IL SEGNALIBRO
a cura di Raffaella Venerando
La dieta e i sensi
Un libro di Giuseppe Fatati, Presidente dell’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione clinica (ADI)
Dopo tanti anni di medicina tradizionale e di pubblicazioni scientifiche, nel senso più ortodosso del termine, Giuseppe Fatati - Presidente dell’ADI - ha voluto scrivere la sua idea sul mondo della dietetica e delle prescrizioni alimentari cercando di rispondere ad un quesito epocale: perché le diete non hanno successo? Ha dato così alle stampe La Dieta e i Sensi (Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, Ottobre 2008) un volumetto particolare dove scienza, società ed esperienza clinica si intrecciano seguendo il filo logico del pensiero dell’autore.
Le difficoltà per i pazienti non risiedono nell’apprendimento delle varie informazioni sull’alimentazione, ma nella loro interpretazione e nella utilizzazione nella pratica quotidiana. Dopo una analisi tradizionale (osservazioni) delle indicazioni a una sana alimentazione e a uno stile di vita corretto, nonché dell’approccio sanitario alle malattie disnutrizionali e metaboliche, Fatati si lancia in divagazioni su alcuni strumenti non medici (libri, film) che ci possono aiutare a comprendere la complessità del problema.
Giorgio Bert nella prefazione asserisce che «coloro che sul cibo hanno certezze assolute, per non dire vere e proprie fedi, potranno trovare il libro provocatorio e irritante». Se il rapporto con il cibo è il prodotto di una costruzione simbolica e culturale, non è possibile tentare di incidere sui comportamenti alimentari senza averne coscienza. L’educazione alimentare ha finora sottovalutato il legame fondamentale tra l’uomo e il suo nutrimento che parte da Eva e dalla mela offerta ad Adamo per arrivare al XIX secolo con l’idea che una donna debba essere una perfetta nutrice e che lo scopo fondamentale per il sesso femminile sia il fare da nutrimento ad un altro corpo, quello del figlio. Ha sottovalutato il rapporto delle donne con il cibo e con la seduzione e la sessualità, nonostante la rilevante produzione letteraria, artistica e cinematografica. La medicina ufficiale ha dimenticato il principio del piacere che non è solamente derivato dall’uso e consumo del cibo, ma soprattutto dal piacere della scoperta, quello di manipolare materie prime per creare alimenti, il piacere del gioco che a tavola diventa convivialità e partecipazione. Il processo cerebrale che codifica per il gusto è un network che coinvolge sia aspetti spaziali che temporali che amplificano il messaggio e le esperienze e la sua complessità regola i rapporti tra cervello e mente che sono due livelli diversi della realtà fenomenica, reciprocamente necessari e interdipendenti.
L’autore è certo che la ricerca di una cultura non solo metabolica dell’alimentazione ci deve guidare tutte le volte che decidiamo di intraprendere un intervento di educazione alimentare che altro non può essere se non un intervento di educazione al gusto. Questo concetto è racchiuso in unico termine inglese “cultural competence” che, come è stato recentemente sottolineato, è solo un “old wine in new bottles” a testimoniare la lezione della storia spesso sottovalutata.
Nel corso dei processi di cambiamento o accettazione di evidenze scientifiche vi è la necessità di creare un clima in grado di sostenere il nostro apprendimento e la nostra capacità a rischiare.
Claes Jensen ha descritto il processo di cambiamento utilizzando la metafora delle quattro stanze, ognuna delle quali rappresenta una particolare fase. La stanza della negazione delle novità sarebbe tanto attraente perché evita un carico eccessivo di responsabilità e di impegnare risorse in progetti i cui risultati non sono prevedibili. Una educazione alimentare corretta è dipendente dalle capacità del medico di entrare nella stanza della confusione (negazione dello storico) e programmare un nuovo modo di rapportarsi con il paziente. Solo in questo modo si può avere un periodo di crescita e rinnovamento (terza stanza) attraverso cui raggiungere il traguardo della soddisfazione (quarta stanza). É importante non dimenticare come Brillat-Savarin ci ha insegnato, che «il piacere della tavola è di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutti i paesi e di tutti i giorni; può associarsi a tutti gli altri piaceri e rimane per ultimo a consolarci della loro perdita».
Luca Aimetti, nella postfazione ha scritto un commento che ben riassume la filosofia del testo: «nel libro si respira… un’atmosfera accogliente e confidenziale che ci tiene compagnia e ci aiuta a riflettere e che, raccontando di altre pagine scritte, in realtà ci porta per strada…nelle cucine e nelle piazze, dove la vita è quella vera. Si capisce da questo che un libro è buono: il sapore ed il profumo sono quelli di ogni giorno>>.
Mater camorra
di Luigi Compagnone - A cura di Toni Iermano
Marlin Editore - Euro 12,00 - Pag. 216
a cura di Vito Salerno
A 10 anni dalla scomparsa dello scrittore napoletano, è tornato in libreria Mater Camorra con un penetrante saggio introduttivo di Toni Iermano. Non si può comprendere appieno il fenomeno criminale senza risalire alle sue origini, che trovano un punto di snodo nella vicenda narrata da Luigi Compagnone in Mater Camorra, uscito in prima edizione nel 1987, vent’anni prima del bestseller Gomorra di Roberto Saviano, di cui rappresenta il più autorevole precursore. Quello messo in luce nel corso del processo di Viterbo (1911-1912) per l’omicidio dei coniugi Cuocolo fu un groviglio di corruzione e di violenza che coinvolse non solo gli imputati ma gli stessi rappresentanti della legge, raccontato con un rigore che ricorda il migliore Sciascia “illuminista” ma intriso di un furore polemico che è solo di Compagnone. L’assassinio di Gennaro Cuocolo, basista della camorra, e della moglie Maria Cutinelli, uccisi a colpi di coltello nella notte del 5 giugno del 1906, si prefigurò da subito come un clamoroso fatto di cronaca nera, intriso di vaste implicazioni politiche, sociali e giornalistiche. In quegli anni gli scandali e l’esplosione di inarrestabili tangentopoli amministrative avevano scosso l’opinione pubblica e incoraggiato un’azione repressiva. Luigi Compagnone ricostruisce l’incredibile storia del maxiprocesso di Viterbo (1911-12), le indagini che lo precedettero, l’azione investigativa del capitano dei carabinieri, le vicende di capi e gregari dell’onorata società. Mater Camorra è un esemplare modello di pamphlet di stampo illuministico, permeato da una coscienza civile riconducibile ad alcuni memorabili libri-inchiesta di Sciascia, ma anche di rovente, satirica requisitoria sul costume italiano e su quella specificità tutta napoletana di vivere la tragedia come spettacolo teatrale o eterno carnevale. Contro l’assurdità e l’irrealtà delle cose del mondo, Compagnone combatte con lo sguardo blasfemo e irriguardoso di un polemista settecentesco. Luigi Compagnone (Napoli 1915-1998) è stato un giornalista acuto e pungente, presente per un cinquantennio nelle pagine dei maggiori quotidiani e periodici nazionali. |