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  Dicembre 2012

Articoli n° 01
GENNAIO 2007
 


UNIONE Industriali DI napoli - Home Page
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Nicolais: «Microsoft investirà nel Mezzogiorno»

Maione:«Dopo Roma
portiamo Cibus a Napoli»

Il cardinale Sepe:
«Dagli imprenditori attenzione al sociale»

Sicurezza sul lavoro: molto si È fatto, tanto resta da fare


Maione:«Dopo Roma portiamo Cibus a Napoli»


di Bruno BISOGNI

La proposta del Presidente della Sezione Industria alimentare

La scarsa articolazione merceologica dell’export campano è un elemento di debolezza da risolvere

Nel settore alimentare la Campania rappresenta di gran lunga la regione "leader" del Mezzogiorno. La trasformazione alimentare regionale, difatti, si basa su 7 mila aziende, 29 mila addetti, con quasi 5,5 miliardi di fatturato. Le aziende alimentari del settore rappresentano il 10% dell'universo nazionale. Gli addetti coprono il 6,7% dell'universo occupazionale del Paese. Il fatturato incide per il 5% su quello complessivo dell'industria alimentare nazionale. I dati salienti dell'industria del comparto in Campania sono stati ricordati dal Presidente della Sezione Industria Alimentare dell'Unione Industriali di Napoli, Mario Maione, nel corso del convegno "L'evoluzione del sistema alimentare e Cibus Roma 2007. Le opportunità per l'industria alimentare del Centro-Sud", svoltosi all'Unione Industriali di Napoli martedì 16 gennaio.
A fronte di una cospicua presenza, è tuttavia grande la frammentazione che caratterizza la struttura produttiva campana, come ha sottolineato il Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori dell'Unione Industriali di Napoli, Antimo Caputo, anch'egli come Maione affermato imprenditore del settore. Nella sua relazione, Maione ha rimarcato tale aspetto, sottolineando che nella regione il livello di 4 addetti per unità aziendale è ancora più basso di quello già modesto della media nazionale (6 addetti).
Eppure, malgrado tale frammentazione, l'export dell'industria alimentare campana ha raggiunto nel 2005 la quota di 1.334 milioni di euro, con una incidenza significativa (8,6%) sull'export totale del settore (15.500 milioni di euro). La Campania è più export-oriented della media del Paese, con una incidenza che va oltre il 24% del fatturato regionale. Nel 2005, peraltro, il settore ha fatto registrare un momento di impasse, con una flessione delle esportazioni pari per valore a circa il 4,5% rispetto all'annata precedente.  Al di là della congiuntura, alcuni dati indicano incoraggianti prospettive e qualche vincolo da superare. Solo il 53,2% del fatturato derivante dall'export regionale si indirizza verso sbocchi comunitari, a fronte del 64% della media nazionale. L'industria campana beneficia dunque di una maggiore articolazione della sua offerta d'oltre confine. L'alimentare campano, tuttavia, dipende fortemente dal comparto della "trasformazione di frutta e ortaggi". L'export di questo segmento ha raggiunto nel 2005 una incidenza preponderante (59,1% - 789 milioni) rispetto a quello regionale complessivo di settore. I prodotti lattiero-caseari (99 milioni) e gli "oli e grassi" (60 milioni) seguono a grande distanza. Mentre un comparto portante dell'export nazionale, quello delle bevande e dei vini, appare del tutto marginale, con appena 28 milioni, pur a fronte della straordinaria qualità dei vini campani, molti dei quali assurti a livelli di eccellenza assoluta. Nei primi nove mesi 2006 le esportazioni alimentari regionali si sono riprese, con un +7,5% sullo stesso periodo 2005. Tuttavia, anche nel 2006, esse risultano meno dinamiche rispetto a un trend nazionale dell'export di settore che cresce in parallelo del +9,8%.
«La scarsa articolazione merceologica dell'export campano, malgrado l'ampio patrimonio di prodotti a denominazione, garantita e protetta, che testimonia la ricchezza delle tradizioni del food and drink locale - ha commentato Maione - risulta chiaramente un elemento di debolezza dell'export regionale». Serve dunque «una promozione specifica e mirata per l'industria alimentare campana, diretta a mantenere i punti di forza, ma anche a rafforzare urgentemente la troppo esigua presenza, accanto ad essi, degli altri segmenti produttivi». «La Campania, ha sottolineato il Presidente della Sezione Industria alimentare dell'Unione Industriali di Napoli - pur se rappresenta la regione del Mezzogiorno d'Italia meglio strutturata, più industrializzata e con il più elevato livello di specializzazione economica deve porre in atto una serie di misure:
- crescere dimensionalmente creando un "sistema" di imprese;
- svolgere azioni di marketing strategico per poter puntare, in maniera incisiva, sui mercati esteri;
- valorizzare l'immagine di un'industria avanzata, capace di garantire un'offerta ai massimi livelli di qualità,  sicurezza igienico-sanitaria, tutela delle tradizioni alimentari nazionali». In questa ottica Maione ha plaudito alla decisione di organizzare nel 2007 un appuntamento romano per la famosa kermesse parmense di Cibus, auspicando di poter presto ospitarne uno a Napoli, capitale del Mediterraneo e fulcro della grande tradizione alimentare e gastronomica italiana. Per promuovere il Salone dell'alimentazione di qualità, in programma nella capitale dal 13 al 16 aprile, sono intervenuti tra gli altri al convegno napoletano il Vice Presidente, il Direttore Generale e il Presidente del Gruppo Giovani di Federalimentare, rispettivamente Annibale Pancrazio, Daniele Rossi e Francesco Senesi, nonché l'Amministratore delegato di Fiere Parma, Ugo Calzoni. Per il Mezzogiorno, l'industria alimentare costituisce un'opportunità ancora da sfruttare, con potenzialità di enorme rilevanza. Lo ha affermato con sicurezza il Presidente Maione, ricordando i valori della dieta mediterranea, nata nel Sud e in particolare in Campania, dove fu valorizzata nel dopoguerra dagli studi imponenti di un nutrizionista di fama mondiale quale l'americano Ancel Keys. «In questi ultimi decenni siamo stati bombardati mediaticamente da modelli culturali che non ci appartengono e che sono dannosi sotto il profilo nutrizionale», ha dichiarato Maione. «Hanno provato a distruggere la dieta mediterranea in tutti i modi, sprecando fra l'altro una marea di quattrini. Non ci sono riusciti. Disponiamo di un patrimonio alimentare inestimabile, soprattutto al Sud. È ora di farlo fruttare».

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