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La Cassazione e il
licenziamento disciplinare
La Cassazione e il
licenziamento disciplinare
Massimo AMBRON
Avvocato
massimo.ambron@libero.it
Si confermano tutti i requisiti dalla immediatezza
alla tempestività della contestazione
Una interessante pronunzia della Cassazione Lavoro del 13/6/2006 n. 13621 ribadisce un principio che va consolidandosi. Il datore di lavoro deve procedere alla contestazione, di cui all'art. 7 della L. 300/70 (Statuto dei Lavoratori) e notificare gli addebiti disciplinari oggetto di censura nei confronti del dipendente, con immediatezza, da quando cioè ne è venuto a conoscenza. Tale principio di immediatezza va inteso in senso relativo con riferimento alle diverse strutture aziendali, più o meno complesse ed articolate: quindi contenuto in un ragionevole lasso di tempo, considerato anche il grado di organizzazione ed informatizzazione aziendale. É compito del Giudice di merito verificare la ragionevolezza di tale lasso di tempo, motivando congruamente la decisione sul punto non più sindacabile in sede di legittimità. La necessità di immediatezza risponde anche ad esigenze di rispetto delle regole di buona fede e correttezza nello svolgimento del rapporto di lavoro, anche e soprattutto nella sua fase patologica. In tale ottica il requisito della immediatezza deriva dalla necessità di consentire al lavoratore adeguata e a sua volta tempestiva difesa in relazione ai fatti addebitati, portando circostanze a sua discolpa. Il trascorrere ingiustificato del tempo potrebbe pregiudicare tale diritto, ponendo in sede di impugnativa nel nulla l'intero procedimento disciplinare. A cosa porta la conferma di tale orientamento? Erra quel datore di lavoro che "a caldo", in modo sbrigativo, notifichi la contestazione disciplinare, che può sfociare in licenziamento, senza aver prima proceduto alla necessaria fase istruttoria "interna" con richiesta di dettagliata relazione dei fatti accaduti oggetto di censura ai superiori gerarchici del lavoratore, ascoltando testimoni diretti ed indiretti del fatto. Ma erra anche quel datore di lavoro che, al contrario, "temporeggia" troppo, ecceda in prudenza, alla ricerca di fatti inequivocabilmente imputabili al lavoratore, ovvero mostri una vera e propria "indecisione", come è accaduto nel caso posto all'attenzione della S.C.. In tal caso infatti l'indagine sullo svolgimento da parte del lavoratore di attività presso altra azienda si è protratto troppo a lungo, rendendo la contestazione censurabile sotto il profilo della mancanza di immediatezza e ponendo nel nulla l'intero procedimento, con contestuali ricadute negative economiche e di immagine. Quindi la valutazione del ragionevole lasso di tempo tra fatti censurabili e loro contestazione a fini disciplinari va tenuta in buona evidenza dal responsabile del procedimento, soprattutto laddove l'organizzazione aziendale sia complessa e articolata, caratteristiche che di per sé non giustificano una mancanza di immediatezza della contestazione, come già sopra rilevato.
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