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  Dicembre 2012

Articoli n° 10
DICEMBRE 2008
confindustria - Home Page
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Lo spirito
della ricostruzione contro la recessione

di Raffaella Venerando

Recuperare la solidità industriale attraverso il ricorso all’economia immateriale è la strada da percorrere per rispondere alla pressione competitiva internazionale


«Il Mezzogiorno può riemergere solo con interventi progettuali di sistema. è necessaria una politica economica che consenta al Sud di non essere tagliato fuori dal rilancio»

Intervista con Alberto Tripi

Alberto Tripi,
Presidente Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici


Presidente Tripi, lei è a capo di una delle più grandi Federazioni di Confindustria, quella che rappresenta i Servizi Innovativi e Tecnologici, cosa si intende con questa accezione?

La Federazione nasce due anni fa dalla fusione tra Federcomin (che presidiava il settore dell’ICT) e FITA (che rappresentava il settore del terziario avanzato). L’idea di unire questo settore della rappresentanza confindustriale nasce dalla constatazione del sempre maggior peso che una serie di servizi ad alto valore aggiunto (che abbiamo definito appunto innovativi e tecnologici) hanno acquisito nelle economie avanzate: in Italia parliamo di una quota stimata intorno al 25% del PIL (considerando anche l’indotto), di 1 milione di imprese circa per oltre 2,5 milioni di addetti. Tratto comune delle nostre imprese è il forte contenuto innovativo, tecnologico e di conoscenza, dei servizi erogati ai clienti (che appartengono al manifatturiero, agli altri settori di servizio, al settore pubblico alla società in generale), spesso in formato “digitale” o intangibile. Oggi appartengono alla nostra Federazione 45 associazioni di categoria e 63 sezioni territoriali (come Salerno e Napoli ad esempio) che rappresentano circa 17.000 imprese, con 600.000 addetti e un fatturato complessivo di circa 117 miliardi di Euro (pari al 40% del volume d’affari del settore).

Si parla molto della crisi della finanza. Quali sono le priorità dei vostri associati nel rapporto con il mondo del credito?
Una delle crisi è senza dubbio quella della finanza internazionale. Ma non è la sola, perché già prima del fallimento della banche americane era in atto da alcuni mesi una significativa contrazione del mercato in alcuni comparti del manifatturiero (automobile) e dei servizi (immobiliare). Ora la crisi di liquidità di cui sta soffrendo il settore bancario sta provocando una generalizzata stretta creditizia che colpisce tutte le imprese, ma in modo particolare quelle del settore dei servizi innovativi e tecnologici che hanno una minore immobilizzazione materiale del patrimonio e una ridotta capacità di autofinanziamento dovuta in particolare al fenomeno dei ritardati pagamenti da parte dei committenti del settore pubblico. Abbiamo posto per primi e con forza il problema stimandolo, nel nostro settore, a oltre 2 miliardi. Solo adesso in Italia si comincia a prendere consapevolezza che questo è un “laccio” capace di strozzare l’attività delle PMI (la Corte dei Conti lo ha recentemente stimato in 50 miliardi). Le iniziative che abbiamo intrapreso per aiutare le nostre imprese a superare la crisi di liquidità seguono sostanzialmente due vie: la semplificazione nell’accesso al credito (sono allo studio appositi accordi con l’Abi) e le facilitazioni normative per attenuare gli effetti dei ritardati pagamenti (attraverso l’impegno che anche la Presidente Marcegaglia ha preso in tal senso). Già nel febbraio scorso avevamo lanciato un appello: “Dare più credito al futuro”. Basato essenzialmente su queste proposte: la Banca dell’Innovazione, il Rating tecnologico, la creazione di un meccanismo di “factoring pubblico” o di certificazione automatica del credito vantato verso la PA, il posticipo del pagamento dell’IVA.

Di fronte alla recessione in atto come reagisce il settore? Quali proposte avanzerete?
Il settore dei Servizi Innovativi e Tecnologici non è immune dal contagio della crisi, anche se da sempre ha un comportamento anticiclico e da anni cresce a ritmi superiori a quelli registrati dal PIL. In questo senso abbiamo segnali in chiaroscuro. Le medie imprese industriali del Made in Italy, quelle del “quarto capitalismo” per intenderci, e anche una consistente fetta delle piccole imprese più dinamiche, sembrano in questo momento essere inclini a reagire alla crisi investendo di più in innovazione. E questo potrebbe favorire alcuni nostri comparti. Tuttavia la crescita dell’occupazione nel nostro settore ha già registrato un primo segnale congiunturale di arretramento (-1,2% nel secondo trimestre). Nel terzo trimestre è poi crollato anche l’indice del clima di fiducia delle nostre imprese, ritornato sui livelli del 2004. Non a caso nei primi 3 trimestri del 2008 la mortalità delle imprese dei Servizi Innovativi è aumentata dell'8% rispetto ai primi 3 trimestri del 2007 (34mila imprese hanno già chiuso i battenti, principalmente nel campo immobiliare).
Per uscire dalla recessione occorre “Fare sistema”, non ragionare per settori, o peggio per comparti. Operare per il “Sistema-Paese”, vuol dire ritrovare lo “spirito della ricostruzione”, quel denominatore comune che unisce un desiderio collettivo di riscatto a un robusto spirito d’iniziativa. È il momento della concretezza, come valore di un’utopia possibile che deve portare a “fare sistema” intorno a un “pacchetto” di Progetti-Paese orientati a una modernità non ambigua e apparente. Penso a iniziative progettuali per favorire l’innovazione nell’industria manifatturiera, nella sanità, nella logistica-trasporti, nel turismo e cultura, nell’energia, nelle Pubbliche Amministrazioni. C’è tanto da fare, ma serve anche una regìa forte e condivisa delle priorità.

A cosa pensa esattamente?
Al Mezzogiorno, ad esempio, che è “sommerso” da una valanga di Fondi Strutturali inutilizzati. Può riemergere solo con interventi progettuali di sistema. Vede, il dibattito sul federalismo fiscale ha fatto riemergere le problematiche del Mezzogiorno e la necessità di individuare una politica economica che consenta ai territori del Sud di non essere tagliati fuori dal rilancio. Per il Mezzogiorno l’attuazione di un effettivo federalismo fiscale può avere un effetto positivo solo se si lega a una gestione che innalza le capacità di management e utilizza efficacemente le risorse dell’UE. In questa direzione dobbiamo fare leva su ambiente, talenti naturali e professionali. Con i Progetti Paese possiamo contribuire a creare realizzazioni integrate nord-sud che promuovano nuove filiere produttive dove intelligenza, competenza, eccellenza possono finalmente diventare i fattori trainanti della nuova economia meridionale.

All’interno di Confindustria lei ha la delega del Presidente per coordinare tutte le Federazioni che rappresentano i Servizi. Come si sta muovendo?
Il tavolo di coordinamento rappresenta settori che valgono nel loro complesso il 41% del Pil (per un valore di 562 miliardi di euro); il 30% degli occupati (7,5 milioni) e il 33% delle imprese (1,7 milioni). Forti di questi numeri abbiamo cominciato a ragionare con Gian Maria GrosPietro (presidente di Federtrasporto), Pietro Guindani (presidente di Asstel), Massimo Sarmi (amministratore delegato di Poste Italiane), Ennio Lucarelli (presidente di Assinform), Pasquale De Vita (presidente di Confindustria Energia), Federico Motta (presidente Sistema Cultura Italia), Guido Riva (presidente Comitato Tecnico Sanità), Daniel John Winteler (presidente di Federturismo), e tre imprenditori rappresentativi del territorio come Gian Luca Rana (presidente di Confindustria Verona), Ivanhoe Lo Bello (presidente di Confindustria Sicilia) e Aurelio Regina (presidente degli Industriali romani). L'unico modo per reagire a questa crisi, che è più strutturale che congiunturale, è pensare in concreto e camminare insieme. Abbiamo scelto di farlo elaborando una serie di progetti il cui impatto sarà fondamentale per innalzare la qualità della vita, l'efficienza della macchina burocratica e la competitività imprenditoriale. Lo strumento saranno i servizi innovativi, attraverso i quali crescerà anche il valore del prodotto manifatturiero. Recuperare la solidità industriale attraverso il ricorso alla cosiddetta economia immateriale è, a parer nostro, la strada da percorrere per rispondere alla pressione competitiva internazionale. Partendo da questi presupposti stiamo per selezionare alcuni progetti che per impatto economico e capacità innovativa potrebbero rilanciare l'economia del Paese. È questa la nostra ricetta per uscire dalla crisi e modernizzare il Paese. Un obiettivo che può trovare possibilità concrete all’interno del piano "Industria 2015", il programma governativo dove sono previste risorse consistenti per le reti d' impresa e i progetti innovativi.

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