali e/o processuali, richiede la costruzione su nuove base culturali del rapporto litigioso nella prospettiva di una giustizia che autorevole dottrina ha definitivo “coesistenziale”. L’accesso allo strumento conciliativo non trova quindi ragione ed interesse nelle pur utili agevolazioni tecniche e fiscali quanto nella capacità che tutti i soggetti coinvolti saranno in grado di esprimere valorizzando le peculiarità di una soluzione conciliativa. Soltanto in questa prospettiva gli strumenti alternativi per la soluzione stragiudiziale delle controversie dei quali la conciliazione diviene il baricentro potranno assumere sia pur in maniera riflessa un ruolo nella deflazione del contenzioso giudiziario giunto a livelli ormai difficilmente gestibili ed in grado di assicurare la tutela dei diritti secondo quanto costituzionalmente garantito.
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