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  Dicembre 2012

Articoli n° 01
GENNAIO/FEBBRAIO 2011
 
MISURE CRITICHE - Home Page

di Antonello Tolve
Critico d’arte







Il mondo delle ASTE/1

Nel mercato dell'arte contemporanea, le aste sono punti cardinali di una catena economica che, se da una parte costruisce o consolida lo status economico e culturale del collezionista di turno, dall'altra trasforma l'opera in merce con valore estetico o, per dirla con Marx, genera «direttamente ricchezza materiale».
Con filiali disseminate, molte volte, in tutto il mondo - è il caso di Sotheby's, che prende il nome da John Sotheby (nipote di Samuel Baker che fondò la casa l'11 marzo 1744 mettendo in vendita alcuni volumi di una biblioteca privata) e Christie's , fondata il 5 dicembre 1766 da James Christie (oggi di proprietà del magnate francese François Pinault), le due case d'asta più importanti a livello planetario -, la casa d'aste rappresenta, oggi, uno dei luoghi più importanti per l'arte contemporanea.
Luoghi deputati alla vendita di opere preziose o prestigiose, le aste si presentano, così, come aree di ritrovo e, contemporaneamente, come ambienti del desiderio, come campagne di marketing in cui è possibile assistere ad investimenti finanziari - pubblici o privati - che servono ad incrementare, via via, la collezione di un museo, la selezione di un privato o, nel peggiore dei casi, l'ego di un collezionista.


La casa d'aste Christie's, una scena di offerte telefoniche

Frequentate prevalentemente dagli Ultra High Net Worth - ovvero coloro che hanno un reddito netto ultra-alto - che, assieme ai galleristi più brandizzati, agli agenti che lavorano per conto di grandi collezionisti, ai curatori di importanti collezioni aziendali come quella della Deutsche Bank (con le sue cinquantamila opere vanta di essere la più vasta del mondo), agli attori che operano a favore della casa d'aste per incrementare l'offerta [attori che generano un vero e proprio circolo offertoide (fatto cioè, di finte offerte)] e agli immancabili accompagnatori o accompagna trici, occupano i posti in prima fila, le aste soltanto quando sono aperte ad un pubblico eterogeneo - si presentano popolate anche da giornalisti, critici d'arte e curiosi spalmati, sempre, nella Siberia (la parte più remota della sala).
Tuttavia questa calca di deuteragonisti non influisce e nemmeno incide sul numero di partecipanti attivi che seguono uno schema dal ritmo incalzante che invoglia a partecipare con lo scopo di aggiudicarsi un lotto.
La febbre dell'offerta per aggiudicarsi un'opera, la relazione con altri eventuali attori che partecipano all'asta e si mostrano desiderosi nei confronti dello stesso oggetto, risvegliano, anche oggi che l'arte è vista come un investimento sicuro e non come un prodotto intellettuale da contemplare e amare, il monogramma del vecchio possessore.
E cioè di un collezionista che farebbe di tutto perché l'opera, qualunque essa sia, entri in suo possesso.
È proprio questa febbre a fare dell'asta il luogo di maggiore smaltimento di prodotti, ma anche la sede in cui l'opera salta spesso il fosso del prezzo giusto e raggiunge vertici imbarazzanti. Al di là dei meccanismi psicologici implicati nelle aste (sui quali si è soffermato con diligenza Donald Thompson), ciò che rende interessante il paesaggio astistico è tutto un processo di investimenti sicuri che gli imprenditori e i finanzieri dell'arte svolgono per accrescere il brand personale o quello dell'azienda che rappresentano.
L'opera d'arte è, del resto, assieme all'oro e al petrolio, il luogo più sicuro per rifugiare i propri affari perché l'arte non ammette inflazione e, in «periodi di recessione», ha avvisato Roberta Piccolomini, presenta un «valore fortemente anticiclico» teso a convalidare il suo potere competitivo anche in un mondo instabile che fa oscillare continuamente i prezzi, le domande, le richieste, le offerte.

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