Semplificazione e infrastrutture: le chiavi della competitivitÀ
Andrea MOLTRASIO
Le PMI si stanno reinventando. Vincerà
chi saprà specializzarsi, lavorare in filiera
e recuperare dinamismo sui mercati esteri
Rilanciare la competitività e l'occupazione: è questo, ormai da qualche anno, il tema al centro del dibattito europeo. Del resto non potrebbe essere diversamente, vista la brusca frenata sul lato della crescita che ha ultimamente caratterizzato l'Unione e in particolare quelle che ne erano state le forze trainanti, Francia, Germania e non ultima l'Italia.
Il nostro Paese si colloca ancora (come l'anno scorso) nel gruppo di Stati membri che registrano risultati scarsi e solo alcuni progressi. A pesare sul risultato globale ci sono in particolare i dati negativi in materia di tasso di occupazione, nonostante i progressi significativi degli ultimi anni. Per contro, il livello di produttività della forza lavoro è tuttora superiore alla media Ue-25, ma il trend negli ultimi anni è stato decisamente negativo. I tre Stati membri che eccellono sia per i loro risultati globali sia per i progressi registrati sono Svezia, Irlanda e Danimarca. Le tre maggiori economie europee (Germania, Francia e Regno Unito) si trovano invece a "metà classifica", con risultati medi ed alcuni progressi.
La ricetta europea è stata tracciata dalla "Strategia di Lisbona", che ha indicato il percorso da seguire per promuovere un'economia competitiva, dinamica e basata sulla conoscenza.
Tale strategia, presentata come la formula per affrontare e superare i mali dell'Europa, ha tuttavia dimostrato numerosi limiti e pochi sono i risultati raggiunti fino ad oggi, principalmente a causa della mancanza di una vera e propria volontà politica di portare avanti fino in fondo il cammino delle riforme. Il continente europeo continua infatti ad essere caratterizzato da un difficile contesto economico, da bassi livelli di crescita e da una competitività a rischio.
Quello che manca è chiaro: occorre intraprendere concretamente e una volta per tutte la strada delle riforme. In questo senso, Confindustria ritiene che la strategia di Lisbona rappresenti il quadro di riferimento appropriato. La strategia indica infatti le azioni necessarie, mentre il nuovo metodo di governance del processo, introdotto nel marzo del 2005, chiarisce la ripartizione dei compiti e delle responsabilità tra il livello europeo ed il livello nazionale; attraverso i "programmi nazionali di riforma" che i singoli Stati membri sono stati invitati a presentare, tale metodo permette inoltre di concentrare gli interventi su un numero ridotto di azioni prioritarie.
Per fare un passo avanti verso il rilancio della competitività del nostro paese, è essenziale esprimere una forte volontà politica - superando quindi resistenze corporative o locali, egoismi e opposizioni pregiudiziali - e garantire una rapida e completa attuazione del programma italiano di riforma (il cosiddetto PICO), adottato nell'ottobre scorso. Tra gli obiettivi condivisi dal sistema industriale figurano le misure focalizzate su liberalizzazioni, semplificazione, ricerca ed innovazione, infrastrutture - le vere sfide del Paese. Sono da implementare, inoltre, i dodici programmi strategici di ricerca settoriale.
Il PICO è certamente un buon punto di partenza, ma va migliorato, perché è ancora troppo vago sulla misurabilità dei risultati da raggiungere e non offre piena sicurezza sulle coperture finanziarie.
Per Confindustria, il recupero della competitività italiana dovrà inevitabilmente passare - per citare solo alcuni dei settori ritenuti fondamentali e che saranno oggetto di una specifica azione in sede europea nel corso dei prossimi due anni - attraverso: il completamento del processo di liberalizzazioni, soprattutto nel campo dei servizi (adozione della cosiddetta direttiva Bolkestein), il rafforzamento degli investimenti in materia di ricerca e innovazione, la promozione di un'adeguata politica industriale che presti attenzione non solo ai settori ma anche al territorio e che promuova realtà plurisettoriali, il superamento dei ritardi infrastrutturali, sia nei trasporti che nell'energia.
Occorre, infine, diffondere una nuova fiducia nel progetto europeo: in questo senso, Confindustria ritiene essenziale incoraggiare una forte azione di comunicazione che aiuti il sistema produttivo, le autorità locali, la società civile in senso lato a capire quali sono le sfide che affronta il Paese, in cosa consistono le riforme promosse nell'ambito della strategia di Lisbona e perché devono essere portate avanti a vantaggio della collettività. Solo così, sarà possibile superare le resistenze e realizzare le indispensabili azioni per la crescita e l'occupazione.
In questo contesto, guardando all'economia italiana vediamo che i nostri problemi sono strutturali e in larga misura conosciuti. Molti sono comuni ad altri Paesi europei: l'insufficiente concorrenza dei prodotti e nei servizi e la scarsa competitività nei mercati del lavoro, e non valgono quindi a spiegare il divario di crescita tra noi e l'Europa.
Altri problemi invece sono specifici del caso italiano: una specializzazione produttiva eccessivamente sbilanciata verso settori maturi sempre più esposti alla nuova concorrenza internazionale, l'insufficiente grado di internazionalizzazione del sistema produttivo, una struttura delle imprese troppo orientata al nanismo dimensionale, una persistente inadeguatezza negli investimenti in ricerca e innovazione e conseguentemente nelle nuove tecnologie.
Siamo in presenza di un tessuto produttivo e innovativo che non riesce ad alimentarsi con forze creative nuove e quindi fatica molto a crescere.
Si tratta di aiutare il nostro sistema produttivo ad evolvere verso dimensioni più grandi e verso settori ad alta e medio-alta tecnologia. Ma per far ciò occorre rivoluzionare totalmente la politica industriale seguita fino ad oggi e far sì che anche nel nostro Paese, convenga crescere, investire in ricerca, depositare brevetti. Il vantaggio competitivo delle imprese è legato alla loro capacità di sviluppare nuovi prodotti. Un indicatore significativo della capacità innovativa delle economie è rappresentato, quindi, dal numero di brevetti depositati rispetto alla popolazione. In base ai più recenti dati disponibili, il risultato italiano si colloca a metà della media europea, migliore della Spagna e di nuovi Stati membri come la Polonia ma molto lontano dai "primi della classe" Svezia, Finlandia e Germania.
Dal punto di vista della formazione, il cambiamento richiede la capacità di cogliere per tempo i principali cambiamenti nelle tecnologie e sui mercati e dunque, in primo luogo, investimenti in risorse umane qualificate. Si deve investire di più in persone che fanno innovazione tecnologica, attraverso iniziative locali e la promozione di una cultura tecnico-scientifica, avvicinando la formazione all'impresa e formando studenti europei.
La questione è centrale, perché oggi in Italia il numero di laureati in materie scientifiche e tecnologiche è più basso che altrove, essendo pari al 22,4% del totale (dato Eurostat 2003), contro una media europea del 25,5%.
Sul fattore ricerca & innovazione l'Italia si caratterizza per una spesa nella ricerca più bassa rispetto agli altri grandi paesi industrializzati: ciò è in buona parte dovuto alla particolare specializzazione produttiva dell'Italia (più basso peso dei settori ad alta intensità di ricerca) e al maggior peso delle imprese di piccola dimensione, che, in termini generali, investono poco in ricerca. Il ritardo italiano appare considerevole nei confronti delle altre grandi economie europee (in Germania la spesa in R&S si attesta al 2,49% del PIL, in Austria al 2,26%, in Francia al 2,16%), ma ancor più rispetto a Stati Uniti e Giappone (rispettivamente 2,68 e 3,15% del PIL).
Dobbiamo valorizzare le esperienze vincenti, come quella dei distretti industriali, che rappresentano un modello in cui si è sopperito all'assenza della grande azienda con l'integrazione verticale ed orizzontale del tessuto di piccole e medie imprese.
Infine, bisogna attrarre investimenti. Per fare questo è necessaria più concorrenza e meno vincoli, le parole d'ordine dovranno essere "semplificazione" e "infrastrutture".
Lo scopo è, quindi, sostenere le nostre aziende a dispiegare appieno il loro potenziale di innovazione e per rendere più difficile la rincorsa competitiva dei concorrenti, spingendole e sostenendole nel processo di internazionalizzazione.
Le PMI si stanno reinventando. Vincerà chi saprà specializzarsi, lavorare in filiera e recuperare competitività sui mercati esteri.
É questa una delle strade da percorrere per tenere testa alla concorrenza estera insieme all'abilità nel gestire l'economia di transizione, alla specializzazione, all'espansione verso i nuovi mercati e all'attento studio dei trend crescenti.
Presidente
Comitato Tecnico per l’Europa di Confindustria |