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Vittorio Paravia
Presidente Fondazione Antonio Genovesi Salerno - SDOA
Vice Presidente ASFOR
Alla ripresa delle attività, dopo le interruzioni estive, la realtà con i vari problemi connessi al nostro vivere quotidiano ci assale e ci riporta alle abituali responsabilità, perplessità e scelte obbligate dai limiti economici imposti dall’incalzante inflazione. L’autunno, che in Italia è da sempre definito caldo, questa volta deve anche fare i conti con la vertiginosa caduta culturale delle università italiane. Chi vorrà iscrivere i propri figli all’Università ha il diritto di sapere che al corso di laurea in Chimica industriale di Rieti risultano iscritti solo quattro studenti; il corso di laurea in Scienze dei Beni Culturali è il meno frequentato d’Italia ma, in compenso, ha ben duecento sedi universitarie; a Bologna il corso di Laurea in Scienze Storiche conta un solo iscritto; Ingegneria Industriale a Rende, Scienze e Tecnologie Farmaceutiche a Camerino, Scienze della Mediazione linguistica a Forlì hanno anch’esse un solo iscritto. Ci sono altri 37 corsi che hanno un solo iscritto e le cifre fornite dal Ministro Gelmini fotografano una situazione paradossale: in Italia cento corsi di laurea hanno meno di dieci studenti ciascuno. Siamo un caso limite in Europa: il potere decisionale accademico è più interessato al placement per i docenti che alla formazione degli studenti e questa mostruosa cladogenesi occupazionale ha contribuito ad abbassare il livello culturale dei laureati. Oggi il Ministro deve intervenire sulla proliferazione di atenei sorti in quasi tutti i capoluoghi di provincia del Paese, spesso sulla spinta di discutibili e provinciali feudalesimi politici, più che di reali esigenze.
Il tavolo di consultazione permanente ed il Ministro hanno deciso cinque grandi interventi:
- garantire la qualità del reclutamento dei docenti;
- realizzare un sistema efficace e trasparente di valutazione;
- premiare le università che ottengono i risultati migliori nella ricerca e didattica;
- incentivare i docenti più meritevoli;
- incoraggiare l’internazionalizzazione del sistema universitario; interventi questi che dovrebbero ripristinare cultura e formazione nelle nostre Università.
A questo punto è lecito chiedersi come si potrà attuare l’internazionalizzazione se i nostri organi di informazione, per dovere di cronaca, nel riportare il disastroso stato di emergenza del nostro sistema universitario (la nostra stampa viene attentamente letta dagli addetti culturali delle ambasciate di ogni paese rappresentato in Italia) contribuiscono a far percepire una realtà più disastrosa della realtà concreta. Il serpente si morde la coda. Come possiamo competere con il prestigio acquisito dalle Università americane, inglesi ed australiane che non solo sono presenti nei paesi economicamente forti ma sono anche in grado di dirottare una utenza privilegiata a partecipare ai propri Master? Anche l’aristocratica Inghilterra ha attuato un piano di proliferazione universitaria, ma le regole di assunzione del corpo docente si sottraggono alla logica perversa del clientelismo politico. Le facoltà di Medicina lamentano una scarsa affluenza di studenti inglesi (la professione del medico in questo paese richiede un costante e serio impegno assistenziale verso i pazienti di qualsiasi nazionalità); in compenso, però, studenti stranieri di ogni provenienza affollano le aule universitarie. La cultura è nel circuito economico nazionale non solo dell’Inghilterra ma anche dell’Irlanda ed esiste, inoltre, una sana competizione fra le antiche istituzioni universitarie e le nuove.
Uno dei punti dolenti delle università italiane, oltre ai già citati fenomeni clientelari e ai 34.000 diversi corsi istituiti, è la caduta della competizione. Il docente è più interessato a mantenere un certo numero di utenti che a formarli, e questo accade non solo per l’area umanistica, ritenuta a torto più facile, con conseguenze evidenti nel campo dell’occupazione intellettuale. Si spera in una ripresa culturale che possa ridare alla laurea dignità e competenza, al di là del valore legale del titolo di studio.
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