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  Dicembre 2012

Articoli n° 02
MARZO 2007
 


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salute e benessere

SPORT

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BUONA VISIONE

SPORT

VersatilitÀ e voglia di mettersi in gioco


Ivan Zazzaroni ci svela i trucchi del mestiere di un bravo giornalista sportivo

di Carlo Ippolito, Vice Presidente Aisport

La situazione degli stadi italiani è sotto gli occhi di tutti. Bisogna ripensare tutto da capo

 Ivan Zazzaroni, bolognese, 48 anni, è uno dei volti più noti del giornalismo sportivo italiano. Autore fra l'altro di alcuni libri di successo su personaggi dello sport come Baggio e Pantani è anche collaboratore fisso di alcune radio e televisioni private.
Ci riceve nell'hotel cittadino che frequenta settimanalmente oramai da tre anni, causa gli impegni con una tv privata napoletana, e davanti ad un buon caffé iniziamo un botta e risposta ad ampio raggio su temi sportivi e non.

Una domanda che molti si pongono: come si diventa giornalisti sportivi?
Posso dire come lo sono diventato io. É stato il mio obiettivo fin da ragazzino. Non ho mai pensato di fare altro e ho impiegato tutte le mie forze per riuscire ad esercitare questa professione. Ho avuto una grande fortuna, quella di avere ottimi maestri che, detto per inciso, è cosa rara al giorno d'oggi. Due su tutti: Italo Cucci, con il quale ho un rapporto "quasi" simbiotico da circa trent'anni e che ritengo il "mio maestro", e Mario Sconcerti, un uomo che ancora oggi ha la voglia ed il gusto di tenersi sempre aggiornato. La mia prima esperienza fu alla Gazzetta poi Autosprint, fino alla direzione del Guerin Sportivo. Poi ho fatto molta televisione, sempre con la voglia di imparare, che è poi la qualità migliore per riuscire in questo mestiere.

Pirandello diceva «la vita o la vivi o la scrivi». Per scrivere di sport bisogna averlo per forza praticato?
Sicuramente aiuta. Io ho alle spalle una carriera di calciatore di discreto livello, sono arrivato fino alla C2 oltre ad essere stato anche un accettabile pallavolista.

In collaborazione con Aisport hai tenuto dei seminari all'università di Roma sulla progettazione e gestione degli impianti sportivi. Argomento che oggi è di attualità dopo i provvedimenti del governo in seguito ai tragici fatti di Catania. Gli stadi italiani sono in gran parte fuori norma. Come si risolve il problema? Ristrutturazione, gestione privata all'inglese, pubblica come la maggior parte di essi?
La situazione degli stadi italiani è sotto gli occhi di tutti. Però bisogna mettersi d'accordo su di una cosa. La sicurezza non te la dà la struttura, ma compete alle forze dell'ordine. Gli stadi invece devono essere confortevoli, di facile accessibilità. Li immagino come una immensa sala, con visibilità eccellente da tutti gli ordini di posti. Una specie di home theatre naturale che possa fare concorrenza alla televisione. Non sono certo i semplici tornelli a risolvere il problema. Bisogna ripensare tutto da capo.

 Resta irrisolto il quesito. Chi deve fare cosa?
Credo che la privatizzazione degli impianti sia la scelta più corretta. Responsabilizzerebbe maggiormente le società dando loro oneri ed onori. Mi rendo però perfettamente conto che è un cammino lungo e difficile. Troppi interessi ruotano intorno agli stadi. Prendiamo il caso dell'Olimpico. Alle spalle c'è il Coni che di certo non favorirebbe la cessione di questa struttura. Forse bisognerebbe costruirne di nuovi. Ma anche in questo caso è facile ipotizzare un percorso ad ostacoli.

Si dice che oggi il calcio italiano sia al punto più basso della sua storia. Intravedi un momento di svolta nell'immediato?
Non sono d'accordo. Con lo scandalo-Moggi si era davvero toccato il fondo, ma in qualche modo l'effetto catartico c'è stato. Sono cambiati gli uomini ai vertici e soprattutto è stata spazzata via una classe dirigente che aveva in Carraro il suo simbolo, incline al compromesso, al non decidere ed alla scellerata commistione fra calcio e politica. Oggi tutto questo non c'è più e l'angolo per me si è già svoltato.

Fra qualche giorno parti con la nuova avventura del quotidiano “Dieci”. Qual è il target di lettori cui intendete rivolgervi?
Rispondo con una frase forse ad effetto che però rende l'idea: vogliamo conquistare tutti coloro che non acquistano o non acquistano più i giornali. E c'è da giurarci che sono tanti.

Il progetto è sicuramente ambizioso, quali armi utilizzerete per attirare lettori?
Sarà un giornale di scelte forti. Che non seguirà l'onda della quotidianità che è un po' il limite della stampa che porta il lettore alla disaffezione. Oggi la televisione comunque arriva "prima" ed il fruitore alla fine è sempre lo stesso. Quindi piuttosto che comprare un giornale preferisce sintonizzarsi su di un canale televisivo che in fondo gli offre le stesse cose e per di più con anticipo. Sembra paradossale puntare a sottrarre pubblico alle tv, ma questo tipo di utenti troverà da noi un contenitore alternativo agli altri media, con altre "cose". Poi, però, più delle dichiarazioni di intenti contano i fatti. Il 10 marzo sarà in edicola a 50 centesimi e sarà quella la migliore spiegazione di quello che faremo e che vogliamo fare.

Sono tre anni che, fra le altre cose, conduci una trasmissione televisiva molto popolare a Napoli. Qual è il rapporto con questa città?
Di grande rispetto ed affetto. Mi sono sempre sentito stimato e riconosciuto al punto da non poter camminare per la città senza essere fermato anche se solo per un veloce scambio di battute.
Come tutte le esperienze belle però anche questa è destinata a finire. Non so ancora quando, ma è nella logica delle cose. Niente è eterno e stabilirò io quando questa collaborazione dovrà terminare.

Il caffé nel frattempo si è fatto troppo freddo, ne dobbiamo ordinare un altro, ma alla svelta perché fra poco parte il suo aereo per Milano. Radio Dee Jay aspetta Ivan.

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