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  Dicembre 2012

Articoli n° 7
agosto/settembre 2006
 


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Alessandro Ortis

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Ferdinando CAPPUCCIO

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Ciò che spesso determina un salto di qualità per un ristorante, oltre la varietà e la bontà delle elaborazioni gastronomiche e la piacevolezza dell'insediamento, è la carta dei vini proposta. Offrire dei validi vini che non sempre siano i più costosi, con un giusto ricarico, e cercare contemporaneamente di dare al cliente consulenza nella scelta, determina quel giusto equilibrio che realizza un'ottimizzazione dell'impresa, soddisfacendo sia i clienti sia l'imprenditore.
Al di là dei ristoranti più famosi, in cui il cliente è già preparato a veder esauditi tutti i suoi desideri anche nella richiesta del vino, gli altri locali che pur basano la loro filosofia nella ricerca della qualità, trovano difficile gestire una carta di vini ampia e variegata. Molti ristoranti preferiscono, infatti, settorizzare la propria offerta proponendo una valida selezione di vini del territorio riuscendo a soddisfare il gusto e a "sposarsi" bene con le offerte gastronomiche.
Questa scelta, il più delle volte ispirata al contenimento dei costi, finisce per divenire un vero e proprio volano culturale e commerciale per le imprese vinicole territoriali che vengono sempre più indirizzate ad una produzione qualificata. La buona ristorazione è dunque proporzionale alla crescita della qualità del vino del territorio. La Campania, sia pure in ritardo rispetto alle zone di produzione vinicola del centro-nord Italia, ha da tempo imboccato questa strada. La produzione quantitativa, tanto cara alle generazioni precedenti dei nostri contadini, sta lasciando sempre più il posto ad una produzione selettiva, con ricerca di vitigni "dimenticati" o soppiantati da innesti sbagliati (si pensi alla bonifica operata negli anni '60 piantando Barbera nel Cilento) e con una resa per ettaro mirante a privilegiare corpo e sapore del prodotto.
Questo fenomeno lo si riscontra in modo sempre più marcato nella provincia di Salerno, sebbene esso sia presente anche in altre zone della Campania che analizzeremo nei prossimi interventi. In questo territorio la ricerca della qualità ha determinato un vero e proprio successo, seppure limitato a pochi produttori, e sta facendo da apripista per tutta una serie di altre aziende che soltanto modificando in meglio il proprio prodotto e differenziandolo possono, nell'attuale contesto economico del mondo del vino, trovare il proprio spazio.
E così Bruno de Conciliis, lavorando soprattutto sull'Aglianico prodotto nel Cilento, ha trovato un grande successo con il suo Naima e con lo Zero, grandi rossi presenti nei migliori ristoranti del mondo (si pensi al San Pietro di New York) ed ai vertici, ormai da anni, delle più importanti guide del settore; analogamente Luigi Maffini con il suo Fiano, prodotto nei vigneti lungo la costa cilentana, ha raggiunto notorietà nazionale ed internazionale con il godibilissimo Pietraincatenata, dove il sole cilentano aggiunge corpo e vigore ad uno splendido vitigno autoctono.
A ben vedere però l'enologia salernitana si caratterizza anche per un altro fenomeno: a far da traino al settore ci sono due donne, Silvia Imparato e Marisa Cuomo, magnifiche "signore del vino", che hanno dimostrato che la valida imprenditoria non ha sesso ma piuttosto ha come base cultura, abnegazione e costanza nel lavoro.
A Silvia Imparato, fotografa di grido e donna di gran cultura, credo si debba ascrivere il maggiore merito dell'espansione della tradizione enologica nel nostro territorio. Nell'ormai lontano 1985 decise - per produrre un vino da offrire agli amici - di impiantare, su consiglio di Renzo Cotarella, nel terreno circostante la sua splendida casa di Montevetrano in San Cipriano Picentino, vitigni di Cabernet e di Merlot, già presenti in epoche più remote accanto all'Aglianico.
Credo che la motivazione di questa scelta sia stata culturale: il vitigno impiantato determina un vino che certamente riflette il sapore dell'uva base ma che si differenzia dalle altre produzioni per il territorio dove esso nasce e per l'esposizione dei vitigni. Quando nel 1991 furono prodotte le prime bottiglie, assemblando il Cabernet e l'Aglianico, cui negli anni successivi fu aggiunto il Merlot, il risultato fu immediatamente "grandioso": era nato il "Super-campano". Ciò costrinse Silvia ad una scelta: l'hobby doveva tramutarsi in una produzione organizzata, anche perché le richieste degli appassionati, da tutto il mondo, diventarono tanto pressanti da far nascere un vero e proprio "mito". E Silvia, figlia di imprenditori, accettò la sfida pur ponendo dei paletti, frutto delle sue giuste e rigorose convinzioni; la qualità del vino doveva essere comunque protetta anche dal mercato e l'aumento della produzione, indispensabile sia per essere validamente presente nell'ambito produttivo, sia per il miglioramento della struttura, non doveva in alcun modo incidere negativamente sulla qualità, anzi tendere a migliorarla. E con l'aiuto di Riccardo Cotarella, forse il più grande enologo italiano, anno dopo anno il Montevetrano si è mantenuto sempre al top, sia in Italia sia all'estero. Silvia ha avuto ragione! Ha dimostrato infatti a "retrogradi conservatori" come si può creare un vino "campano-bordolese".
Sulla scia di Silvia, in un'altra zona della nostra provincia, la Costiera Amalfitana, Marisa Cuomo ha operato un recupero di aree di produzione particolarmente difficili quali i terrazzamenti a picco sul mare della zona di Furore, valorizzando vitigni quali Ginestra, Biancazita, Repella, Ferile "dimenticati" troppo a lungo. Pian piano il successo ha arriso a Marisa che ha creato tra l'altro una splendida cantina che merita una visita anche per la bellezza architettonica (nella roccia riposano le barrique!).
Qualche settimana fa il culmine del successo è stato raggiunto con l'aggiudicazione dell’Oscar del Vino 2006, assegnato da Duemilavini (annuario della Associazione Italiana Sommelier) e dalla rivista Bibenda al prodotto top della cantina, ossia il Costa D'Amalfi Furore Bianco Fiorduva 2003. É questo un prestigiosissimo riconoscimento che premia un'azienda che, pur basandosi sul recupero delle tradizioni, riesce a creare un prodotto che si differenzia notevolmente dagli altri. É questa l'innovazione nella tradizione! E così il Fiorduva, composto al 50% da Ferile e 50% di Ginestra, con una raccolta manuale di uve un po' "summature", con il suo bouquet di albicocca, frutta esotica e con i suoi profumi mediterranei di ginestra diventa un testimonial vero e proprio della nostra Divina Costiera. Bruno, Luigi, Silvia, Marisa sono le "eccellenze", ma alle loro spalle c'è tutto un movimento che a loro s'ispira come gli emergenti Vuolo, Rotolo, Reale, i quali lasciano intravedere uno scenario futuro ricco di ulteriori successi.

 

Cultore di Enogastronomia - ferdinando.cappuccio@banca.mps.it

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