Tutto in in week end
Foro dei baroni:
facile perdersi nel gusto
Ferdinando CAPPUCCIO
Due sono le domande più frequenti che mi fanno i lettori di questo magazine: perché i miei giudizi sono sempre positivi e come vengono scelti i locali da recensire. Ebbene, prescindendo che il gusto è qualcosa di soggettivo per cui trasferisco soltanto mie sensazioni, i locali visitati che ritengo non essere proponibili penso sia molto più logico non menzionarli. La selezione invece avviene sulla scorta delle segnalazioni delle più importanti guide, dell’esperienza di amici gourmet, o della casualità che “a naso” fa preferire un locale piuttosto che un altro. Premesso ciò sottopongo questa volta alla vostra attenzione “Il Foro dei baroni”, ristorante sito in Puglianello, in provincia di Benevento. Questo è considerato da molti (Guida dell’Espresso, Guida del Gambero Rosso, Antonio Fiore) un importante locale in costante progresso.
Domenica 2 febbraio, accompagnato dalla real coppia e dall’endocrinologo dei vip con leggiadra consorte, dopo esserci persi nelle montagne del Sannio a causa di un “impazzito” navigatore (com’era bello una volta chiedere alle persone per strada come arrivare in una località!), abbiamo raggiunto il locale sannita per verificarne la bontà. Dopo aver bussato il campanello dell’elegante ingresso siamo stati accolti dal maitre Pasquale Marrazzo, originario di Cava Dei Tirreni, che ci ha fatto accomodare al tavolo prenotato. Il locale ci è apparso molto funzionale, pieno di comodità (dagli sgabelli per le borse delle signore a toilettes di gran civiltà) con tavoli ampi e ben apparecchiati. Immediatamente ci è stato portato il menù, elegante ed essenziale, e l’ampia lista dei vini. Per filosofia del locale la proposta gastronomica cambia continuamente, alla ricerca di sempre nuovi sapori.
Ciò comporta necessariamente una logica non amplissima scelta (4 antipasti, 4 primi, 4 secondi, 4 dessert) con proposte che però hanno attirato immediatamente la nostra curiosità.E mentre il paziente Pasquale ci spiegava le elaborazioni in proposta per poter meglio scegliere, ci veniva servita una birra artigianale, non pastorizzata né filtrata, prodotta a Faicchio, paese del beneventano. Il prodotto, Kolsch di Saint John’s, molto accattivante, è stata la prima sorpresa: elegante e gustosa dimostrava la grande ricerca dei prodotti locali di qualità condotta dal ristorante sul territorio. Avendo fatto finalmente la scelta, ci è stato servito il pre-appetizer, complesso e difficile come lo sarà tutto il pranzo. In un elegante piatto ci è stato infatti servito un prosciutto di pollo, fatto dallo chef, con agretti croccanti, maionese di wasabi e sorbettino di mela verde e sedano. La presentazione è bellissima (si mangia anche con la vista) ed i sapori inusuali; il sorbetto di mele poi servito con la cannuccia, ci ha dato immediatamente l’idea della gran tecnica culinaria del Foro dei baroni. Le elaborazioni partono da prodotti tradizionali ma sono composti in maniera del tutto originale. E mentre si accendeva la discussione a tavola, ci veniva servito il pane, fatto dallo chef, al latte, alle olive, alla cipolla ed i magnifici grissini con un delicato aroma di anice, moderna evoluzione dell’antico tarallo. Incuriositi aspettavamo gli antipasti mentre ci venivano serviti un piedirosso in purezza della zona, il Kerres dei Pentri, molto morbido e con un sentore di vaniglia determinato dalla barrique che non sovrastava il frutto.
Pur tentato dalla salsiccia “i zi Luigi”, con orzo mantecato, salsa dorama e zenzero in agrodolce, ho optato per un semplice culatello del Matese…Avevo immaginato che i puntini fossero indicatori di altri ingredienti, ma credetemi, la presentazione del piatto andava oltre la fantasia. Il fantastico culatello locale, che nulla ha da invidiare al più famoso di Zibello, era adagiato, ben composto, nel piatto a mo’ di montagnola, accompagnato da un pomodorino avvolto in crosta ed imbottito di squisita e delicata ricotta.
Dopo molti dubbi ho scelto per primo piatto la variazione di coniglio, croccante di riso integrale con cuore di latte vaccino. É un piatto triplo (non nella quantità) dove il riso integrale è veramente straordinario per gusto e metodo di cottura, mentre il coniglio vede un vero e proprio “combattimento gustativo” tra la preparazione in tempura ed una più normale. E mentre ci veniva servito in splendidi ballon il Grave Mora, magnifico aglianico di Fontanavecchia, ecco arrivare in tavola i secondi. Alcuni commensali avevano optato per l’ “Elogio al maiale nero casertano”, razza pregiata che nulla ha da invidiare a quella spagnola, altri per il vegetariano “cipollotto sotto cenere con maionese di verdure, sfogliatella croccante, patè di olive verdi”. La mia scelta invece è stata il “filetto di manzo in crosta di pane profumato agli agrumi, salsa piccante, le sue polpettine con mostarda di zucca, fagiolini all’agro”. Qualsiasi descrizione fatta su questo piatto sarebbe manchevole ed insufficiente; la mia portata infatti esaltava all’assaggio alternativamente i forti sapori della carne e della salsa piccante stemperati dalla mostarda di zucca e dagli agrumi. Pur tentato dai formaggi, molti dei quali rari ed autoctoni, non potevo rinunziare al dolce. Preceduto da una piccola pasticceria dove, per onestà, devo affermare che il croccantino e il dolce di mandorla mi hanno entusiasmato, mentre le altre due composizioni mi hanno lasciato perplesso, ecco che mi è stato servito il finocchio…cannolo con mousse, pudding, crema ghiacciata. Non è un dolce normale: il giovane chef Raffaele D’Addio, allievo di Antonello Colonna, ha seguito la strada tracciata dal suo maestro. E così anche i dolci di Puglianello possono essere considerati quasi “dolce-non dolce”, filosofia gastronomica che trae la sua genesi nel famoso diplomatico di crema e cioccolato con caramello al sale che ha reso famoso il ristorante di Labico. Certo è un dessert diverso da come si è abituati, così come è difficile e diversa tutta la cucina del ristorante di Puglianello. E parlando a fine pranzo con il giovane Raffaele e con il suo aiuto benedetto, ho forse compreso l’anima della sua filosofia culinaria: essa parte dai prodotti del territorio, ma oltrepassa i limiti dello stesso, proponendo elaborazioni che dimostrano come il gusto, pur partendo da piatti tradizionali, si può e si deve evolvere. E forse il Beneventano, grazie al Foro dei baroni, rappresenta un’avanguardia nella cucina campana! |