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La repressione da sola non basta a contrastare la criminalità. Occorre anche investire molto sulla prevenzione integrata
Filomena LABRUNA
Origini avellinesi e una carriera costellata di successi al vertice dell'antimafia. Il sostituto procuratore Antonio Laudati, intervenuto al convegno “Legalità e sviluppo”, spiega il binomio prevenzione-repressione nella lotta alla criminalità, ricordando le responsabilità penali, professionali ed etiche di ognuno di noi.
Quanto l'avanzamento delle organizzazioni criminali danneggia il sistema imprenditoriale ed economico di un territorio?
Lo stravolge, penetrandolo e rifissando regole diverse da quelle dello Stato. Un mercato in forte competizione diventa meno aggredibile in quanto realizza al suo interno comportamenti coerenti con le finalità del processo produttivo; diversamente un sistema economico in fase di formazione, e quindi meno forte, può diventare facile preda di incursioni non legali, di riciclaggi, di presenze malavitose. In questi casi il territorio è poco attrattivo per i capitali puliti.
Lei ha detto che è cambiata l'organizzazione della malavita. Come si è evoluto il sistema per fronteggiarla?
Non esistono più soltanto i reati tradizionali finalizzati al lucro. Oggi molti reati avvengono all'interno del contesto familiare e in questo caso non c'è intervento delle forze dell'ordine che possa rivelarsi davvero efficace. É chiaro che esiste un problema legato alla crisi delle istituzioni come la famiglia e la scuola. Basti pensare agli episodi sempre più frequenti di bullismo. Ci sono poi tragedie che affiorano dalla vita delle cosiddette categorie benestanti, persone di un ceto sociale elevato alla ricerca di paradisi artificiali. In questo ambito proliferano i fenomeni della prostituzione e dello spaccio di sostanze stupefacenti. Ci sono tanti filoni, purtroppo, che necessitano di interventi non solo di natura repressiva. É necessaria una prevenzione integrata, in cui tutti abbiano un ruolo. É questo il sistema adeguato e moderno per fronteggiare la criminalità sotto ogni aspetto.
L'Irpinia non è più un'isola felice?
Il fenomeno dell'escalation della malavita in provincia di Avellino va contestualizzato. Non si può più parlare della diversità irpina. La realtà avellinese, alla pari di quella napoletana o siciliana, va educata alla legalità.
In che modo?
É centrale il ruolo dei giovani. Sin dalle scuole i ragazzi devono essere educati alla legalità, chiamati a riflettere sull'importanza delle istituzioni, indirizzati a riconsiderare la società sui valori più forti che oggi sembrano persi. Per allontanare le nuove generazioni dal crimine va impresso nelle loro coscienze il senso dell'onestà. Per fare questo occorre la collaborazione di tutti. Una sinergia tra famiglia, scuola, forze dell'ordine, enti locali. Sul piano generale nella lotta alla criminalità servono norme chiare, rispetto delle stesse e sanzioni certe ed efficaci. |