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  Dicembre 2012

Articoli n° 07
AGOSTO/SETTEMBRE 2008
 


Inserto

Confindustria Avellino
Assemblea Privata
Relazione del Presidente Silvio Sarno

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Dal rischio Vesuvio un nuovo modello di sviluppo
Confindustria Caserta lancia
il progetto della Regione policentrica

Massimiliano Santoli, titolare di Studioesse, È il nuovo presidente
dei Giovani imprenditori

Gustavo De Negri riconfermato alla guida dei Tessili

di Antonio Arricale

Dal rischio Vesuvio un nuovo modello di sviluppo
Confindustria Caserta lancia
il progetto della Regione policentrica

Al convegno ha brillato per assenza la politica:
eppure, come ha detto il Professore Marotta dell’Università del Sannio, questo studio è l’unica cosa seria oggi sul tavolo di discussione



Nella gestione dei rischi da catastrofi naturali bisogna evitare di ripetere gli errori commessi in passato. Il riferimento, in particolare, corre al drammatico evento del terremoto del 1980 e, prima ancora, del bradisismo, le cui conseguenze furono doppiamente dannose: per le popolazioni colpite, costrette ad un imprevisto e forzato sradicamento dai propri luoghi (Quartieri spagnoli di Napoli e Rione Terra di Pozzuoli), e per i comuni di accoglienza della fascia domizia del Casertano, che ne ricavarono infatti un generale impoverimento e degrado, laddove era stata avviata, invece, una fiorente industria turistica. Ma, soprattutto, la gestione del rischio non può essere demandata esclusivamente alla Protezione civile, ovvero al momento emergenziale che segue la catastrofe, ma deve essere semmai prevista e ricondotta ad una logica di pianificazione, a cominciare da quella territoriale. Anche perché, nel caso di un’eruzione del Vesuvio, ci sarebbe ben poco da gestire, se non forse un’immane ecatombe.
Da qui l’idea della Fondazione, lanciata dal presidente di Confindustria Caserta Carlo Cicala, a conclusione del Convegno “Progetto Convivenza Vesuvio: dall’emergenza all’opportunità”, organizzato dall’associazione datoriale il 14 luglio scorso, con la partecipazione di economisti, esperti di sistemi di trasporto e geografi, oltre che di un’autorevole rappresentanza delle comunità interessate dal rischio della ripresa dell’attività eruttiva del vulcano. «Nello specifico - ha sottolineato Cicala - la Fondazione Convivenza Vesuvio, promossa e costituita da privati, ma aperta alla partecipazione di enti, università, comunità locali, associazioni professionali, intende favorire il gemellaggio spontaneo e consensuale tra i Comuni vesuviani della fascia rossa e i Comuni di accoglienza che nel nostro piano, come è logico che sia, sono stati previsti all’interno della stessa regione Campania e non diffusi in tutt’Italia. La Fondazione, inoltre, si incaricherà di attivare il monitoraggio periodico e sistematico di questo processo, che è teso evidentemente a promuovere un diverso modello di sviluppo del territorio».
Ed è stato proprio questo, a ben vedere, il motivo vero del convegno: il rischio Vesuvio come pretesto, appunto, per parlare dell’unico modello possibile di sviluppo che resta alla Campania per evitare di implodere sotto il peso della congestione demografica della fascia costiera metropolitana. Un modello di sviluppo policentrico, come è stato ripetutamente detto nel corso del convegno. Oppure, anche più semplicemente, un modello capace di riequilibrare l’urbanizzazione selvaggia dei 18 Comuni della fascia rossa con il crescente effetto di desertificazione demografica delle aree appenniniche delle province di Caserta, Benevento, Avellino e Salerno. Ragionamenti che sono stati sostenuti da analisi scientifiche di indubbio spessore (e che, in sintesi, vi rimandiamo alla lettura nelle pagine che seguono), cui però è mancato il vero interlocutore: la politica, o meglio i politici.
«Quei politici che - come ha sottolineato con lucida vis polemica il professore Rocco Giordano dell’Università di Salerno - continuano ad assecondare scelte che non hanno senso se non in funzione dei voti che devono portare. E siccome la maggior parte dei voti stanno nelle aree conurbate, si continuano a ripetere errori che saranno deleteri per il futuro economico della regione».
E a mancare, nella circostanza, benché invitata nella sua qualità di presidente del Consiglio regionale - dunque, dell’istituzione deputata per eccellenza alla pianificazione del territorio - non è stata solo Sandra Lonardo Mastella, ma anche la classe politica locale, eccezion fatta per un fugace capolino del parlamentare Amerigo Porfidia e del consigliere regionale Paolo Romano.
Eppure, come ha detto il professore Giuseppe Marotta dell’Università degli Studi del Sannio, in questo totale disinteresse «il Progetto Vesuvio è l’unica cosa seria che oggi sta sul tavolo di discussione per riequilibrare lo sviluppo economico di questa regione».
Non solo, ha aggiunto la professoressa Maria Prezioso dell’Università di Roma Tor Vergata «il modello proposto, in una logica di sviluppo sostenibile, competitività equilibrata, coesione sociale, risanamento urbano e buona governabilità - gli stessi principi raccomandati dalla Commissione Europea e dall’Ocse - è applicabile a tutte le situazioni di gestione dei rischi ambientali».
Le tesi a sostegno di un progetto - come ha illustrato l’autore dello studio, Enzo Coronato in apertura dei lavori - «volto a favorire un drenaggio programmato delle persone e delle attività economiche e sociali verso altre zone della Campania, e non verso improbabili destinazioni in altre regioni italiane», hanno il conforto di dati inconfutabili. Oggi i quattro quinti della popolazione complessiva della regione sono concentrati nell’area metropolitana. All’interno dei Comuni della fascia rossa la densità abitativa è di circa 13mila abitanti per chilometro quadrato. Cifre che hanno eguali soltanto in tre altre realtà del globo: Parigi, Bombay e Calcutta. La media della densità abitativa della restante parte conurbata è di 426 abitanti per chilometro quadrato, il doppio di quella italiana, che è di 196 abitanti. La densità demografica della fascia appenninica campana, invece, è di appena 78 abitanti per chilometro quadrato, peraltro, anche anziani».
«É chiaro - hanno detto i professori, ciascuno dal proprio punto di vista - che continuare a investire risorse e magari anche i fondi strutturali stante la logica aberrante dell’attuale modello di sviluppo è come buttarli in un buco nero».
Ben venga, allora, questo Progetto Convivenza Vesuvio, che nasce come Osservazione al Piano Territoriale Regionale, peraltro recepito, nella speranza che il Ptr sarà presto approvato e adottato dalla Regione Campania.
Ai lavori, coordinati dal direttore del Corriere del Mezzogiorno Marco Demarco, hanno portato il contributo degli enti locali interessati, Antonio Borriello per il Comune di Torre del Greco e il pro rettore della Sun Carmine Gambardella, nella sua qualità di assessore al Comune di Pompei. Il primo, aderendo di buon grado alla filosofia Piano, ha però reclamato infrastrutture e servizi per fronteggiare l’eventuale emergenza; il secondo, ha indicato la necessità di costituire una rete della conoscenza.


Dal rischio all’opportunità

di Vincenzo Coronato,
delegato Sicurezza Rischi Naturali Confindustria Caserta


La Regione Campania ha impostato il processo di approvazione del Piano territoriale regionale (Ptr) scegliendo la strada della copianificazione, che coinvolgendo il territorio attraverso, province, comuni, enti, associazioni, ordini professionali, eccetera, ci ha consentito di formulare come Confindustria Caserta delle osservazioni di carattere strutturale alla “Proposta di PTR”. Esse sono state recepite appieno dalla Regione Campania ed è la ragione di questo convegno, che ci fa ritrovare uniti sia per fare il punto della situazione di quanto fatto ad oggi e sia per mettere le basi, con il contributo di tutti, professori, istituzioni, autorità politiche ed economiche, per adottare tutte quelle scelte opportune di tipo socio-economico che ci portino ad una convivenza normale e consapevole di quello che comporta il Vesuvio nella nostra regione, senza sottovalutazioni del problema/opportunità e senza dannosi e inutili allarmismi.
Il progetto “Convivenza Vesuvio” nasce da esperienze dirette di chi vi sta parlando, vissute relativamente al terremoto del Friuli e a quello dell’Irpinia, ove all’inevitabile disastro prodotto dalla natura si è sommato quello evitabile dovuto all’assenza di pianificazione che ha prodotto danni superiori al disastro naturale; ciò perché all’epoca fu delegato troppo al volontariato e all’improvvisazione del momento.
Oggi con le competenze e l’organizzazione della nostra Protezione Civile siamo in grado di affrontare le calamità in modo molto più efficiente, con maggiore limitazione dei danni, come ho potuto constatare personalmente partecipando quale osservatore di Confindustria Caserta all’esercitazione organizzata dalla Protezione Civile “Mesimex 2006” dal 18 al 23 Ottobre 2006.
Il Progetto Vesuvio non è in contrapposizione con le pianificazioni della Protezione Civile, ma ne facilita il compito, restringendone il campo di azione all’interno della Campania.
Infatti mentre il piano di emergenza in vigore prevede l’allocazione dei cittadini campani dei 18 comuni della zona rossa ripartiti tra le varie regioni d’Italia, dal Piemonte al Trentino alla Sicilia, il nostro Progetto Convivenza Vesuvio prevede l’allocazione dei cittadini campani della zona rossa all’interno della nostra regione, favorendo sia gemellaggi che una pianificazione condivisa di ripopolamento e rivitalizzazione delle aree interne, salvaguardando il tessuto socio-economico e creando un equilibrio più bilanciato degli insediamenti abitativi. Inoltre il Progetto prevede l’allontanamento degli abitanti della zona rossa con mezzi propri, attraverso percorsi stradali già definiti nei comuni di accoglienza delle quattro province limitrofe. L’opportunità di portare avanti questo Progetto ci è stato dato dalla Regione Campania nel momento in cui ci ha permesso di presentare delle osservazioni al Ptr, dopo che l’architetto Simonetta Volpe, nel gennaio 2006, ci aveva illustrato l’organizzazione e le finalità del Ptr mediante i suoi cinque quadri di riferimento. Nell’approfondire la Proposta di Piano Territoriale Regionale abbiamo rilevato che al capitolo 3-2-3 relativo alle “Sorgenti naturali di rischio ambientale”, in riferimento al “Rischio Vulcanico” a pag. 119 e 120 si demandava tutta la problematica dell’Emergenza Vesuvio alla Protezione Civile e al Piano di Evacuazione del 1995. Tale approccio al rischio Vesuvio abbiamo ritenuto fosse sbagliato perché è compito della Protezione Civile gestire l’emergenza avvenuta, mentre è compito della Regione pianificare le scelte da operare sul territorio; quindi il problema dell’Emergenza Vesuvio doveva essere affrontato in sede regionale in modo da avere principi e linee guida cui istituzioni ed enti di livello inferiore e superiore si dovessero attenere, calibrando le scelte conseguenti.
Dopo la condivisione e l’approvazione del Consiglio Direttivo di Confindustria Caserta presentammo le seguenti Osservazioni al Ptr nel marzo 2006, che riporto integralmente: «La presente osservazione, relativa alla proposta Ptr, si propone l’analisi di una criticità rappresentata dal rischio Vesuvio ed in cascata il coinvolgimento di mezzi e unità operative. Essa é condivisibile nelle sue linee generali e strategiche, al fine di rendere più sicuro il raggiungimento degli obiettivi che si prefigge, affiancando scelte di politica economica che, mitigando i rischi naturali, indirizzi persone ed attività economiche non solo ad una convivenza nella sicurezza del rischio Vesuvio stesso, ma che garantisca la possibilità della continuità dello sviluppo in zone che abbiano spazi e bisogni di opportunità. Sostanzialmente il Progetto Vesuvio redatto dal dottor Vincenzo Coronato e di cui si allega copia, non è in contrapposizione col Piano Nazionale di Emergenza dell’area Vesuviana del 25/09/95, a cui demanda la Proposta del Ptr. Il progetto Vesuvio scaturisce dalla riflessione che da un’emergenza come quella di cui si sta parlando possano derivare delle opportunità, il tutto semplicemente indirizzando i flussi verso le aree delle province limitrofe ubicate in un raggio di azione che scavalca di 40 km l’area della zona rossa, ad alta densità abitativa, ma restando comunque nell’ambito della Regione Campania».
Attualmente tutte le regioni d’Italia rappresentano i bacini di accoglienza che si prevede possano essere raggiunti in tempi rapidi (7 giorni), sempre che l’azione di allontanamento non sia intralciata da disservizi e collassi delle infrastrutture coinvolte, conseguenti all’evento catastrofico.
Esiste poi un problema di integrazione tra culture diverse e potenzialmente riottose all’ospitalità, in una situazione in cui le tensioni tra cittadini dei comuni evacuati e cittadini dei comuni di accoglienza potrebbero facilmente esplodere.
A tutte queste problematiche derivanti dall’esodo verso le altri regioni d’Italia si aggiunge la considerazione principale del Progetto Vesuvio, che é quella che Confindustria Caserta intende patrocinare, cioè di allocare persone e attività all’interno della Campania, favorendo cosi la riconversione economica e sociale di capitale umano e di aree, che proprio perchè caratterizzate da tassi di disoccupazione tra i più alti d’Italia e d’Europa, possono dirsi in difficoltà. La gestione dell’emergenza in loco, la possibilità che i centri di raccolta rimangono all’interno dei confini regionali, dà garanzia della tutela delle risorse e consente che il tessuto socio-economico possa essere ricostruito in un’ottica di implementazione locale, come e meglio di prima.
Tutto ciò indirizzerà i fondi all’uopo preposti in maniera mirata. Altro effetto positivo è quello che in caso di catastrofe avvenuta non ci si trovi impreparati e che non si finisca come nel passato a requisire alberghi e seconde case del litorale domizio con i nefasti effetti gia sperimentati.
Il Progetto Vesuvio si propone l’obiettivo di motivare investimenti privati e pubblici atti ad avere effetti moltiplicatori sul territorio tesi a realizzare valore aggiunto al Pil Regionale.
Queste sono le considerazioni che Confindustria Caserta propone affinché la Regione Campania le adotti e le integri nel Ptr, implementando sia le vie di allontanamento che adeguando i quadri di riferimento 1-2-3-4-5 alla luce di quando riportato nel suddetto “Progetto Vesuvio”, in quanto quest’ultimo soddisfa i principi stabiliti dalla Commissione Europea e dall’Ocse, che sono: Sviluppo Sostenibile; Competitività Equilibrata; Coesione Sociale; Risanamento Urbano; Buona Governabilità, nonché il concetto fondamentale di sviluppo dal basso anziché dall’alto.
Nel marzo 2006 abbiamo presentato, nei termini e nei modi previsti, le suddette osservazioni alla Provincia di Caserta, che le ha poi approvate ed inoltrate alla Regione Campania, che a sua volta le ha recepite. Infatti la redazione del Piano Territoriale Regionale, comprensivo di tutte le osservazione recepite, relativamente all’Emergenza Vesuvio, nel Documento di Piano, al terzo “Quadro Territoriale di Riferimento”, “Sistemi Territoriali di Sviluppo”, al capitolo “Gli indirizzi strategici” in riferimento al “Governo del rischio ambientale”, al paragrafo C.1 “Rischio Vulcanico” pagg.210-211, sancisce i due ineludibili principi generali entro i quali sviluppare ogni azione da compiere: 1. La costituzione di un vasto consenso sulle linee di azione da condurre, che mirino a sensibilizzare la popolazione nei confronti del rischio rimosso nelle loro coscienze; 2. L’impostazione di un programma di incentivazione al trasferimento graduale ed organizzato di popolazione da limitare all’interno del territorio regionale. Il 30 novembre 2006 la Giunta della Regione Campania adotta il Ptr, dando il sigillo di legge non solo a questi due principi fondamentali, ma specificando all’interno dello stesso paragrafo che lo studio di attuazione di tali principi va sostenuto anche dalla valutazione della “familiarità” di interazione tra l’area vesuviana e le aree di reinsediamento, considerando i valori dell’interscambio tra ciascun comune in termini di frequenza e d’intensità con cui i residenti di un comune vesuviano si recano in un comune ricadente in una delle potenziali aree di reinsediamento e viceversa; la “familiarità”costituisce un “precedente positivo” affinché la delocalizzazione in quelle aree sia accolta più favorevolmente che altrove, da parte sia dei residenti vesuviani sia del comune di accoglienza.
Attualmente il PTR è in approvazione al Consiglio Regionale per l’ultimo passaggio di un iter eccessivamente lungo. Siamo dunque arrivati all’inizio di un percorso nuovo che non delega a terzi, istituzioni superiori, Protezione Civile o altro, ma che si assume il compito, in una pianificazione territoriale, di fronteggiare e contenere uno dei più grandi rischi naturali nella storia dell’uomo. Nell’intento di contribuire a formulare scelte orientate allo sviluppo, ci siamo fatti aiutare dai professori Rocco Giordano, Giuseppe Marotta e Maria Prezioso che hanno lavorato alle azioni da intraprendere sul territorio affinché si possa concentrare gli sforzi al raggiungimento di uno sviluppo socioeconomico con caratteristiche auto-propulsive e strutturali, per uscire dalla logica dell’assistenza, del provvisorio e dell’emergenza continua.
Personalmente ritengo che, come diceva un nostro conterraneo che ben incarnava la mitezza della stragrande maggioranza dei campani, bisognerebbe tendere a una vita “normale” e ricominciare da tre, nel nostro caso la terra, il sole e la storia.
La terra come territorio che va riequilibrato, bonificato e rimesso in grado di esprimere le sue vocazioni naturali; il sole che ci può far contare su una stagione turistica più lunga di altri nostri competitori e la storia che nel nostro caso non è fatta solo degli ultimi 148 anni.


L’emergenza da limite a risorsa
di Maria Prezioso, Università di Roma Tor Vergata

Ci sono molti modi di declinare, oggi, la sicurezza territoriale. Alcuni ci vengono dall’appartenere all’Ue; altri dall’esperienza quotidiana. I primi inducono a discutere di politiche e collocano il tema del Convegno ad una scala geografica regionale (se non nazionale ed oltre); i secondi, obbligano a parlare di regole comportamentali, impongono di pensare dalla provincia in giù, sino alla più piccola entità comunale. In entrambi i casi siamo nel campo della pianificazione delle scelte che influenzano il comportamento dell’insediamento urbano-rurale; che, nel caso della sicurezza e della protezione civile, investe molti settori della cosiddetta “urbanistica”, dell’economia, del sociale.
Due sono dunque gli aspetti che questo contributo intende sottolineare: la relazione che lega lo sviluppo economico di una regione alle sue scelte di pianificazione e la relazione che deve esistere tra capitale umano e territorio affinché si operino scelte coesive utili allo sviluppo della competitività regionale.
Indagare, studiare, prevenire il comportamento anche della geomorfologia regionale è utile per trasformare il rischio in prescrizione progettuale e sviluppo economico. Saper vedere e valutare in anticipo il valore che potrebbe generare un investimento nel “rischio Vesuvio” è fondamentale per ridefinire l’identità campana attraverso azioni di pianificazione territoriale, economica e sociale nel contesto europeo e nazionale. Dal punto di vista dell’economia del territorio, questo comporta un sostanziale mutamento negli approcci e nei metodi di lavoro e di interpretazione dei contesti regionali, al punto da definire il “rischio Vesuvio” un bene relazionale per il futuro dell’economia campana. Questo “rischio”, d’altra parte, non è un bene “intenzionale”, nel senso che esso si può manifestare solo in un determinato contesto, amplificato direttamente e indirettamente da una crescita insediativa, residenziale, produttiva, sociale difficile da regolamentare.
Una premessa sul dibattito europeo e sulla sua capacità di sostenere anche finanziariamente alcune scelte è d’obbligo prima di affrontare l’argomento, poiché è evidente il legame tra sicurezza territoriale, urbanistica e competitività regionale.
Prendendo spunto dall’Incontro di Bristol del (2005) e dalla Territorial Agenda (Lipsia, 2007) si evidenzia che: la sicurezza territoriale dipende dalla politica di coesione - sociale ed economica - che guiderà l’approccio strategico del periodo 2007-2013 per rinnovare la base della competitività regionale europea; l’offerta di sicurezza dipende dalla domanda che i territori urbani e rurali sono in grado di esprimere per rimuoverne gli ostacoli alla crescita della qualità della vita promuovendo un approccio integrato alle scelte di pianificazione; dal 2004 si parla di coesione anche per lo sviluppo urbano, ma è solo nel 2005 che il Parlamento europeo ha inserito lo sviluppo urbano sostenibile tra le priorità della dimensione urbana dell’Ue dell’allargamento da finanziare attraverso i fondi strutturali e per la coesione; lo sviluppo regionale sostenibile deve integrare gli obiettivi economici, sociali ed ambientali attraverso un’offerta di “buoni” servizi, includendo quelli pubblici e privati, interessi singoli e collettivi; bisogna valutare come implementare le attuali azioni rivolte alle aree di maggiore concentrazione urbana (gli studi sono stati condotti su 258 città medio-grandi dell’Ue a 27), quali risorse strutturali impiegare; le città e le aree metropolitane devono essere considerate motori “a rischio” dello sviluppo economico dove gli attori locali giocano un ruolo chiave per un’occupazione “sicura”.
Il modello policentrico europeo, sostanzialmente formato da città grandi, medie, piccole, appare come quello più sensibile alle questioni della sicurezza territoriale e al nuovo modello di pianificazione urbanistica che essa richiede. Non a caso si dice che questo binomio potrà realizzarsi solo se tutte le regioni europee faranno proprio un nuovo approccio, in cui le aree urbane rappresentano un punto cruciale come luoghi/centralità di scambi basati sulla condivisione di regole di vita comuni.
Il 2007 individua nella coesione una nuova prospettiva di pianificazione per cui: la coesione, già di per sé elemento unificante le diverse visioni che concorrono a definire una formula operativa di governance ad ampio spettro, può, in base alla scala cui viene interpretata e misurata, territorializzare o de-territorializzare lo sviluppo economico e sociale, amplificando o limitando le scelte nazionali (convergenza, competitività, cooperazione).
Per proseguire su questa strada, l’Ue richiede l’applicazione costante del Territorial Impact Assessment e della Valutazione Ambientale Strategica; per attuare in tempi congrui la sussidiarietà insita nel concetto di coesione, ossia per innescare un processo di efficace ed efficiente radicamento degli obiettivi di convergenza europei (Territorial Agenda, 2007). La cultura politica e scientifica europea individua nel planning lo strumento della coesione. Così non è in Italia, dove - ad eccezione di alcuni piani di settore -, si è trascurato di interpretare la coesione come unità di misura diretta dell’economia e della società dei luoghi. Ciò deriva dal fatto che l’economia sembra non aver avuto bisogno sino a questo momento di territorio, quanto piuttosto di uno spazio indifferenziato, nel quale sperimentare modelli generali di crescita, lasciando al mercato il compito di trasformarli in scelte di sviluppo locale agendo su fattori quali occupazione e produzione, rilevandone solo a posteriori l’andamento territoriale.
Questa osservazione spiega anche perché la coesione non ha generato modelli funzionali “a rete” in sede locale, ma forme diverse di policentrismo che comportano l’aumento di spesa nel bilancio della programmazione per il mantenimento della coesione territoriale.
Per poter valutare l’incidenza di questa voce nella variazione dei costi di bilancio regionale senza ricadere in una concezione indifferenziata dello spazio o ridurre il ragionamento alla sola ottima combinazione di fattori certi (i costi diretti), si propone di correlare la morfologia dei luoghi al capitale territoriale valutandone la potenziale compatibilità con le scelte progettuali oggetto di questa Conferenza, secondo uno schema (STeMA) già sperimentato a livello europeo (Prezioso, 2006).
Questa valutazione preventiva, qualitativa e quantitativa, permette di determinare i fattori di attrito nel calcolo della coesione (ad esempio, la migrazione forzata della popolazione), selezionando politiche appropriate alle condizioni locali, per trasformare i vincoli, anche quelli più forti (l’evacuazione in presenza di rischio eruttivo), in occasione attiva di ridefinizione modello regionale e locale.
Alcune riflessioni progettuali
Il costo dell'imperfetta realizzazione di una generica risposta al “rischio Vesuvio” è causa di aumento di fattori quali la segregazione spaziale, l’inefficienza economica dei settori produttivi, la mancanza di comunicazione e, quindi, di crescita sociale e culturale complessiva.
A partire dalla misura del contesto, cioè da un obiettivo ammissibile che non esaurisca il capitale territoriale iniziale (valore iniziale), andranno dunque valutati i valori finali (scelte progettuali) capaci di contenere il disequilibrio causato dal mancato completamento dei programmi istituzionali o dall’imposizione di regole di piano “top” inadatte a specifici contesti geografico-economici come quello campano. Progettare la coesione territoriale attraverso un piano Vesuvio si qualifica perciò come «quell’insieme di caratteri distintivi per cui il territorio assume tutti gli stadi strumentali che permettono la qualificazione non solo funzionale degli spazi, coordinandoli verso un unico fine», coinvolgendo in questo processo di scala le aree direttamente ed indirettamente interessate dal rischio. Ciò significa che il piano non potrà prescindere dall’atteggiamento delle popolazioni o degli organismi/organizzazioni e dalla loro disposizione a superare, in senso letterale o figurato, i confini della propria zona di interesse. Un’ulteriore misura del piano investe il livello di efficacia e di efficienza istituzionale in relazione all’attuazione delle politiche di competenza (nazionale, regionale, urbana) richiamate dagli orientamenti comunitari 2007-2013.
Resta il fatto che la politica nazionale ed europea ha bisogno di una dimensione territoriale progettuale, indipendentemente dalla quantità di popolazione, per attuare e sostenere lo scambio di best practices che contrastino, ad esempio, uno degli effetti peggiori della mancanza di sicurezza: l’esclusione sociale.
Il campo di sperimentazione della sicurezza resta in ogni caso il piano, collegato sempre più alle vision europee che pongono la questione dei rischi senza però addentrarvisi più di tanto in termini di prevenzione ex ante.
Di questo tema si sono occupati in molti: dalla Conference of European Ministers responsible for Regional Planning - CEMAT (2002 e 2006) ai ricercatori del programma ESPON (2000-2006), dal Comitato delle Regioni ai Ministri ed ai ministeri della pianificazione e dei trasporti.
Lo scopo di un piano di sicurezza regionale è comunque lo sviluppo equilibrato e sostenibile del territorio, da perseguire coerentemente con i fondamentali obiettivi della politica europea: conservazione e gestione delle risorse naturali e del patrimonio culturale, una migliore qualità della vita del territorio regionale. Tuttavia, sono ancora troppi i modi di concepire e misurare la sicurezza urbana, poiché il concetto subisce l’influenza di diversi aspetti dello sviluppo territoriale: una politica più o meno sostenibile dei trasporti, l’impiego o no di nuove tecnologie, l’accesso o meno alla formazione continua e allo sviluppo anche di forme di comunicazioni virtuali ed immateriali, l’accessibilità ai servizi, la cultura locale, ecc.. Ad imitazione di alcune aree centrali dell’UE - tra cui il Pentagono, definito anche lo scorpione europeo per i livelli di rischio che vi sono concentrati -, i programmi strutturali pluriennali dello scorso Programma Quadro hanno promosso una sorta di pianificazione della sicurezza su base cooperativa con e tra regioni, imprese, istituzioni, facendo attenzione a rafforzare le relazioni di portata mondiale.
Molti hanno recentemente affermato che una crescita economica è sostenibile quando riduce la povertà, contrasta l’esclusione sociale, colma le disparità umane e territoriali. Tuttavia, rischio, sicurezza e sostenibilità richiedono un’adesione volontaria al rinnovamento da parte del territorio, prospettando un processo di integrazione tra politiche, mezzi di azione e strumenti di tipo ancora non legislativo.
L’aumento della conoscenza è uno dei punti di partenza per ridisegnare il percorso di una pianificazione del rischio.
Per realizzare un piano che tenga conto di tutto ciò c’è bisogno di nuovi metodi e molti nuovi indicatori che declinino il concetto di “qualità territoriale”. Esso perde, infatti, la sua dimensione esclusivamente economica e assume quella di processo umano, mutando sostanzialmente la definizione shumpeteriana di sistema economico: da efficace ed efficiente, per diventare anche solidale, creativo e ad alta qualità di vita; svolgendo un ruolo importante nel dibattito politico attuale al punto da considerare le conseguenze delle azioni intraprese nel settore economico, nella progettazione territoriale e nelle politiche sociali, nel quadro di una nuova idea della politica. Un esempio virtuoso viene dal comportamento d’impresa, dove il concetto di qualità territoriale e sicurezza è diventato sinonimo di raggiunta competitività. Negli ultimi anni, l'uso di una più efficiente ed efficace politica di qualità territoriale, ha permesso un allargamento del ruolo dell’impresa stessa ricorrendo alla Corporate Social Responsibility (CSR). Tra questi temi progettuali si colloca la progettazione del welfare urbano-regionale ed il superamento di standard convenzionali (in Italia ancora regolati dal DM 1444 del 1968). Esso presenta maggiori disequilibri nel settore della salute pubblica e della protezione civile, mostrando una sorta di correlazione inversa tra investimenti e spesa in servizi per la qualità della vita e in servizi di prevenzione, considerando questi ultimi erroneamente meno remunerativi per la crescita del capitale umano e della competitività regionale.
La qualità della vita e la sicurezza sembrano essere direttamente legate anche all’accessibilità fisica e alla dotazione tecnologica, allo sviluppo di infrastrutture dell’ICT. In sintesi, il rapporto tra sicurezza-accessibilità-telecomunicazioni si dimostra un veicolo positivo e possibile per rafforzare azioni di cooperazione volte alla prevenzione del rischio. Tuttavia migliorare le infrastrutture non è sufficiente. La sicurezza dipende, infatti, dal comportamento di numerosi indicatori: un’ineguale distribuzione del reddito, da una distribuzione «a macchia» delle risorse per il sociale; l’alto rischio di esclusione dei minori dalla formazione; l’alto e crescente rischio di povertà, aggravato dai limiti all’accesso al mercato dell’occupazione da parte della popolazione femminile, e da un sempre più basso tasso di fertilità, che incide fortemente sul livello complessivo di benessere sociale. La relazione che tutto ciò ha con i metodi e le regole della pianificazione sostenibile per uno sviluppo competitivo del territorio è inclusa nella politica europea 2007-2013, e richiede l’immediata accettazione di regole e procedure di “nuova generazione”.
Le scelte di piano non possono quindi prescindere da una conoscenza dinamica, integrata, multidisciplinare, per valutare l'ammissibilità delle scelte prima di decidere, in un dialogo costante tra saperi. Tra gli obiettivi di questo nuovo modello di pianificazione territoriale regionale e locale ci sono, ovviamente, la protezione civile e la gestione preventiva dei rischi, la difesa del suolo e la tutela attiva del territorio sia in termini di proposta che di normativa.
Nella convinzione che solo una esatta comprensione dei meccanismi alla base della dinamica territoriale possa portare alla definizione di politiche, programmi e progetti di intervento efficaci. In termini territoriali, quindi, la nuova generazione di piani propone una inversione di tendenza rispetto alle tradizionali dinamiche del sistema insediativo e produttivo, caratterizzate dalla progressiva invasione di spazi anche “a rischio”, accompagnata da interventi di regimentazione tesi al vincolo assoluto, fallendo lo scopo di eliminare i rischi originati dalle localizzazioni stesse. Un’anomalia, questa, tutta italiana, da cui è tuttora affetta la nostra normativa in materia di rischio. La Campania, da questo punto di vista, è candidata ad essere un campo vasto di sperimentazione.


Lo sviluppo regionale
tra emergenze e prospettive

di Giuseppe Marotta, Università del Sannio


L’economia italiana sta registrando in questi anni un rallentamento della crescita rispetto ai principali paesi dell’UE. Tra le principali cause vanno sottolineate: il debito pubblico, tra i più alti in UE; la carenza infrastrutturale; il costo crescente dell’energia e il processo di de-localizzazione degli apparati produttivi verso paesi con costi di produzione significativamente più bassi. L’insieme di questi fattori determina una bassa domanda interna che frena la crescita, innescando una sorta di circolo vizioso, da cui è difficile uscire senza interventi strutturali e radicali sulle variabili prima richiamate. A partire dal 2003 si registra un rallentamento della crescita nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord, con un conseguente aumento delle disparità territoriali, che aggrava ulteriormente gli squilibri interni al nostro paese. La Campania segue sostanzialmente il trend del Mezzogiorno con una lieve accelerazione della crescita nell’ultimo anno che la avvicina al ritmo di crescita medio del paese. Tuttavia, il quadro regionale nasconde dinamiche provinciali abbastanza articolate e differenziate, con la provincia di Napoli che fa registrare un PIL procapite piuttosto basso, a causa della elevatissima densità demografica (più di 13 volte maggiore della media nazionale), e le province interne leggermente meglio posizionate, in termini di PIL procapite, per ragioni opposte. Le dinamiche economico-sociali risultano, quindi, fortemente influenzate dal modello di antropizzazione sviluppatosi negli ultimi decenni in Campania che denota una spiccata “complessità territoriale” che ruota intorno ai seguenti poli principali:
- la fascia costiera, comprendente la provincia di Napoli e le pianure costiere di Caserta e Salerno, dove la pressione demografica e la concentrazione urbanistico-infrastrutturale hanno determinato le condizioni per l’esplosione di tre gravi crisi, fra loro collegate: una crisi di spazi; una crisi ambientale e una crisi di sicurezza. Si tratta di un quadro territoriale complesso, con condizioni generali poco favorevoli e con una bassa qualità della vita, che produce una sorta di “effetto scoraggiamento” degli investimenti che influenza pesantemente le dinamiche di sviluppo;
- le aree interne, comprendenti le province di Benevento e di Avellino e le aree collinari e montane di Caserta e Salerno, dove, paradossalmente, il relativamente maggiore ritardo di sviluppo potrebbe trasformarsi in opportunità. In tale realtà territoriale, il mantenimento di una migliore qualità delle risorse naturali, ambientali e paesaggistiche, ha preservato le condizioni favorevoli per lo sviluppo del “modello di agricoltura multifunzionale”, che basa il suo vantaggio competitivo sull’imprescindibile legame con il territorio, producendo prodotti salubri e sicuri, ma anche diversificando le proprie attività di business (agriturismo, fattorie didattiche, care farm, attività artigianali, ecc.) e, quindi, avviandosi a nuovi percorsi di sviluppo.
Va, tuttavia, precisato che le aree interne, dal punto di vista delle prospettive di sviluppo risultano ulteriormente articolate al loro interno nei seguenti sistemi territoriali: quello delle “valli e delle colline interne” e quello delle “aree montane”. Nel primo, si rilevano interessanti processi di qualificazione e di diversificazione delle attività agricole, riguardanti soprattutto alcune filiere locali (vitivinicola, olearia e zootecnica), che hanno generato effetti positivi sulle principali variabili economiche. Nelle aree montane, viceversa, il costante processo di spopolamento ha innescato una sorta di “circolo vizioso”, nel quale il ritardo di sviluppo e le carenze nel capitale umano si alimentano reciprocamente, impedendo variazioni apprezzabili nei “fondamentali” dell’economia locale, sia pure in presenza di corposi flussi finanziari generati soprattutto dal programma comunitario FEOGA del POR Campania 2000-2006.
In conclusione occorrerebbe più territorio nelle politiche di sviluppo ; promuovere uno sviluppo policentrico che re-distribuisca, nel medio lungo periodo, attività economiche, infrastrutture, servizi e popolazione in modo più sostenibile sull’intero territorio regionale; perchè il PTR diventi uno strumento capace di favorire uno sviluppo più equilibrato e sostenibile.



Mobilità e infrastrutture
a sostegno dello sviluppo

di Rocco Giordano, Università di Salerno

Nel 1994, dopo le esperienze del Piano regionale dei trasporti, del Piano regolatore dei centri merci in Campania e di tanti altri studi, ci era chiaro il quadro di riferimento generale su cui impostare le linee di attacco per il Patto territoriale dello sviluppo della provincia di Caserta. Fu quella una esperienza di lavoro esaltante e difficile! L’unico rammarico che provammo allora fu quando la Università di Napoli - secondo Ateneo - che aveva aderito al Patto territoriale sottoscrivendo il Protocollo d’Intesa nella seconda fase fece mancare il suo contributo ed il “sostegno dei saperi”. L’Unione degli Industriali, la Camera di Commercio, i Sindacati, l’Amministrazione Provinciale, il Comune di Caserta, il Gruppo Giovani Industriali, ovvero i soggetti attori, in quella stagione, erano tutti motivati a voltare pagina, cioè a sfruttare tutte le possibilità che potevano determinarsi attraverso la concertazione e tutte le opportunità di finanziamento collegate alla scelta degli interventi. Alcuni punti di quel Patto concertato furono successivamente indeboliti da vincoli normativi e quelli che erano “pilastri di acciaio” finirono per diventare “pilastri di latta”.

L’analisi e le prospettive
L’economia della regione Campania e in particolare della provincia di Caserta ha subito negli ultimi dieci anni un progressivo declino produttivo con la chiusura di un numero sempre maggiore di impianti ed un forte ridimensionamento dei livelli occupazionali a causa di: l’inadeguatezza delle politiche industriali e territoriali a frenare la progressiva perdita di competitività dell’industria meridionale; la mancanza di politiche e di iniziative locali in grado di valorizzare adeguatamente il potenziale produttivo della provincia; l’abbandono di temi ambientali e di controllo del territorio che determinano pesanti vincoli sul piano della ordinarietà, ma ancora di più per fronteggiare situazioni di emergenza. Della necessità di veicolare le spinte spontanee presenti nel sistema economico-produttivo entro un progetto organico a forte valenza territoriale si è da tempo fatta interprete l’Unione Industriali di Caserta. Essa ha accolto gli impulsi al cambiamento ed ha cominciato a svolgere un intenso ruolo di relais tra i diversi attori locali dello sviluppo. Sono emerse così diagnosi, proposte, linee di intervento che riflettevano il complesso profilo delle emergenze e la necessità di darvi una risposta organica. La diagnosi circa i fattori di crisi ha decretato: l’obsolescenza del modello di sviluppo centrato sulla grande impresa di origine esterna verificatasi a ritmi più intensi di quelli relativi alla crescita del sistema delle PMI anche a tecnologia avanzata; la possibilità di assorbire la maggiore pressione demografica sulle risorse territoriali; l’insufficienza degli strumenti della programmazione economico-territoriale; l’inadeguatezza delle risorse finanziarie e di bilancio. I targets da assegnare alla svolta: aumentare lo spessore, la diversificazione e la diffusione dell’apparato produttivo, a difesa della competitività, dell’occupazione, dell’ambiente, facendo leva sulle potenzialità delle risorse e dei saperi locali. La strategia da perseguire: organizzare un sistema di interventi per far interagire tra loro: infrastrutturazione, attività produttive, formazione del capitale umano, ricerca scientifica e tecnologica, risanamento ambientale del territorio. Su queste basi il sistema della rappresentanza di interessi si è impegnato ad indurre una nuova fase di sviluppo. L’obiettivo è un intervento straordinario capace di razionalizzare l’ordinario, puntando ad un programma da sviluppare in un arco temporale di medio-lungo termine. Il tema “Vesuvio” è stato sempre analizzato come una situazione di emergenza che ha una sola lettura: “sradicare” un pezzo della regione Campania con effetti né misurabili, né calcolabili. Una popolazione di 500.000 persone direttamente coinvolte e 1.100.000 coinvolte per l’effetto “diffuso” rappresentano rispettivamente 1/10 ed 1/5 della popolazione della Campania. Un’area a densità abitativa tra le più elevate d’Europa subirebbe un effetto “deserto” spezzando ogni relazione sociale, produttiva e di diffusione. Il progetto prevede una riallocazione sul territorio di 400-500mila abitanti in aree “cuscinetto” che potrebbero razionalizzare direttrici di sviluppo spontanee e/o contenere l’effetto spopolamento, che dalla zona interna si va riversando nei capoluoghi urbani e nelle zone periurbane. Abbiamo provato a tracciare attraverso carte tematiche quelli che sono gli assi di sviluppo dei diversi settori produttivi e le “linee di forza” che tendono verso una pentapoli, dove l’area metropolitana di Napoli-Caserta punta a congiungersi con la direttrice Benevento e l’area salernitana con quella avellinese con una forte proiezione sull’area cilentana. In questo quadro le aree che si sviluppano lungo la direttrice Salerno-Avellino e Caserta-Caianello-Benevento, sono quelle che vanno studiate sul piano territoriale ed urbanistico per un grande progetto di riqualificazione urbana e territoriale capace di “drenare” le allocazioni produttive e di servizio con un decongestionamento dell’area metropolizzata Napoli-Caserta ed un rafforzamento di quella Salerno-Avellino, con una proiezione sulla direttrice Salerno-Battipaglia-Eboli.
Dal punto di vista della mobilità il sistema può contare su una maglia ferroviaria che punta su: l’allungamento dell’AV fino a Salerno-Battipaglia; la ritrovata capacità ferroviaria sulle linee ferroviarie esistenti e dove la metropolitana regionale potrà costituire un sistema portante per collegare tutti e 5 i capoluoghi di provincia; il sistema ferroviario, in questo caso giustificherebbe un investimento per la velocizzazione della direttrice Napoli-Bari. Occorre una rete capace di sostenere lo sviluppo “diffuso” nella logica anche di una razionalizzazione e ammodernamento della rete a scala regionale, alleggerendo gli assi troppo carichi e offrendo alternative che accorciano notevolmente i tempi. Un progetto di realizzazione di 70.000-80.000 alloggi lungo le direttrici di sviluppo indicate consentirebbe di riallocare 300.000-400.000 persone con l’impegno da parte di ciascun nucleo familiare di destinare in caso di “emergenza” una parte dello spazio abitativo. Il costo delle abitazioni sarebbe facilitato per i diversi nuclei familiari a persone con la disponibilità ad “accogliere” per un periodo di tempo determinato la popolazione delle aree sottoposte a rischio vulcano.



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