Ronald Spogli:
«Private equity
per lo sviluppo del Sud»
Un kit fai da te
per il risparmio energetico
Nevio Di Giusto
Vice Presidente
per Innovazione e Ricerca
Riparte il progetto
Studiare l’Impresa
La legalitÀ?
Va seminata nelle scuole
Ronald Spogli:
«Private equity
per lo sviluppo del Sud»
di Bruno BISOGNI
L’incontro con l’Ambasciatore
degli Stati Uniti d’America
Si chiama Partnership for Growth, la una nuova iniziativa a sostegno della crescita economica in Italia presentata martedì 30 gennaio all'Unione Industriali di Napoli dall'Ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, Ronald P. Spogli. I partner possono andare dalle università alle aziende Usa e italiane, ai media, al mondo della politica, agli economisti, ai centri di ricerca alle organizzazioni non governative.
Le collaborazioni saranno ricercate in quattro "filoni": commercializzazione della ricerca: collaborazione tra università e mondo del lavoro; innovazione e diritti di proprietà intellettuale (contro pirateria e contraffazione); Best (business exchange student training-program) per sostenere giovani imprenditori anche attraverso esperienze in aziende Usa; un più ampio mercato dei capitali di rischio (per un mercato del venture capital più ampio ed accessibile, con l'apertura al private equity e ad un mercato obbligazionario ad alto rendimento).
Nell'incontro di fine gennaio si è approfondito quest'ultimo aspetto. Il Private Equity e il Venture Capital rappresentano per le imprese di dimensioni medio-piccole, con promettenti prospettive di crescita, le forme di reperimento di risorse finanziarie più idonee per sostenere il processo di sviluppo. Tali strumenti consentono da un lato di ottenere mezzi finanziari a titolo di capitale di rischio, per loro natura atti a supportare programmi di crescita di medio e lungo termine, dall'altro di beneficiare delle competenze professionali di operatori specializzati, molto utili nel coadiuvare il management dell'impresa durante il percorso di crescita. Nel primo semestre 2006, secondo i dati dell'Aifi, l'Associazione italiana del Private Equity e Venture Capital, gli operatori di private equity e venture capital attivi in Italia hanno complessivamente investito 826 milioni di Euro, distribuiti su un totale di 119 operazioni di investimento.
La maggior parte delle risorse investite è stata destinata alla realizzazione di operazioni di buy out (acquisizioni di maggioranza o totalitarie), che hanno attratto capitali per circa il 54% dell'intero mercato. Crescono notevolmente, invece, i capitali destinati alla realizzazione di operazioni finalizzate allo sviluppo di imprese esistenti (expansion), che con 276 milioni di Euro fanno registrare un incremento di circa il 60% rispetto ai 173 milioni di Euro del primo semestre 2005 e rappresentano una quota superiore al 33% del totale.
Ancora contenuta l'attenzione dedicata alle cosiddette operazioni di start up (avvio di nuove imprese), per le quali sono stati impiegati poco più di 9 milioni di Euro (pari all'1% del totale), distribuiti su 24 investimenti.
Il numero di operazioni e di risorse investite in imprese italiane è pari rispettivamente al 94% e al 96% del totale.
Con riferimento alle sole aziende domestiche, risulta ancora molto ridotta l'attività al Sud (circa 3% degli investimenti e dei capitali investiti).
Perché è così limitata la diffusione del private equity al Sud?
I raffronti possono aiutare a spiegarlo. A fronte degli 826 milioni di Euro, investiti nel primo semestre 2006 in Italia, nello stesso periodo ve ne sono stati ben 4 miliardi 118 milioni in Francia. Anche in Spagna e in Germania l'ammontare degli investimenti è stato superiore, ma di poco: 963 milioni in Spagna, 939 in Germania. Il dato che maggiormente distingue l'Italia dagli altri paesi se mai è l'importo medio finanziato: 6,94 milioni di euro, contro i 4,16 milioni della Francia, i 3,85 della Spagna, appena 1,90 della Germania.
In Italia insomma - come ha sottolineato nel corso del convegno il Presidente dell'Unione Industriali di Napoli, Giovanni Lettieri, si finanziano col private equity operazioni mediamente più rilevanti. Di conseguenza, c'è meno attenzione per la piccola impresa.
Se si considera che le piccole imprese meridionali sono di dimensione media sensibilmente più ridotta di quelle del Centro-Nord del Paese, si possono comprendere le difficoltà nella diffusione del private equity nel Sud. Certo, vi sono anche elementi di autocritica per il mondo imprenditoriale. Occorre puntare a un livello medio di sempre maggiore trasparenza dei bilanci delle imprese (molti passi in avanti sono stati tuttavia fatti al riguardo). Bisogna superare la diffidenza atavica di certi operatori del Sud verso apporti di capitale e consulenze gestionali dall'esterno dell'impresa.
Ma qualche sforzo è lecito aspettarsi anche dalla politica e dal mondo della finanza innovativa.
Da un lato bisogna favorire la diffusione dei cosiddetti fondi istituzionali, sviluppare politiche tali da incrementare la massa totale delle risorse finanziarie disponibili per operazioni di private equity. Dall'altro lato, serve negli operatori una sempre maggiore flessibilità, tale da parametrare territorio per territorio dimensioni e caratteristiche dell'intervento.
I lavori del convegno sono stati introdotti dal Presidente di Confindustria Campania, Cristiana Coppola. Oltre a Spogli e a Lettieri, sono intervenuti il Professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso la Facoltà di Scienze Bancarie Finanziarie e Assicurative dell'Università Cattolica di Milano, Paolo Gualtieri, Amedeo Giurazza ("Testimonianza di una ricerca sul territorio"), il Caporedattore Finanza de "Il Sole 24 Ore", Alessandro Plateroti, l'Assessore alle Attività Produttive della Regione Campania, Andrea Cozzolino. |