Confindustria Caserta rinnova le cariche: Della Gatta verso la presidenza
Beni culturali e sviluppo territoriale:
da Caserta un progetto pilota
L’impresa come fabbrica di competenze
Telecomunicazioni, il Comune realizza
una rete veloce per le aziende
di Rita Santarelli, vice presidente esecutivo Luiss
L’impresa come fabbrica di competenze
Giovani, formazione e mondo della produzione: occorrono scuole e università
che coltivino creatività e merito per sbloccare la società
Rita Santarelli
La Luiss a caccia dei talenti. Presso la sede dell’associazione degli industriali il 19 novembre scorso si è tenuto un incontro con circa 200 studenti delle ultime classi delle scuole della provincia di Caserta, cui sono state illustrate le opportunità di studio e degli sbocchi professionali offerti dalla Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli” di Roma. Dopo l’introduzione dei lavori da parte del presidente di Confindustria Caserta Carlo Cicala, l’offerta formativa della Luiss è stata illustrata dal docente Giuseppe Di Taranto, dal responsabile Relazioni esterne Alessandro Petti e dalla neo laureata Annabella Del Giudice.
Di seguito una riflessione sul tema di Rita Santarelli, vice presidente esecutivo Luiss. (A. A.)
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I nostri giovani si scontrano sempre più con le contraddizioni, e spesso coi privilegi, di una società bloccata e guidata da una classe dirigente invecchiata e poco generosa proprio verso le giovani generazioni. Per questi motivi guardano con preoccupazione al futuro.
Nei paesi occidentali più avanzati, per di più, le conoscenze richieste crescono in parallelo con l’istruzione dei ragazzi, mentre in Italia questo non accade. Il nostro sistema produce infatti prevalentemente “a basso tasso di innovazione” e a scarso impiego di personale qualificato, cosicché solo la metà dei lavori offerti dal mercato è diretta a diplomati e laureati.
Per vivere e lavorare in questa società globale occorre dare ai giovani - e i giovani stessi debbono darsi - una cultura del cambiamento, in un processo di autoformazione continua. I giovani hanno bisogno in particolare di scuole e università che coltivino creatività e merito e che formino a studiare da “specialisti flessibili” - come li ha definiti efficacemente Nicola Cacace - sempre pronti ad apprendere nuovi lavori.
Il principale nodo è che un’offerta formativa non del tutto in linea con le esigenze del mercato.
In Europa la spesa per istruzione viene considerata e trattata non come un costo ma come un investimento, anzi come il più importante degli investimenti. In Italia non mancano le eccellenze nella scuola e nella formazione, ma ciò che manca è un generalizzato elevamento degli standard. Ciò richiede un progetto di valorizzazione della cultura professionale per avvicinare i giovani al mondo delle imprese, un grande sforzo comune che permetta a quanti più giovani possibile di sperimentare occasioni di professionalizzazione durante il proprio percorso formativo e comunque “prima” dell’ingresso nel mercato del lavoro.
Lo sviluppo del territorio e la valorizzazione del tessuto economico produttivo locale sono strettamente correlati, come ben sappiamo, a una efficace interazione tra formazione e valorizzazione delle risorse umane, ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico. In altri termini vi è oggi sempre più stretta correlazione tra sistemi produttivi e sistemi formativi.
L’unica ricetta possibile è di modernizzare il sistema formativo su parametri europei, per arrivare nei tempi più brevi possibili alla creazione, accanto ai poli tecnologici e ai sistemi locali, di sistemi formativi che operino in sintonia con i settori produttivi e più in generale con le esigenze del mondo del lavoro.
Per quanto riguarda la realtà delle Università italiane, si riscontra una proliferazione di realtà accademico-formative e corsi che spesso appaiono tra loro in chiara sovrapposizione e spesso vanno a discapito della qualità formativa stessa, generando confusione nei giovani e di fatto penalizzando anche chi si affaccia al mercato del lavoro.
Tra i principali mali dell’università italiana vi sono una collegialità solo apparente che copre in realtà una somma di individualismi; l’assenza di valutazione dei risultati; scarsa trasparenza; zero accountability e l’assenza di incentivi indirizzati alla qualità. Ma sopratutto vi è la difficoltà ad attrarre e trattenere i migliori talenti e ad investire in ricerca.
Mettere ordine in questo “mondo” significa innanzitutto accompagnare, ad esempio, un’espansione dell’offerta formativa con una maggiore differenziazione e specializzazione degli atenei. Significa poi estendere e generalizzare il ruolo dei sistemi di valutazione all’interno delle strutture universitarie. Significa ancora incentivare l’efficienza e la qualità con il finanziamento attraverso la domanda.
La cosa migliore sarebbe cioè che i soldi seguissero gli studenti, nel presupposto che gli studenti scelgano sulla base della qualità.
Ciò che non vorrei proprio è che le nostre università finiscano per operare come istituzioni di selezione dei giovani migliori e più capaci, da inviare poi presso centri di formazione e ricerca stranieri.
Il punto è allora: perché non siamo ancora pronti come sistema-Paese ad affrontare il cambiamento? Cioè: perché il nostro sistema-Paese (educazione, ricerca, formazione professionale, finanza, propensione ad innovare, ecc.) non è ancora attrezzato a cogliere la sfida del cambiamento posta dalla società-economia della conoscenza? Aumentando ad esempio gli investimenti sui giovani, la risorsa più strategica che abbiamo?
Vi sono nel nostro sistema educativo molte imperfezioni, tanto più gravi in quanto già risolte dai Paesi nord europei, che richiedono altrettanti interventi: stage in azienda progettati per i bisogni effettivi delle imprese ed effettivamente accompagnati da un tutor; l’introduzione di criteri di meritocrazia nel corpo docente; metodi di valutazione degli studenti e dell’efficienza; un percorso di studi non solo accademico, che punti anche alla specializzazione; una formazione professionale di qualità e realizzata in stretto raccordo con le imprese; una spesa per istruzione coerente con l’esigenza di effettuare un vero grande investimento strategico nei giovani per raggiungere elevati standard Paese; la formazione non come costo aziendale aggiuntivo; l’attenzione costante alle nuove tecnologie ecc.
É in questo delicato processo di costruzione delle competenze professionali, a fianco di quelle istituzionali e culturali, che l’impresa quale “fabbrica di competenze”, con la propria organizzazione e cultura del lavoro, può trasmettere ai giovani e al Paese i valori e gli obiettivi dello spirito intraprenditivo e dell’imprenditorialità stessa. Sono queste le ragioni che attribuiscono all’impresa un ruolo preciso e originale nel completamento del percorso formativo dei giovani, caratterizzandola proprio per la sua capacità di creare professionalità coerenti con la domanda.
Si registra invece, a fronte di tutto ciò e rispetto ai nostri partner europei, ancora un’incapacità del sistema Italia a fare esplodere in positivo l’intelligenza di cui dispone. Ciò a causa delle carenze formative che impediscono di cogliere le opportunità di lavoro e che spesso sono il motivo di ulteriore divario tra Nord e Sud (come documenta un’indagine del Ministero della Pubblica Istruzione, secondo cui solo il 2,2% dei 2,5 milioni degli italiani in possesso di qualifiche professionali proviene dal sud, contro il 6,5% dal nord).
Ciò che serve allora è focalizzare gli sforzi su un’attenta individuazione dei bisogni di una società che muta a ritmi rapidissimi, creando un ambiente educativo consono alle esigenze connesse alle attività professionali di un futuro…che è già oggi.
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