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  Dicembre 2012

Articoli n° 9
NOVEMBRE 2006
 


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a cura della Redazione di COSTOZERO


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Le imprese italiane hanno superato, da sole, la difficile prima fase della globalizzazione che ha portato con sé la caduta delle barriere che proteggevano dai concorrenti low-cost del lontano Est. Oggi non sono più sufficienti gli aggiustamenti "spontanei" delle sole forze del mercato, imprenditori ed aziende. I Giovani Imprenditori nella convention caprese del 6-7 ottobre scorso hanno quindi chiesto di rimettere "l'impresa al centro dell'agenda politica e delle strategie internazionali". Solo così infatti è possibile dar vita a un futuro vincente per l'Italia nella "seconda era globale".
A sostegno di questa tesi, analizzata da diversi punti di vista, abbiamo raccolto più voci, tra cui quella di Alberto Scanu, Presidente Comitato Interregionale G.I. Mezzogiorno; Fulvio Conti, Amministratore Delegato Enel; Emma Bonino, Ministro Commercio Internazionale e Politiche Europee; Pier Ferdinando Casini, Presidente Unione Interparlamentare Camera dei Deputati; Guglielmo Epifani, Segretario Generale CGIL.




Ad aprire i lavori Alberto Scanu: «Se analizziamo l’attuale scenario internazionale, notiamo un asse anglo-americano con buoni ritmi di crescita e un asse asiatico con la Cina e l'India in posizione centrale con ritmi di crescita tumultuosi. Di recente siamo stati in Cina con la missione economica organizzata da Confindustria. Al di là dei risultati che saranno conseguiti dalle singole imprese, registriamo che quando il Paese si muove come sistema, ottiene sicuramente grande successo. Alla fine della missione, ho avuto la possibilità di accompagnare il nostro presidente Matteo Colaninno a sottoscrivere un accordo di collaborazione tra i giovani imprenditori di Confindustria e la Ali-China Youth Federation, un'associazione di giovani cinesi che raggruppa imprenditori, professionisti, dirigenti e studenti. Ecco perché come giovani imprenditori attribuiamo un significato storico a questo accordo. Abbiamo infatti la possibilità di un confronto continuo con coloro che rappresentano il futuro in un Paese che, pur tra tante contraddizioni, difficoltà, scarsa considerazione di alcune libertà fondamentali, percorre con determinazione la strada dello sviluppo avendo come modello i paesi industrializzati e con una premessa fondamentale: l'impresa come strumento per lo sviluppo economico e sociale. Possiamo quindi constatare che un Paese molto meno libero del nostro, riconosce una libertà fondamentale come quella di iniziativa economica. Ciò ci ha convinti a parlare in maniera definitiva di impresa al centro, non perché vogliamo essere i primi rispetto agli altri ma solo perché riteniamo che sia giunto il momento di dare ulteriore impulso all'articolo 41 della Costituzione. Purtroppo l'Italia negli ultimi anni ha fatto tantissimi errori, nel senso che oramai le imprese anziché guardare ai nuovi mercati sono rinchiuse in se stesse alla ricerca dell'osservanza di tante norme che non servono a nessuno se non a mantenere in vita l'apparato burocratico del nostro Paese e di una pletora di pseudo esperti impegnati solo a garantirsi un futuro. Ecco perché dobbiamo valutare con grande attenzione l'appello lanciato da Francesco Giavazzi nel suo ultimo libro "Good bye Europa" a perseguire la liberalizzazione nel mercato dei prodotti e dei servizi, perché il nostro motto potrà essere sempre più: vince l'Italia che si apre, le imprese e gli imprenditori alla conquista del mercato globale».





 Lo scenario di ritorno dei nazionalismi e dei protezionismi vale, secondo Fulvio Conti, anche per il settore dell'energia: «Prendiamo il caso europeo. Da una parte, considerazioni strategiche sulla sicurezza del sistema energetico europeo, le leggi di mercato e la regolazione europea stessa spingono verso l'integrazione dei mercati, dall'altra alcuni Governi "frenano" ripiegando su posizioni protezionistiche. Il primo motivo che dovrebbe spingerci verso l'integrazione dei mercati è la necessità di garantire la sicurezza delle forniture di combustibili al nostro sistema energetico, la cui fragilità si è manifestata agli occhi di tutti durante la crisi del gas dello scorso inverno. C'è un problema di dipendenza energetica in Italia (86%), ma il tema si estende a tutta l'Europa, che oggi dipende per il 50% da Paesi Esteri per le forniture di combustibile. Si stima che nei prossimi 20/30 anni questa dipendenza salirà al 70%. Per bilanciare il peso dei fornitori di combustibili, che si stanno ulteriormente concentrando, è evidente che sono necessari operatori energetici di grande scala, che devono avere la possibilità di crescere al di fuori del proprio Paese per non pregiudicarne il livello di concorrenzialità. Anche la regolazione europea, con le sue varie direttive, ha sempre spinto verso l'apertura e la liberalizzazione dei mercati, fissando scadenze per la liberalizzazione dei clienti industriali e privati, sostenendo la necessità di quadri regolatori omogenei che favorissero investimenti in infrastrutture di interconnessione. Inoltre, si stima che per sostenere la crescita del fabbisogno europeo (+7% tra 2005 e 2010) e per migliorare le infrastrutture nei prossimi 30 anni in Europa saranno necessari investimenti per 1000 miliardi di Euro. In un settore così fortemente "capital intensive", solo grandi operatori possono garantire know-how e solidità finanziaria per investire pesantemente e attendere i ritorni di lungo periodo. Infine la scala permette di servire un numero di clienti sempre maggiore a costi marginali decrescenti, garantendo elevati livelli di efficienza di cui alla fine beneficiano i consumatori sotto forma di riduzione dei prezzi. Da una parte quindi è evidente come considerazioni strategiche ed economiche spingano verso grandi operatori transnazionali. Ma l'UE non ha sufficiente "sovranità" per garantire una vera e simmetrica apertura dei mercati e la loro concorrenzialità. Si profila dunque il rischio che a prevalere non siano le aziende energetiche più efficienti, ma quelle che hanno alle spalle i Governi più determinati alla loro protezione. Ed è evidente che a pagarne le conseguenze saranno i consumatori finali, vittime di prezzi più alti del necessario, e gli azionisti».




 Pier Ferdinando Casini dubita che la politica governativa abbia come priorità l'impresa. Infatti così si è espresso in tema di finanziaria: «Confindustria ha ottenuto il taglio del Cuneo, anzi ha ottenuto il "cuneino" per come viene spalmato. Questa Finanziaria rappresenta un inizio molto negativo della legislatura, perché ha la pretesa di ridistribuire il reddito per legge. Questa è una concezione lunare e ottocentesca, è una visione della società italiana che non c'è più. Questa la manovra economica rappresenta l'ipoteca che l'estrema sinistra ideologica ha messo sull'intera legislatura. Se già nella prima Legge Finanziaria c'è un tale tasso di ideologismo, temo che ci si debba seriamente preoccupare. Si sta cercando di attuare una tosatura del ceto medio che l'Italia non merita. Una manovra tutta impostata sulle tasse con pochi tagli alla spesa».

















 Di opposte posizioni, invece, Emma Bonino, che invece ha dichiarato: «Il Governo Prodi ha ereditato un Paese fermo, non moderno. Nel 2005 la crescita è stata zero. Dobbiamo fare meglio e di più, mettere finalmente il piede sull'acceleratore. Non sono per le grandi riforme ma per riforme più mirate, puntuali ed efficaci, a partire dalla modifica del Titolo V della Costituzione. Dinamizzare le energie e le potenzialità che ci sono guardando ai mercati emergenti. Il nostro slogan dovrà essere "Pensato In - Made Out". In termini di sostegno all'internazionalizzazione vogliamo far funzionare meglio e in modo più coeso l'Ice, uno strumento a disposizione degli imprenditori, ristrutturandolo in modo da essere presenti nei mercati di interesse più complessi. Bisogna quindi ottimizzare gli strumenti che abbiamo, alleggerire e semplificare al massimo. Il commercio internazionale non è un optional, ma uno dei punti cardine per la ripresa del Paese».

















 Il mondo sindacale, nelle parole di Guglielmo Epifani, ha voluto chiarire la sua massima attenzione sulla questione tfr. «Il tfr è di proprietà, seppure differita, dei lavoratori ed è quindi giusto che la decisione finale spetti a loro. Noi dobbiamo fare un'operazione che consenta ai lavoratori che lo desiderano di convogliare il tfr verso i fondi pensione. Il tfr anche convogliato verso i fondi pensione presenta però un problema: infatti questi investono il loro maturato per l'80% nei mercati internazionali e noi dobbiamo trovare altre strade per far sì che questa massa di consolidato possa essere investito qui da noi. Inoltre il tfr deve avere un rendimento garantito e tutelato». Guardando al futuro Epifani ha, poi, così continuato: «Il Paese si sta riprendendo generando valore in particolare al Centro Nord rispetto al Sud, ma bisogna aprire un tavolo per la riforma della pubblica amministrazione, per semplificare, razionalizzare, colpire gli sprechi, motivare il lavoro pubblico».

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