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Un nuovo modello
per le relazioni industriali
di Bruno BISOGNI
Il Vice Presidente Sante Roberti spiega come cambia il rapporto con il sindacato
Il Tavolo di Concertazione costituito tra Unione Industriali e Organizzazioni sindacali confederali come simbolo di un nuovo modello di rapporti tra le rappresentanze dell’impresa e del lavoro. Ne è convinto Sante Roberti, Vice Presidente per le Relazioni sindacali dell’Unione Industriali di Napoli, che in questa intervista espone al riguardo le linee ispiratrici dell’Associazione, attuate attraverso la sua delega.
Come giudica i rapporti con la cosiddetta controparte sindacale?
Credo che oramai i rapporti con il sindacato non debbano essere più visti soltanto in termini di gestione della conflittualità. Le organizzazioni dei lavoratori, come dimostra l’esperienza del Tavolo di Concertazione, possono essere un partner molto importante per il raggiungimento di determinati obiettivi.
Può esemplificare?
Pensiamo ai temi della sicurezza e della legalità. Napoli su questo versante, oltre ai problemi comuni alle altre grandi metropoli occidentali, ha purtroppo delle connotazioni specifiche. Qui c’è stata negli ultimi decenni una caduta drastica dei livelli occupazionali nel settore industria, cui non hanno fatto riscontro una valorizzazione e un rilancio delle zone dismesse. Il decadimento economico e sociale è stato causato anche dalla crisi dell’occupazione produttiva.
La ripresa dell’emigrazione, intellettuale stavolta, è stato un ulteriore effetto, che ha contribuito ad aggravare il costo globale del depauperamento industriale per il territorio. É evidente che, di fronte a un quadro così pesante, i soggetti dell’impresa e del mondo del lavoro in generale abbiano tutto l’interesse a collaborare, a definire punti strategici di convergenza, interloquendo con i vari livelli istituzionali insieme e dunque con maggiore efficacia.
É finita l’epoca in cui le relazioni industriali si esaurivano nelle vertenze salariali.
In quali altri campi è possibile immaginare sinergie tra le associazioni imprenditoriali e quelle del lavoro nell’area napoletana?
I filoni di impegno possono essere diversi. Un obiettivo fondamentale è quello di rendere il territorio più competitivo.
In questo senso si può agire sia all’esterno dell’azienda, definendo posizioni condivise da rappresentare alle istituzioni competenti, sia all’interno dei processi e della organizzazione lavorativa. Per restare alla nostra area, l’Unione e i Sindacati hanno insieme chiesto una accelerazione del processo di riconversione di Bagnoli. Positivo è stato anche il superamento del commissariamento delle Asi, attraverso la nomina di un Commissario ad acta ottenuta per iniziativa del Tavolo di Concertazione. Sul fronte interno all’azienda, invece, è possibile imprimere una svolta innovando il rapporto tra l’impresa e i dipendenti.
In che senso?
Viviamo in un’epoca caratterizzata dalla continua evoluzione tecnologica e dalla globalizzazione. Occorre stare al passo con i tempi, specie in un territorio come quello napoletano segnato dalla presenza diffusa di produzioni entrate in concorrenza con quelle delle imprese dei paesi di nuova industrializzazione. Dobbiamo essere consapevoli della centralità della persona, del capitale umano. Di qui il ruolo essenziale della formazione. Una formazione che sia continua e legata a forme di valorizzazione degli obiettivi. A tal fine serve un patto con il sindacato che faciliti una sintonia tra attività formative, scopi per cui sono poste in campo e livello di coinvolgimento dei lavoratori. La sfida si vince se i lavoratori sono partecipativi, il che può accadere solo se vi è condivisione dei progetti, per cui in un certo senso il lavoratore può riconoscersi nella propria azienda.
Oggi tuttavia si deve essere disponibili a cambiare più volte occupazione nel corso della vita lavorativa.
Certo, ma la formazione permanente garantisce il lavoratore al di là dello stesso rapporto con l’impresa. Aggiornarsi e qualificarsi ulteriormente ti mette in condizione di essere appetibile e ricercato dal mercato. É in questo senso che parlo di identificazione. Ci deve essere comunanza di interessi almeno su alcuni punti base. Le aziende crescono perché arricchite per competenza e saperi, i lavoratori perché rafforzati dalla formazione e dall’apprendimento. Questo percorso virtuoso può essere promosso, concordando con le organizzazioni sindacali le strategie di intervento e, quindi, le più opportune modalità. Sperimentando soluzioni nuove per un’area come quella napoletana, che deve tra l’altro proporsi di attrarre sempre maggiori investimenti.
Intende riferirsi a forme avanzate di flessibilità?
Sicuro. Facendo attenzione a non confondere flessibilità con precarietà. Attualmente la flessibilità è indispensabile per la sopravvivenza delle imprese e per vincere la sfida competitiva del mercato globale. Non solo nel Mezzogiorno o in Italia ma in tutto il mondo industrializzato. Copenhagen è un’area tra le prime in Europa per tasso di sviluppo del PIL. Tra i segreti del successo c’è la forte crescita del settore biotecnico. Uno sviluppo che in Danimarca è stato favorito proprio dall’applicazione diffusa della flessibilità. Bisogna insistere su questa strada. La corretta applicazione degli istituti contrattuali in materia di flessibilità e una condivisa riforma degli attuali ammortizzatori sociali potranno contribuire a modernizzare le relazioni industriali.
Sotto la sua guida l’Area lavoro e relazioni industriali dell’Unione ha promosso di recente un convegno sulla sicurezza e sul rischio infortuni in azienda. Considera il tema una priorità per la sua azione?
Indubbiamente, tanto da non limitarsi al convegno: affianchiamo quotidianamente le aziende su queste tematiche, anche attraverso il Cosila, il consorzio per la sicurezza e la salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro collegato all’Unione.
Il rispetto delle normative vigenti e la qualità del lavoro costituiscono un must per la nostra associazione, nella condivisa valutazione che la sicurezza debba sempre più rappresentare un investimento e non un costo. |