La gestione dei Servizi Pubblici locali
e i continui “ripensamenti” del Legislatore
Ad oggi l’affidamento diretto è consentito solo se coerente
con la disciplina comunitaria e con una serie di restrizioni
Con il tempo
si è arrivati ad un potenziamento
della tutela della concorrenza
mentre si è ridotta sensibilmente
la discrezionalità dell’ente Luigi D’Angiolella
Avvocato studiodangiolella@tin.it
L’affidamento dei Servizi Pubblici locali di rilevanza economica è stato oggetto di particolare attenzione da parte del Legislatore e della giustizia amministrativa sin da quando, con l’articolo 22 della legge 8 giugno 1990 n. 142 furono introdotte, nell’ordinamento degli enti locali, le società miste pubblico-private.
Da qui, una serie di interventi tesi ad attribuire un sempre maggiore spazio di discrezionalità all’ente nella gestione dei servizi pubblici locali consentendogli, di scegliere tra diverse forme di gestione, fino al decreto legislativo n. 267/2000 che consente di avvalersi di più modelli, tra cui società con capitale pubblico intero, maggioritario o minoritario.
Le società pubbliche e/o miste, infatti, hanno da subito ottenuto il favor degli operatori, trattandosi di entità flessibili rispetto alle altre forme di gestione, per lo spiccato elemento di imprenditorialità che le connota.
Si è diffusa, negli anni scorsi, anche una prassi giurisprudenziale che ha avallato l’affidamento diretto dei servizi a queste società, senza previa procedura ad evidenza pubblica, ritenendolo conforme ai principi di trasparenza.
Come già si è avuto modo di trattare in questa rubrica, col tempo però numerosi sono stati i ripensamenti sul tema, anche perché le esigenze concrete hanno evidenziato non poche storture, tanto da portare via via ad irrigidimenti formali che sempre di più hanno reso difficoltosa l’operatività di tali enti gestionali.
Oggi la possibilità dell’affidamento diretto è considerata un’eccezione; ne è conseguito che il ricorso alla costituzione di una società pubblica e/o mista ai fini dell’erogazione del servizio non è sembrata più opportuna, mancando la “garanzia” stessa che ne incentivava la costituzione, vale a dire la certezza di ottenere in via diretta la gestione del servizio.
L’ultimo intervento di “restringimento” della portata del fenomeno, è recentissimo.
Con l’articolo 23-bis della legge 133 del 2008, è stato definitivamente sancito il principio per cui la modalità ordinaria di affidamento del servizio a terzi gestori è la gara ad evidenza pubblica. L’affidamento diretto è consentito solo se coerente con la disciplina comunitaria e con una serie di restrizioni.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con una comunicazione del 29 ottobre 2008, ha chiarito che l’ente che intende procedere all’affidamento diretto, prima della delibera di affidamento del servizio, deve presentare una richiesta all’Autorità stessa, per il rilascio di un parere dal quale lo stesso non può discostarsi (sostanzialmente si tratta di un parere vincolante), fornendo informazioni particolarmente dettagliate.
Ne deriva un potenziamento della tutela della concorrenza e una restrizione della discrezionalità dell’ente rispetto alle originarie intenzioni del Legislatore.
A mio parere tali restrizioni formali non colpiscono nel segno. Forse per poter giungere ad un punto di equilibrio, sarebbe più opportuna una seria verifica di tali servizi in base all’efficienza del risultato che ne consegue, indipendentemente dalla loro forma di organizzazione.
Quello che di positivo hanno portato gli strumenti civilistici nella gestione della Pubblica Amministrazione non va disperso in mille strettoie formali.
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