di Fabrizio MURINO*
Il riordino dei servizi pubblici locali resta il banco di prova
per verificare se la classe politica e istituzionale è capace di ultimare una riforma così rilevante per la nostra qualità di vita quotidiana
Sarà necessario studiare forme
di tutela
per evitare
che si passi
da un monopolio naturale pubblico
ad uno privato
Gli Enti locali devono operare una scelta definitiva in favore della creazione di multiservices
Il dibattito sui modelli di gestione dei servizi pubblici locali è da tempo ispirato dalla necessità di adeguare le norme statali al diritto comunitario.
In verità, degli influssi europeisti è già permeata l'attuale disciplina riportata dal D.Lgs. 267/00, emanata anche con l'obiettivo di superare la procedura di infrazione avviata dalla Ue per la mancata apertura alla concorrenza del settore dei servizi pubblici.
Il T.u.ee.ll. del 2000, infatti, affiancava due modelli: l'”affidamento diretto” e l'”undbulding” di derivazione comunitaria, ossia un modello teso a liberalizzare parzialmente la gestione, conservando la proprietà pubblica di reti e impianti.
Ebbene, va detto che se pure la disciplina del D.Lgs. 267/00 oggi non sembra sufficiente per soddisfare le esigenze di concorrenza e liberalizzazione richieste dall'Ue, essa ha comunque contribuito a definire i contorni del dibattito e delle relative proposte di riforma.
Il problema attuale, infatti, non è più l'astratta individuazione di sistemi organizzativi efficienti, compatibili con l'ordinamento interno, bensì la verifica e la revisione complessiva degli istituti vigenti alla luce dei principi di concorrenza e apertura al mercato di matrice comunitaria e della sempre più stringente giurisprudenza europea e nazionale che negli ultimi anni si è andata progressivamente definendo.
In effetti, sia la Corte di Giustizia Europea, sia i Giudici amministrativi sono intervenuti per fissare i paletti entro i quali le PP.AA. possono affidare i propri servizi “in house providing”, senza ricorso al mercato.
Le pronunzie più rilevanti e quelle più recenti in materia (per tutte: Corte di Giustizia 18.11.2000, C-107/98, in giudizio “Teckal”; 11.1.2005, C-26/03, in giudizio “Stadt-Halle”; sentenza 13.10.2005, C-458/03, in giudizio “Parking-Brixen”; Consiglio di Stato, Sez. V, 30.8.2006, n.5072; Sez. VI, 25.1.2005, n.168), fissano rigorosi limiti all'affidamento “in house”, ossia:
1) possesso dell'intero capitale sociale della società affidataria da parte dell'Ente o degli Enti locali; è possibile anche che il capitale sia parzialmente privato: in tal caso, però, l'affidamento diretto del servizio è consentito solo se il socio privato sia stato scelto con gara;
2) sussistenza del “controllo analogo” da parte dell'Ente o degli Enti locali soci, cioè, di un loro stringente potere di controllo sugli organi e sull'attività societaria. Più specificamente, per “controllo analogo” «si intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica» (TAR Sardegna, Sez. II, n. 1729/05). Tale situazione si verifica quando esiste «un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico locale sull'ente societario» (ex plurimis: Cons. Stato, sez. IV, n. 168/05; TAR Piemonte, Sez. II, n. 4164/06; TAR Puglia, Lecce, Sez. II, n.5197/06; TAR Campania, Salerno, Sez. I, n. 892/06). Detto carattere non è presente nel caso in cui lo statuto della società affidataria preveda in capo agli amministratori il potere «di adottare tutti gli atti ritenuti necessari per il conseguimento dell'oggetto sociale» e, secondo parte della giurisprudenza, nemmeno nell'ipotesi in cui lo statuto societario consenta che «una quota del capitale, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi» (Cons. Stato, Sez. V, n. 2072/06 e n. 4440/06). Tale orientamento è, però, ignorato dal testo del d.d.l. Lanzillotta (art. 2, lett. c);
3) espletamento dell'attività e, cioè, erogazione dei servizi da parte dell'affidataria, prevalentemente, se non esclusivamente, in favore dell'ente o degli enti locali soci.
In questo contesto, si colloca il disegno di legge di iniziativa governativa n. 772 del 7 luglio 2006 (“Delega al Governo per il riordino dei servizi pubblici locali”), presentato su iniziativa del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, Linda Lanzillotta, ed attualmente all'esame del Parlamento.
Il D.D.L. segue la modifica in tema di società pubbliche locali operata dal D.L. 233/06 (decreto Bersani) e poi trasfusa nell'art. 13 della L. 248/06.
La suddetta disciplina ha limitato le possibilità di costituzione e operatività delle società pubbliche-private o interamente partecipate da Enti pubblici, stabilendo che ad esse è consentito di operare solo per la produzione di beni e servizi strettamente funzionali alle esigenze dell'Ente di riferimento, senza possibilità di operare sul mercato. Da sottolineare che il testo detta un termine perentorio - 12 mesi dall'entrata in vigore - affinché gli Enti si adeguino alla nuova normativa.
La L. 248/06 prevede “l'esclusione dei servizi pubblici locali”.
Tuttavia, l'inciso è il frutto delle forti pressioni di un gran numero di Enti locali, fondate sulla insuperabile difficoltà di gestione di una così profonda riforma in un arco temporale di soli 12 mesi.
Il problema è, però, destinato a riproporsi con le attuali proposte di legge in discussione. E, infatti, il divieto di svolgere attività “a favore di altri soggetti pubblici o privati” è presente anche nel succitato d.d.l. n. 772.
Diversamente dalla L. n. 248/06, il “Disegno di Legge Lanzillotta”, si inserisce nel cuore della disciplina dei ss.pp.ll. e sembra preludere ad una nuova modifica dell'art. 113 t.u.ee.ll..
Tanto è esplicitato nella stessa relazione di accompagnamento alla proposta di Legge-delega, che, nell'affermare l'intento di «promuovere, mediante la delega al governo, il complessivo riordino della disciplina dei servizi pubblici locali» indica quale modalità anche, «interventi sul t.u. enti locali».
Il progetto di riforma si basa sulla riflessione che allo stato attuale vi sia una «sostanziale garanzia delle posizioni di monopolio: ai gestori pubblici si offre la possibilità di mantenere l'affidamento diretto protetto, al prezzo di rinunciare a crescere come realtà imprenditoriali che si misurano a tutto campo; alle imprese private si offre la possibilità di entrare in una società mista cui si è assicurata una posizione di monopolio tramite affidamento diretto, in cambio della rinuncia a veder aprire i mercati». Altro obiettivo della proposta è «di introdurre una disciplina unitaria per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali, che dovrà quindi essere armonizzata con le discipline di settore previste per ciascun servizio pubblico locale».
La ratio della riforma è palesemente riconducibile alla necessità di promuovere “in attuazione del nuovo dettato costituzionale” la concorrenza tra operatori economici e, dunque, il libero mercato.
La regola generale che prevede l'obbligo di ricorrere a gare ad evidenza pubblica e la limitazione dei casi di affidamento diretto ed “in house” costituiscono una rivoluzione rispetto all'attuale disciplina di cui all'art. 113, del D.Lgs. 267/2000, la quale pone sostanzialmente sullo stesso piano i tre modelli di gestione (affidamento con gara, diretto ed in house).
Va, però, sottolineato che la componente innovativa del testo originario è stata sensibilmente edulcorata a seguito delle pressioni dei rappresentanti degli Enti locali e di alcune forze politiche più conservatrici.
Ed infatti, l'art. 2, lett. b), dell'attuale disegno 772, come recentemente emendato dallo stesso Ministro, consente, in deroga all'ipotesi di cui alla lettera a) e nelle situazioni che, per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e morfologiche del contesto territoriale di riferimento non consentano un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento (diretto) a società a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per l'affidamento “in house”. La lett. c) del medesimo articolo prevede che negli stessi casi di cui sopra è consentito «l'affidamento diretto a società a partecipazione mista pubblica e privato, ove ciò sia reso necessario da particolari situazioni di mercato..., ferma restando la scelta dei soci privati mediante procedure competitive...e la previsione di norme e clausole volte ad assicurare un efficace controllo pubblico della gestione del servizio e ad evitare possibili situazioni di conflitto di interessi».
Va sottolineato che, diversamente dal testo originario che riteneva “eccezionali” le ipotesi di affidamento diretto, la nuova formula del d.d.l. 772 le prevede semplicemente “in deroga” alla modalità di affidamento attraverso la libera competizione di mercato. La differenza, sotto il profilo giuridico e sostanziale, è ragguardevole. É rimasta, invece, invariata la prescrizione secondo cui la scelta di ricorrere all'affidamento diretto deve essere motivata, anche con ricorso a complesse analisi di mercato (art. 2, lett.d).
La nuova formula del testo di riforma, giustificata con la volontà di agevolare i piccoli Comuni che potrebbero incontrare ostacoli a svolgere sempre gare ad evidenza pubblica, lascia aperti enormi dubbi che attengono principalmente alla difficoltà di circoscrivere le «peculiari ragioni economiche, sociali, ambientali e morfologiche (!) del contesto territoriale di riferimento» che, non rendendo «efficace ed utile ricorso al mercato», giustificano l'affidamento diretto, nonché le «particolari ragioni di mercato» che rendono necessaria la deroga all'attivazione di procedure competitive.
L'effetto potrebbe essere quello di creare sconfinate opportunità per “derogare” dalla disciplina generale della gara, svuotando quasi del tutto la portata del d.d.l. Lanzillotta.
Fortemente aleatoria è anche la sostanza e la forma che assumeranno i poteri di controllo della gestione del servizio da parte dell'Ente, dal momento che il d.d.l. non specifica le norme e le clausole volte ad assicurare un efficace controllo pubblico e ad evitare possibili conflitti di interesse, ma si limita, successivamente (art. 2, lett. f) ter) a prevedere «una netta distinzione fra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei SPL, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità».
L'impressione è, dunque, che vi siano numerosi “spazi vuoti” che dovrebbero essere puntualmente normati se il Governo volesse davvero raggiungere lo scopo di dare effettivo compimento al principio di concorrenza, operando una effettiva limitazione del ricorso all'affidamento diretto.
Per ora, quel che è certo è che si è rinviato ancora una volta il momento di compiere scelte nette. Ciò, quanto meno fino alla definizione del regolamento governativo attuativo della legge delega, cui spetterà di specificare condizioni, norme e clausole per ammettere l'affidamento diretto. Resta, infatti, aperta la partita della dettagliata definizione delle fattispecie in presenza delle quali si potrà evitare una gara.
Non può, poi, trascurarsi che il Ministro Lanzillotta, ha definito un ulteriore emendamento al suo d.d.l. che reca, quale possibile alternativa per gli Enti Locali all'affidamento di uno o più servizi pubblici mediante procedura ad evidenza pubblica, il ricorso alla gestione in economia.
Si tratta, chiaramente di una modifica dettata da una esigenza di “mediazione” di natura politica che, però, riporta indietro l'orologio della P.A. di decine di anni, rischiando di impoverire la componente di liberalizzazione dell'iniziativa legislativa.
Non può che essere sottolineata, in proposito, la profonda incoerenza tra la positiva ispirazione originaria del d.d.l., teso a porre l'Italia fuori da un isolamento ed un arroccamento in tale settore che contrasta anche con gli stessi criteri di efficacia ed efficienza che dovrebbero caratterizzare l'azione della P.A., ed una siffatta previsione. Ciò in aperto scontro anche con i principi di straordinaria portata innovativa che il Legislatore ha fissato nella recente modifica della L. n .241/90, secondo i quali «la P.A., nell'adozione di atti non autoritativi, agisce secondo le norme di diritto privato…» (art. 1, co.1 bis, L. n.241/90, come mod. ex L. n.15/05).
Nella medesima ottica di liberalizzazione “regolata”, si colloca la disciplina di cui alla lett. m), dell'art. 2 del d.d.l. Lanzillotta, che prevede di «limitare, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e di razionalità economica del denegato ricorso al mercato, i casi di gestione in regime di esclusiva…liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico affidato…».
Dalla formulazione letterale della norma si evince chiaramente la volontà di consentire una diffusione delle imprese operanti nel comparto dei servizi pubblici, lasciando quale appannaggio esclusivo degli Enti locali i soli servizi essenziali. Non si comprende, però, quali siano i parametri cui ancorare la valutazione di “compatibilità ed accessibilità universale” dei servizi offerti dagli operatori privati. Occorre anche in tal caso attendere la regolamentazione attuativa.
Il processo di indizione di nuove gare è incentivato, infine, dalla previsione che, fino alla data del 31/12/2011, potranno partecipare ad esse anche i soggetti attualmente affidatari dei servizi. La disciplina è stata ritenuta, dai primi commentatori, contraddittoria per due ragioni: l'apertura della gara alle società attuali concessionarie potrebbe determinare un sostanziale favor per coloro che già effettuano la gestione; gli stessi studiosi si sono chiesti, poi, se l'affidamento con gara alle società pubbliche o miste non lascerebbe in piedi proprio quella sovrapposizione, limitativa della concorrenza, tra Ente-controllore e soggetto-erogatore del servizio, che il d.d.l. 772 vorrebbe rimuovere.
Molte perplessità solleva anche la volontà del Governo di dare uniformità normativa al settore. Infatti, se da un lato la disciplina unica sembra dare maggior certezza giuridica, dall'altro essa pone numerose difficoltà di coordinamento in un campo in cui ogni materia ha peculiarità ineliminabili: si pensi, per tutte, ai diversi standards qualitativi da garantire e ai plurimi sistemi delle tariffe.
Restano, poi, nel d.d.l. in esame altri due punti oscuri.
L'attuale formulazione non affronta adeguatamente il problema delle negative ricadute della nuova disciplina sui lavoratori e, più in generale, sugli operatori economici legati alle società affidatarie di servizi in via diretta, ovvero in house.
Invero, a parte un generico obbligo di inserimento nei bandi di clausole che vincolino i gestori dei servizi ad adottare specifiche misure di tutela dei lavoratori, non appaiono previsti gli indispensabili ammortizzatori sociali (ovvero strumenti analoghi) necessari a garantire un passaggio al nuovo regime che non provochi devastanti effetti sul piano sociale.
Infine, non è dato comprendere in quali forme e in che modo si intenda assicurare l'indispensabile coordinamento tra la riforma dei ss.pp.ll. ed il tema della tutela del consumatore: è di tutta evidenza, infatti, che una tale carenza rischia di negare qualsiasi credibilità allo sforzo del Governo.
Al termine della disamina, è utile schematizzare i principi specifici contenuti nella disciplina di riforma dei servizi pubblici locali:
a) Il mantenimento della proprietà delle reti e degli impianti funzionali a servizi pubblici locali in capo agli enti locali (si mantiene in vita il sistema di “unbulding”).
b) Le forme della regolazione basate sulla distinzione, fra i “servizi di rilevanza economica” e quelli “privi di rilevanza economica”; per i primi, definiti del tutto estensivamente dalla giurisprudenza, viene considerata “ineludibile l'esigenza di ricorrere al principio di concorrenza”.
c) Il generale ricorso a procedure competitive (ad evidenza pubblica) di scelta del gestore, per l'affidamento delle nuove gestioni e per il rinnovo delle gestioni in essere dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ad eccezione del servizio idrico, ovvero la gestione in economia dei medesimi servizi da parte degli Enti locali oggi soci delle società partecipate gestrici “in house”.
d) Il ricorso a forme di affidamento diretto consentito “in deroga” alla regola generale, laddove il ricorso a tali soluzioni sia motivatamente imposto da «peculiari ragioni economiche, sociali, ambientali e morfologiche del contesto territoriale di riferimento» che non rendono efficace e utile il ricorso al mercato o da «particolari situazioni di mercato». In particolare: l'eccezionale possibilità di affidamento “in house” è limitata alle sole società pubbliche in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento comunitario, le quali, inoltre, «non possono svolgere, né in via diretta, né partecipando a gara, servizi ed attività per altri enti pubblici o privati». É consentito l'affidamento a “società miste” il cui socio privato sia stato scelto mediante procedure competitive, con l'ulteriore limite che nel bando di gara «siano già stabilite le condizioni e le modalità di svolgimento del servizio» (art. 2, lett. c) d.d.l. 772).
e) Il divieto, per i soggetti affidatari diretti, della gestione sia di servizi diversi da quelli per cui essi sono stati costituiti, sia dei medesimi servizi, ma in ambiti territoriali diversi da quelli dell'Amministrazione locale socia.
e) La previsione della disciplina transitoria circa “il progressivo allineamento delle diverse gestioni in essere alla nuova normativa”. Specificamente le gestioni dirette proseguono fino alla naturale scadenza, tuttavia, il soggetto affidatario diretto potrà concorrere, così come ogni altro operatore alle gare fino al 2011.
Non può negarsi che, per effetto di quanto riassunto, il monopolio naturale a favore degli Enti pubblici nel settore dei ss.pp.ll. dovrebbe entrare in crisi. Così come va sottolineato che il processo di privatizzazione del comparto - almeno nel medio-lungo termine - se si guarda a quello che è avvenuto e avviene fuori del nostro Paese e se si punta a portare i ss.pp.ll. su standard qualitativi superiori, difficilmente potrà essere contrastato con successo.
Resta il rammarico della attuale tendenza del Governo di definire “al ribasso” la portata innovativa del d.d.l. n. 772 in ordine all'accesso al mercato. Bisogna, peraltro, riconoscere che sarà necessario studiare forme di stringente tutela per evitare il rischio che si realizzi un semplice passaggio (come già avvenuto per le privatizzazioni di alcuni dei ss.pp. statali) da un monopolio naturale pubblico ad uno privato.
Con la conseguenza che gli utili realizzati nelle gestioni virtuose, che oggi costituiscono preziose entrate per i Comuni proprietari, possano trasformarsi, in futuro, in rendita per le imprese private senza che nulla cambi da un punto di vista di standard qualitativi e di tariffe per i cittadini.
Nella medesima scia della riforma Lanzillotta si colloca il “Pacchetto competitività”, proposto dal Vice Premier Francesco Rutelli.
In sintesi, il documento di presentazione della proposta, intitolato “Porre al centro il Cittadino-Consumatore”, si articola in sette sotto-proposte, accomunate dal fine di tutelare e garantire il “Cittadino-Consumatore”, attraverso processi di liberalizzazione e di apertura del mercato, nonché mediante peculiari riforme della P.A.. Tra le novità più rilevanti e caratterizzanti per singoli comparti, si segnalano:
- Servizi pubblici locali: è pressoché integralmente ripreso il disegno “Lanzillotta;
- Trasporti: il settore è interessato da radicali trasformazioni. Oltre alle norme riguardanti le autolinee nazionali, le Ferrovie dello Stato e gli Aeroporti, “il pacchetto Rutelli”, incide anche sul trasporto locale, prevedendo l'eliminazione dei limiti numerici al rilascio di licenze o autorizzazioni per l'offerta di servizi “innovativi” (diversi, cioè dai bus e dai taxi tradizionali); l'abrogazione delle norme del D.Lgs. 286/05 che prevedono, per le autolinee interregionali di competenze statale, il diritto di esclusiva delle concessioni fino al 2010; l'istituzione di un'Autorità garante per le reti di trasporto e per i trasporti, con il compito precipuo di soggetto unico regolatore dei trasporti, anche in sostituzione degli enti attualmente preposti a tale funzione (Enac, Anas, Rfi, etc).
- Energia: il principio generale è di consentire l'effettiva imparzialità del gestore della rete che, pertanto, non può essere rappresentato da società partecipate da soggetti operanti nella medesima filiera. Quanto alla distribuzione del gas, l'intento è di favorire l'aggregazione, a livello regionale o metropolitano, dell'attività di erogazione, nonché di promuovere nuove infrastrutture di distribuzione per aumentare la concorrenza. Nello stesso senso vanno le previste misure tese a garantire la parità di accesso alle reti anche agli operatori europei ed internazionali, rivedendo i “tetti antitrust” ed obbligando ENI a cedere parte sia dei contratti di importazione, sia della produzione nazionale.
- Sostegno alle liberalizzazioni e alle aggregazioni: il documento in esame, al fine espresso di limitare le conseguenze negative a carico dei soggetti attualmente affidatari dei servizi pubblici locali oggetto di liberalizzazione, prevede il ricorso agli “ammortizzatori sociali”. Annuncia, altresì, una deroga al Patto di stabilità per gli Enti locali che si attivino per sviluppare forme di aggregazione e crescita dimensionale delle società erogatrici di servizi.
- Tutela dei consumatori-utenti: quest'ultimo scopo viene perseguito secondo tre linee guida: a) rafforzamento dei meccanismi di partecipazione degli utenti alla fase di definizione delle tariffe; b) esame del grado di soddisfazione degli utenti e determinazione di standards qualitativi dei servizi, da inserire in apposite “carte dei servizi” che siano immediatamente vincolanti nei confronti sia dell'ente, sia dei privati; c) estensione della possibilità di ricorso alle “class action”.
Anche la Legge Finanziaria 2007 (L. n.269/2006) ha introdotto rilevanti novità impattanti nel settore dei ss.pp.ll.. Brevemente si rammenta, circa l'art. 1, che:
- il comma 721 prevede, a carico delle Regioni, l'adozione, entro 6 mesi, di una serie di decisioni tese a fondere le società partecipate, all'eliminazione degli enti inutili, alla riduzione degli oneri degli organismi politici e degli apparati amministrativi. Si tratta di una norma che, nell'ambito delle misure di riduzione della spesa pubblica attraverso la razionalizzazione dell'intervento pubblico in alcuni settori di mercato, determina la soppressione di società partecipate ritenute non più compatibili con il processo di liberalizzazione avviato dal Governo;
- i commi da 725 a 727, per le società a totale partecipazione pubblica, introducono un tetto massimo ai compensi, ai rimborsi spese e alle indennità percepibili dal Presidente e dei componenti del c.d.a., da calcolarsi con riferimento alle indennità del Sindaco e del Presidente della Provincia di cui agli artt. 82 e 84, D.Lgs 267/00. Di conseguenza, nelle suddette società il compenso lordo del Presidente non può superare l'80% dell'indennità spettante al Sindaco (o al Presidente della Provincia) e quello dei consiglieri di amministrazione non può andare oltre il 70% della medesima indennità. Per le società a partecipazione mista di enti locali ed altri soggetti pubblici o privati, i compensi, ai sensi del comma 728, possono essere aumentati rispetto a quelli di cui ai precedenti commi, in proporzione alla quota di partecipazione dell'Ente pubblico. In ogni caso il suddetto tetto non appare comprensivo dei compensi relativi alle deleghe eventualmente ricoperte dagli amministratori delle società. Sul tema dei compensi, il comma 718 prevede che alcun corrispettivo è dovuto ai membri del cda di una società partecipata da un Comune che ricoprono la carica di sindaco, assessore o consigliere comunale del medesimo Ente. Tale previsione, per il suo tenore letterale («qualora il sindaco, l'assessore o un consigliere comunale dovesse essere nominato»), non appare, però, applicabile a fattispecie analoghe già in essere prima dell'1.1.2007;
- il comma 729 prevede limitazioni al numero dei componenti il Consiglio di Amministrazione che, per le società a totale partecipazione pubblica, è di 3 o 5, a seconda dell'importo del capitale sociale stabilito da un futuro D.P.C.M; per le società miste, invece, non può essere superiore a 5. É da notare che tale disposizione è attualmente priva di portata operativa, stante la necessità di attendere il D.P.C.M. che determinerà l'importo dei capitali societari al cui importo sarà parametrato il numero di componenti il c.d.a..
- il comma 734 testualmente recita: «non può essere nominato amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica, società a totale o parziale capitale pubblico chi, avendo ricoperto nei 5 anni precedenti incarichi analoghi, abbia chiuso in perdita 3 esercizi consecutivi». La ratio di tale discutibile riforma appare quella di garantire che l'amministrazione societaria sia affidata a soggetti attenti e qualificati. Nondimeno, essa è destinata a sollevare molteplici questioni, in particolare per la indeterminatezza circa l'elemento dell'esercizio di “incarichi analoghi” e soprattutto in relazione al suo valore non retroattivo. Diversamente interpretando la norma, si aprirebbero questioni di incostituzionalità assai rilevanti.
- il comma 736 detta norme di trasparenza e pubblicità relative alla nomina degli amministratori e dei loro compensi. É prevista per la violazione una pesante sanzione pecuniaria amministrativa.
L'uniformità delle rigorose interpretazioni giurisdizionali delle norme in materia di modelli di gestione e affidamento dei servizi pubblici, nonché le succitate proposte di riforme legislative, evidenziano la necessità che gli Enti locali e le società partecipate attuino, a legislazione invariata, “misure di salvaguardia” che possano, se non eliminare, quantomeno mitigare gli interventi censori della giurisprudenza comunitaria e nazionale, che comportano spesso notevoli costi per i soggetti coinvolti.
L'operazione non è semplice.
Vi è un complesso sistema di società creato nel tempo dagli Enti locali per erogare servizi, il quale, se si ragionasse in termini radicali, andrebbe “demolito” in favore di un libero accesso al mercato con il sistematico espletamento, senza alcuna deroga, di gare ad evidenza pubblica per la selezione delle imprese.
D'altro canto, non si possono ignorare tutte le problematiche connesse al ricorso al mercato della concorrenza, in particolar modo con riguardo alle difficoltà di assicurare una pluralità dell'offerta, di controllare gli standards dei servizi per gli utenti e di gestire un corretto rapporto P.A.-privato.
Inoltre, le esperienze degli enti locali in tema di appalti di opere pubbliche e affidamento di servizi all'esterno fanno spesso emergere una realtà che, oltre che sotto il profilo qualitativo, anche in termini di costi, contrariamente a quanto si pensa, non sempre generano condizioni più favorevoli per l'utente.
Ma neppure la scelta di proseguire con i modelli attuali, adeguandoli opportunamente, è scevra da controindicazioni.
Si consideri l'incertezza determinata dagli orientamenti giurisprudenziali che, per quanto consolidati, restano comunque meri parametri interpretativi delle norme e, in quanto tali, soggetti a continue oscillazioni, precisazioni, modifiche. Inoltre, la “spada di Damocle” delle continue riforme “sfornate”, cui si aggiungono i decreti-leggi, convertiti, non convertiti, convertititi con modificazioni, non contribuisce affatto a dare certezza del contesto legislativo nel quale agire.
In questo senso vanno richiamati nuovamente i requisiti oggi necessari per l'affidamento “in house” di ss.pp.ll.: 1) «possesso integrale del capitale sociale da parte del socio pubblico», o, in caso di possesso parziale del capitale, «selezione del socio privato con procedura ad evidenza pubblica»; 2) esercizio da parte del socio pubblico del «controllo analogo»; 3) esercizio, da parte della società affidataria, della «prevalente attività in favore dell'ente».
Lo strumento giuridico attraverso cui realizzare il necessario “adeguamento” delle società partecipate ai suddetti parametri, è quello della modifica degli statuti societari, nonché dell'eventuale riassetto degli organi di amministrazione.
Esemplificando e con riguardo ai suddetti singoli parametri, possono suggerirsi le seguenti modifiche:
1) sul “possesso del capitale sociale”: nel caso di società miste è opportuno prevedere nello statuto in modo dettagliato le modalità e i limiti oggettivi e soggettivi per procedere a cessione di parte del capitale sociale a terzi privati;
2) sul “controllo analogo”: sull'introduzione delle condizioni di sussistenza di tale elemento va fatta la massima attenzione. Esso, infatti, deve essere considerato il vero “passaporto” per l'accesso delle società partecipate alla modalità dell'affidamento del servizio ”in house”.
In proposito, può valutarsi l'opportunità di istituire un apposito “organo di controllo”, interno all'Ente locale, cui è rimesso il compito di approvare gli atti di indirizzo e programmazione, nonché quelli gestionali più rilevanti, provenienti dalla società. É evidente che l'istituzione di un organo di controllo e la connessa necessità di trasmettere a quest'ultimo tutti gli atti della società e di attenderne le decisioni, potrebbe finire per confliggere con una delle principali finalità dell'affidamento a soggetti esterni consistente nello sgravare l'Ente da compiti dispendiosi e nello snellire le procedure necessarie per l'espletamento del servizio. Appare da verificare, poi, se l'opzione, per le società partecipate aventi natura di s.p.a., in favore del sistema dualistico di cui agli artt. 2409 octies e ss., con l'introduzione, tra gli organi societari, del Comitato di sorveglianza, possa soddisfare il suddetto requisito del controllo analogo;
3) sulla “prevalente attività in favore dell'Ente”: sul punto non è necessario dilungarsi. Appare, però, interessante sottolineare l'incoerenza rispetto a tale requisito delle riforme in itinere, le quali favoriscono fortemente le aggregazioni tra soggetti pubblici affidatari di ss.pp.ll..
V'è poi, una ulteriore misura di “adeguamento”, di carattere generale, che potrebbe essere attuata dalle Amministrazioni locali aventi società partecipate. Si tratta della stipula, dopo avere effettuato le succitate modifiche statutarie, di nuovi contratti di affidamento di servizio ovvero del rinnovo o della proroga dei contratti di servizio in corso.
Va, però, evidenziato che in tale ipotesi dovranno attentamente considerarsi i limiti al rinnovo posti dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, il quale ha chiarito che «all'eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti di appalto scaduti, disposta con l'art. 23 l. n. 62/05, deve assegnarsi una valenza generale ed una portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell'ordinamento che si risolvono, di fatto, nell'elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici…» (Sez. IV, n.6462/06).
Nondimeno, autorevole dottrina sostiene la perdurante ammissibilità dei rinnovi dei contratti delle PP.AA., sulla base delle norme introdotte nel D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), in cui si menziona espressamente la facoltà per le amministrazioni di rinnovare i propri contratti (artt. 29 e 57). In estrema sintesi appare opportuno che all'eventuale rinnovo dei contratti si proceda con cautela, privilegiando il sistema del ri-affidamento a mezzo di procedure selettive che potrebbero prevedere anche la trattativa privata. Le Amministrazioni locali, infatti, non possono esimersi dall'affrontare il cuore del problema, prendendo atto definitivamente del mutato quadro normativo disciplinante il settore. La vera sfida per gli Enti locali consiste, nell'assicurarsi uno stringente controllo sui soggetti gestori e sugli standards dei servizi offerti, disegnando, nel breve periodo, un sistema che sia, insieme, in grado di erogare servizi efficienti a costi contenuti per la P.A. e per i cittadini e rispettoso dei principi di tutela della concorrenza ormai immanenti nell'ordinamento interno e sovra-nazionale.
Ebbene, gli Enti locali, sono chiamati ad operare una scelta definitiva in favore della creazione di multiservices, organismi già ampiamente presenti negli altri Stati europei.
Tale opzione dovrebbe essere supportata dal Governo con ogni mezzo, compresa la previsione di efficaci incentivi/disincentivi fiscali.
Essa, infatti, offre indubbi vantaggi per gli Enti locali e per i cittadini-utenti, consentendo di realizzare maggiori economie di scala e di scopo. Inoltre, è evidente che possono svilupparsi, all'interno di aziende più complesse, competenze maggiormente qualificate e standards qualitativi più alti, dunque un tasso di imprenditorialità e di efficienza di cui v'è assoluto bisogno.
Altra componente del rapporto di gestione che le Amministrazioni locali sono chiamate a valorizzare è il contratto di servizio, che quasi mai è sufficientemente dettagliato e rigoroso, soprattutto con riguardo ai livelli qualitativi e alle conseguenze del mancato rispetto di questi ultimi.
Specifiche previsioni sul punto sono contenute proprio nel già citato “pacchetto competitività”, laddove esso propone di realizzare un sistema di programmazione ex ante e di verifica ex post dei parametri di soddisfazione dei cittadini e rende vincolante la carta dei servizi, dando la possibilità agli utenti di esigerne il rispetto ricorrendo direttamente all'autorità giudiziaria, anche attraverso le “class action”.
In conclusione di tale approfondimento (comunque del tutto parziale e transitorio), non resta che evidenziare come i servizi pubblici locali siano uno straordinario banco di prova per verificare se la classe politica ed istituzionale, tra “tensioni e torsioni” gattopardesche e “spintoni” liberisti, sappia portare a compimento una riforma così rilevante per la nostra qualità di vita quotidiana.
*Avvocato Amministrativista
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