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  Dicembre 2012

Articoli n° 01
GENNAIO/FEBBRAIO 2011
 
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L'ITALIA riparte dalle sue PMI

Con il Fondo Italiano di Investimento pubblico e privato si mettono insieme per offrire un'importante chance di crescita agli imprenditori piú forti coraggiosi e ambiziosi

La dote finanziaria è di 1,2 milioni di euro per 2.000 aziende con fatturato compreso tra i 10 e i 100 milioni di euro



di Raffaella Venerando

Qualcosa si muove. Dopo tanti e lunghi mesi di apnea, i primi segnali di ripresa attesi da tutti dopo che nel secondo semestre del 2008 era scoppiata violenta la crisi economica mondiale cominciano a essere finalmente tangibili.
Seppure a ritmi ancora blandi, per molte imprese italiane di qualità sono ripartiti, infatti, ordini e fatturati.
Questo però non basta a rassicurarci del tutto sul futuro del nostro sistema imprenditoriale se come sottolineato dal direttore del Centro Studi Confindustria Luca Paolazzi (vedi intervista pag. 4‑5), si riuscirà forse a recuperare i livelli di performance pre‑crisi non prima del 2015.
L'outlook per l'Italia infatti non è dei più incoraggianti perché in realtà la crisi ha solo acuito debolezze solo per citarne alcune, la modesta crescita della produttività, la scarsa presenza delle produzioni italiane nei settori ad elevata tecnologia, l'insufficienza delle infrastrutture materiali e immateriali, il nanismo del sistema produttivo già insite nel nostro apparato economico, ma mai affrontate e definitivamente risolte.
Ed è ormai chiaro che è su queste debolezze che bisogna andare ad incidere se si vuole che il Paese torni a giocare un ruolo da protagonista in uno scenario globale profondamente mutato rispetto al passato, dove le direzioni di crescita della domanda ma anche degli investimenti sono cambiate, spostando si verso l'Asia e verso gli altri paesi emergenti, con la vecchia Europa sempre più "atlantica". Le aziende italiane, però, in questi anni difficili non sono di certo rimaste a guardare. Tante di esse sono state infatti capaci di ridisegnare le proprie strategie, i propri comportamenti, il proprio assetto organizzativo.
Ed è da queste aziende che hanno colto l'opportunità della crisi per ristrutturarsi e aumentare la propria produttività che, forse, conviene ripartire. Da tempo Confindustria in modo particolare con la Piccola Industria (vedi intervista al presidente Vincenzo Boccia, pag. 9) insiste sui temi della capitalizzazione, sull'internazionalizzazione e sulle strategie di aggregazione delle imprese, ritenendoli fondamentali per il futuro della nostra economia, specie in un momento in cui molte pmi non possono più accontentarsi di un mercato locale ingessato e di restare "piccole" e isolate ma vogliono e ne hanno tutte le potenzialità avere e fare di più. Per queste ragioni, è stata salutata con ottimismo la nascita del Fondo Italiano d'Investimento (FII), una misura pubblico‑privato pensata nel 2009 ma partita solo a fine 2010 che potrà offrire, attraverso il ricorso al private equity, un contributo importante per rafforzare la patrimonializzazione delle imprese, favorire processi aggregativi, promuovere con decisione l'innovazione e l'internazionalizzazione di quelle piccole e medie imprese che, nonostante la crisi, hanno conservato una adeguata redditività, sono in fase di sviluppo e hanno fondate e forti ambizioni di crescita.
Il FII voluto dal Tesoro è stato istituito da Confindustria, insieme all'Associazione Bancaria Italiana (Abi), alla Cassa Depositi e Prestiti, alle banche Monte dei Paschi di Siena, Intesa SanPaolo e Unicredit più alcune banche popolari (ICBP, Credito Valtellinese, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare dell'Emilia Romagna, UBI Banca e Banca del Cividale), che ne costituiscono tutti insieme la Società di gestione.
Il Fondo di sostegno potrà avere una durata addirittura di 14 anni: 5 anni per l'investimento, altri 5 per il disinvestimento, oltre a eventuali altri 24 mesi di proroga per ciascuna fase.
Il sostegno finanziario sarà concesso mediante quattro metodologie complementari con un'ottica di medio periodo: investimento diretto in equity, coinvestimento con altri fondi specializzati, investimento con strumenti flessibili (finanziamenti subordinati convertibili o convertendi e prestiti partecipativi) e come fondo di fondi.
La dote finanziaria iniziale è di 1,2 miliardi di euro, messi a disposizione per un target specifico di imprese: oltre 2mila aziende (sole oppure costituite in aggregazione) su un totale di 15mila aventi un fatturato compreso tra i 10 e 100 milioni di euro, delle quali il 70% appartiene al settore manifatturiero. Per quanto riguarda invece i criteri di selezione, ogni possibile investimento a favore delle piccole e medie imprese sarà valutato in base a pochi e chiari elementi chiave, quali il merito del piano industriale, il progetto di sviluppo e la capacità nonché la qualità del management di riuscire a portarlo a compimento.
Attraverso questo Fondo, i soci intendono creare nel medio‑lungo termine un nuovo blocco di frontiera sui mercati internazionali, costituito da quelli che il Ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha definito "medi campioni nazionali", sufficientemente patrimonializzati e forti soprattutto in prospettiva.
L'introduzione del Fondo, che di certo non ha obiettivi speculativi avendo un rendimento atteso più basso rispetto ad altri fondi come sottolineato dal presidente del FII Marco Vitale (vedi intervista pag. 8) e dal direttore generale al Tesoro e membro del Cda del FII Andrea Montanino (vedi intervista pag. 11), potrebbe essere il giusto modo per recuperare all'esterno quei capitali indispensabili per crescere, soprattutto quando all'interno della famiglia che guida l'impresa tali risorse necessarie mancano e i canali tradizionali del credito sono difficilmente accessibili.
È anche vero però che, perché questo fondo come altri di private equity possa essere preso nella giusta considerazione, sarà necessario sempre più un cambio di mentalità da parte dei nostri imprenditori, troppo spesso restii ad accettare la presenza di altri investitori nel proprio progetto industriale, turbati e frenati dalla possibilità di perderne le redini, il controllo, la leadership. In realtà, un fondo di private equity non è di certo un "diamante": non è per sempre, ma vale solo per il tempo utile e, talvolta necessario, a traghettare l'impresa verso il raggiungimento dei suoi obiettivi di crescita e sviluppo. Un'iniezione di capitali freschi e più in generale una chance che le imprese, specie quelle di media dimensione, non dovrebbero lasciarsi scappare.
La Arioli, azienda impegnata nella produzione di macchine per il finissaggio tessile della provincia di Varese, ha già raccolto la sfida. Resta da vedere quante altre aziende vorranno seguirla sulla strada per diventare campioni nazionali.

VITALE: «Costruiamo un nuovo modello di sviluppo»

Il Fondo Italiano d'Investimento pu dare un notevole contributo al rilancio delle imprese manifatturiere sui mercati

Marco Vitale Presidente Fondo Italiano d'Investimento SGR S.p.a.

Presidente, lei da profondo conoscitore del sistema imprenditoriale del nostro Paese, ritiene che il Fondo d'Investimento Italiano possa concretamente rivelarsi una risposta immediata per uscire dalla crisi e un valido aiuto per rilanciare il manifatturiero?
Il Fondo Italiano d'Investimento può dare un contributo importante allo sviluppo e al rafforzamento di un gruppo di imprese medio‑piccole di qualità. Si riferisce in particolare alle imprese manifatturiere ma non solo a quelle. Anche il campo dei servizi alle imprese è molto importante. Il FII non nasce per dare una "risposta immediata" alla crisi. Tra l'altro io penso che non esistano risposte immediate alla crisi, che è strutturale e di lungo periodo.

Il Fondo è pens ato anche per facilitare l'aggregazione tra imprese.
Il futuro è delle reti?
Il FII favorisce, stimola, sostiene l'aggregazione d'impresa, concetto che non coincide esattamente con quello di rete.

Considerato il vincolo di fatturato, non crede che questa iniziativa potrebbe essere una scure per alcune aziende che, seppur con meritevoli piani industriali, si vedrebbero comunque precluso l'accesso a questo strumento?
L'interpretazione elastica che intendiamo dare a questi limiti indicativi, insieme allo strumento dell'aggregazione, riducono al minimo questo rischio.

Non c'è rischio di speculazione?
Rischi di questo tipo sono sempre possibili. È responsabilità del consiglio e degli organi di controllo di evitarli.

Un'ultima domanda: cosa ritiene debba mutare nella cultura delle nostre imprese per tenere testa alla concorrenza internazionale?
Nonostante la crisi, l'impresa manifatturiera italiana ha dimostrato di saper resistere, ristrutturare, innovare anche in termini di prodotto e di mercati. Nel corso del 2009, infatti, nel pieno della crisi, dissi che, ancora una volta, l'impresa manifatturiera italiana avrebbe sorpreso il Paese. Così è stato. Gli imprenditori sono stati capaci di ristrutturare senza distruggere valori; di tagliare molti costi ma non quelli dell'innovazione e dello sviluppo; di entrare in nuovi mercati di fronte alla caduta di quelli tradizionali; di gestire la ristrutturazione contenendo al massimo, con l'aiuto degli ammortizzatori sociali, gli effetti negativi su collaboratori nella consapevolezza che è proprio nei collaboratori e nel clima di collaborazione interna il patrimonio principale delle imprese, facile da distruggere, difficile da ricostruire. Oggi però gli imprenditori italiani devono, con lucidità e determinazione, passare ad una nuova fase, ad un nuovo sviluppo.
Questo passaggio è necessario per recuperare redditività, per consolidare e accrescere le posizioni conquistate sui nuovi mercati, per rafforzare la posizione su quelli tradizionali, per crescere dimensionalmente e qualitativamente, per rendere la "governance" più adeguata, per sviluppare modelli di cooperazione più aggiornati, per valorizzare le energie e le capacità creative dei giovani, per dotarsi di strutture finanziarie più funzionali, per porre i rapporti famiglia/impresa su basi più solide e professionali.
Si tratta di un grande sforzo culturale prima ancora che operativo, uno sforzo che compete in primo luogo alle imprese, ma che può essere coadiuvato da una politica economica seria, da istituzioni pubbliche collaborative e, soprattutto, da uno spirito costruttivo che deve essere presente in tutti noi, quello spirito costruttivo che ho visto testimoniato nel bellissimo padiglione italiano all'Expo di Shanghai.
La responsabilità prima degli imprenditori è, oggi, quella di collaborare all'exit da una concezione economica fine a se stessa che si è cacciata in un vicolo cieco e senza speranza, per ricostruire un nuovo modello di sviluppo economico, sociale culturale, aggiornando tanti esempi, stimoli, insegnamenti dei quali la nostra storia è così ricca.



BOCCIA: «Trasformiamo le nostre migliori imprese in medi campioni nazionali»

Il FII pu contribuire al superamento della fragilità finanziaria tipica delle aziende italiane

Vincenzo Boccia Presidente Piccola Industria di Confindustria


Presidente Boccia, finalmente con il Fondo Italiano di Investimento le Pmi avranno a disposizione come lei più volte aveva richiesto un vero strumento di politica industriale, utile soprattutto per rilanciare il manifatturiero italiano.
Qualcosa è cambiato. Il Fondo Italiano d'Investimento ha concluso la prima operazione poche settimane fa investendo 6 milioni di euro nella "Arioli", un'azienda della provincia di Varese che produce e commercializza macchinari di alta gamma per il finissaggio tessile. Al momento sono in fase di definizione altre operazioni di investimento diretto, mentre per quanto riguarda gli investimenti come fondo di fondi una delle modalità attraverso la quale il Fondo Italiano può agire sono oltre 30 i dossier oggetto di analisi. Al di là di questo, però, dobbiamo sottolineare che tale strumento può contribuire alla trasformazione delle nostre aziende da un punto di vista culturale, ancora prima che economico. Sino ad oggi, infatti, il private equity è stato guardato con sospetto dagli imprenditori italiani, più propensi a ricorrere al credito bancario piuttosto che a investitori esterni. Il Fondo Italiano si pone invece in modo diverso perché, pur essendo uno strumento di natura privatistica, è stato concepito con una mission pubblica di sostegno allo sviluppo della piccola e media impresa. Ne sono una prova la durata medio‑lunga dell'intervento e la minor redditività attesa, che riducono la componente speculativa del private equity, rassicurando le imprese e aumentandone la propensione ad aprire il capitale ad azionisti esterni.

Il Fondo ha in sé le potenzialità per fare fronte a due aspetti spesso problematici per le piccole e medie imprese: la scarsa patrimonializzazione e la altrettanto ridotta dimensione.
È una previsione corretta. Il Fondo si rivolge, infatti, a una platea di aziende dotate di buone prospettive di crescita allo scopo di farne dei "medi campioni nazionali", aiutandole a superare il problema della fragilità finanziaria tipica delle imprese italiane. Volendo usare una metafora il Fondo può intendersi come una rampa di lancio per imprese promettenti. Questo strumento potrà, dunque, stimolare l'innovazione di processo e/o di prodotto e promuovere le attività di internazionalizzazione, due aspetti sempre più determinanti per il successo di un'impresa. Il consumatore tipo del prodotto italiano, infatti, va cambiando e, stando alle proiezioni sulla crescita della classe
media nei Paesi dell'Estremo Oriente, sarà sempre meno americano e sempre più cinese. È un trend che non si può arrestare, per questo occorre attrezzarsi per tempo.

Soddisfatto dei criteri in virtù dei quali saranno valutati i progetti?
Nella valutazione contano il piano industriale, la vocazione alla crescita all'estero e il fatturato, che dovrebbe essere indicativamente compreso tra i 10 e i 100 milioni di euro. Non ci sono settori privilegiati, d'altro canto oggi non esistono più comparti forti per definizione, ma sta all'impresa esserlo e conquistarsi uno spazio anche in un settore ritenuto più debole.

Il vincolo del fatturato da 10 a 100 milioni di euro però non potrebbe essere per molte aziende, seppur dotate di un valido piano industriale e di un buon management, un impedimento all'accesso?
Come dicevamo prima la soglia dei 10 milioni è indicativa: può essere raggiunta anche attraverso un'operazione di aggregazione fra imprese, oppure vi possono essere aziende che nonostante un fatturato inferiore risultano particolarmente meritevoli per il piano industriale proposto. La soglia è più che altro determinata dal buon senso, in quanto gestire un'operazione di private equity richiede, ad esempio, profili professionali molto specializzati. Ciò introduce dei limiti naturali all'investimento, fermo restando ripeto che non si tratta di una regola ferrea. Confindustria si è impegnata direttamente sottoscrivendo un protocollo ad hoc per diffondere la conoscenza dello strumento anche mediante la creazione di sportelli dedicati presso le sedi associative. La manifestazione di interesse delle imprese ad oggi è positiva? Gli sportelli informativi, previsti nel Protocollo firmato da Confindustria e dalla società di gestione del risparmio che gestisce il Fondo Italiano d'Investimento e organizzati presso le sedi del nostro sistema, sono di grande utilità perché consentono di svolgere una prima selezione delle imprese potenzialmente idonee a ricevere l'intervento del Fondo sulla base dei criteri qualitativi e quantitativi indicati dal Fondo stesso. Di particolare rilievo, poi, è il road show organizzato su tutto il territorio nazionale per promuovere questo nuovo strumento presso le imprese. Negli incontri svoltisi finora abbiamo registrato un forte interesse da parte degli imprenditori che si dimostrano anche disponibili a valutare ipotesi di aggregazione con altre imprese. Il nostro obiettivo precipuo è informare dell'esistenza del Fondo Italiano e riuscire a scovare il meglio della nostra imprenditoria mettendolo in condizioni di crescere.

Se dovesse associare questa iniziativa ad una parola chiave che possa anche essere di stimolo per le aziende "incerte", quale potrebbe essere?
Il road show fa parte di un insieme più ampio di iniziative, progetti e attività che Piccola Industria porta avanti avendo sempre come fine ultimo lo sviluppo delle imprese. Ai colleghi e alle cosiddette aziende "incerte" rivolgiamo più che altro un invito, ovvero quello di pensare e di conseguenza agire da imprenditori e non da meri produttori. Ciò significa prima di tutto essere consa‑pevoli del differente contesto internazionale nel quale si opera e poi aprirsi al nuovo, senza pregiudizi. Il"nuovo" può essere molte cose, da un manager in azienda a una migliore organizzazione del lavorograzie all'Ict, da un fondo di private equity nel proprio capitale sociale all'esplorazione di mercati lontani.



MONTANINO: «È finita la stagione del debito per le imprese»

Entrare nel Fondo consentirebbe alle aziende di migliorare la propria situazione patrimoniale e diventare più solide

Andrea Montanino Direttore generale al Tesoro e membro del Cda del Fondo Italiano di Investimento

Dottor Montanino, il Governo ha pensato al Fondo Italiano di Investimento come misura anticrisi ma non solo. Quali sono le potenzialità dello strumento e perché le imprese dovrebbero farvi ricorso?
Vorrei innanzitutto chiarire che il FII non è una misura anti‑crisi e non è stato pensato come tale. Nella corso del 2009 furono attivati alcuni strumenti di sostegno alle imprese, specie per facilitare il loro accesso al credito su tutte la moratoria dei debiti ma, al contempo, si ritenne di dover ragionare anche su misure che fossero utili per stimolare lo sviluppo e la ripresa economica. Il Fondo Italiano di Investimento si inserisce esattamente in questo filone poiché, fondandosi su di una strategia di investimento di medio‑lungo periodo, guarda al futuro delle imprese. Si tratta di uno strumento molto particolare poiché la società di gestione, pur avendo come azionista"nuovo" può essere molte cose, da un manager in azienda a una migliore organizzazione del lavoro il Tesoro, opera con capitali prevalentemente privati per perseguire un duplice obiettivo: il primo, più tradizionalmente proprio del private equity, è quello di garantire un ritorno adeguato per gli investitori (le maggiori banche italiane e la Cassa Depositi e Prestiti, ndr) mentre il secondo obiettivo, di politica economica in senso stretto, è quello di accompagnare la crescita delle imprese andando a rafforzarne il capitale. Data la sua natura pubblico‑privata, il FII è uno strumento unico nel suo genere, che contiene in sé notevoli potenzialità e vantaggi per le pmi, anche se non è adatto a tutte le imprese di piccole e media dimensione. Destinatari specifici della misura sono infatti quelle aziende di qualità, sane, che hanno voglia di crescere, espandersi e internazionalizzarsi, i cui "capitani" però sono aperti alla prospettiva di avere un socio in affari per raggiungere tali obiettivi.
Trattandosi infatti di un fondo di private equity non si parla di finanziamenti all'impresa ma di apporti di capitale, per cui solo l'imprenditore realmente non restio ad aprire la propria azienda verso il mercato e verso azionisti esterni può considerarlo utile. Un'altra caratteristica che rende tale fondo interessante per le imprese è la sua durata, più lunga rispetto ad altri fondi di private equity.
I rendimenti attesi, poi, pur essendo di mercato, sono più bassi rispetto ad altri fondi o alla media dei settori, e questo testimonia che l'obiettivo del fondo è migliorare concretamente la patrimonializzazione delle imprese, e non agire su leve speculative. Inoltre, il FII è un fondo interamente italiano, caratteristica che in assoluta trasparenza riprova la volontà di tutti i soggetti coinvolti di sostenere l'economia del nostro Paese. Il vero motivo però per cui le imprese dovrebbero considerare l'opporunità di servirsi di questo strumento è che ormai è finito del tutto il momento del debito; le imprese, specie le pmi, sono uscite dalla crisi fortemente indebitate con fatturati ridotti e sottocapitalizzate per cui ottenere nuovo credito dalle banche "in autonomia" potrebbe essere ancora più complicato rispetto al passato. Per tale ragione, entrare in questo Fondo consentirebbe a tali imprese di migliorare la propria situazione patrimoniale e diventare più solide, così da potere affrontare in modo adeguato la competizione sui mercati nazionali e di oltre confine e ottenere nuova finanza a condizioni migliori.

La dote iniziale subirà un incremento o resterà invariata?
Tendenzialmente non ritengo ci saranno variazioni anche perché l'at‑tuale dimensione del fondo un miliardo e 200 milioni è molto ampia e non credo sarà impiegata così facilmente.

Crede che il sistema imprenditoriale italiano sia pronto alla sfida del private equity?
La fascia di imprese medio‑grandi cui si rivolge il fondo ha sempre visto il private equity come ultima spiaggia, e non come uno strumento adeguato per stimolare la crescita e creare valore anche in momenti di relativa tranquillità della vita di un'azienda. In realtà il private equity non è uno strumento di per sé buono o cattivo, è l'uso che di esso se ne fa a farlo percepire nell'uno o nell'altro senso.
Il nostro FII è una sorta di fondo dal volto umano, molto istituzionale, rispetto al quale le imprese stanno dimostrando un discreto interesse e che, sono certo, strada facendo aumenterà ancor di più.

Per lo sviluppo del Mezzogiorno il Tesoro ha in agenda interventi ad hoc?

Due sono le misure cui il Tesoro sta lavorando, ambedue contenute nel cosiddetto Piano Sud: la Banca del Mezzogiorno e un Fondo chiamato Jeremie, pensato per utilizzare i fondi strutturali europei. Nello specifico tale Fondo sostiene il credito agevolato, il capitale di rischio e le garanzie, con l'obiettivo di promuovere le responsabilità imprenditoriali e la cultura di mercato nelle Pmi, abbandonando la logica dei contributi a fondo perduto. Nei prossimi mesi senz'altro avremo sviluppi relativamente ad entrambi i progetti segnatamente pensati per l'economia meridionale.


CAPPELLINI: «La qualità del management fa la differenza nella valutazione delle opportunitÀ di investimento»

Oltre alla bontà del progetto imprenditoriale - nella selezione delle pmi da finanziare - sarà soprattutto il livello di professionalità ed esperienza degli uomini che devono portarlo avanti a contare: quanto pi sarà alto il profilo tanto pi si sarà avvantaggiati

Gabriele Cappellini Amministratore Delegato Fondo Italiano d'Investimento SGR S.p.a.

Dottor Cappellini, il Fondo Italiano di Investimento nasce per sostenere, a condizioni di mercato, lo sviluppo delle imprese. Qual è stata la genesi dell'iniziativa?
Il progetto del Fondo Italiano di Investimento nasce nel dicembre 2009, su iniziativa del Ministero dell'Economia e delle Finanze ed ha avuto da subito l'adesione delle più importanti istituzioni finanziarie ed imprenditoriali del Paese, quali Unicredit, Banca Intesa, Banca Monte dei Paschi di Siena, Cassa Depositi e Prestiti, ABI e Confindustria.
A queste si sono successivamente aggiunti l'Istituto Centrale delle Banche Popolari e alcune delle principali banche popolari. All'inizio del 2010 è stato creato uno Steering Committee con il compito di elaborare il progetto di dettaglio, che ha portato alla costituzione della Società di Gestione del Risparmio (SGR) il 18 marzo 2010.
Il 30 marzo è stato poi nominato l'Amministratore Delegato e il 24 giugno è stata richiesta alla Banca d'Italia l'autorizzazione per la SGR e l'approvazione del Regolamento del fondo mobiliare chiuso. Il 24 agosto 2010 Banca d'Italia ha autorizzato la SGR e approvato il regolamento del "Fondo Italiano di Investimento", che, il 9 novembre 2010, ha effettuato il primo closing, con sottoscrizioni pari a 1,2 miliardi di Euro.
Il 21 dicembre dello stesso anno è stato effettuato il primo investimento. Il Fondo è nato per supportare le imprese di piccole e medie dimensioni nel loro processo di crescita, operando attraverso interventi di capitalizzazione in funzione del loro sviluppo sia nazionale che internazionale.
L'obiettivo è quello di ricercare aziende in possesso di validi programmi di crescita, affiancandole nelle difficili scelte industriali che spesso comportano non solo assistenza finanziaria (equity), ma anche sostegno negli sviluppi organizzativi, commerciali e nel ricambio generazionale.

Come lei stesso ha dichiarato «si investirà non nelle aziende, ma negli imprenditori». La qualità del management risulta quindi fondamentale…
Assolutamente sì! Quando si entra nel capitale di un'impresa, oltre alla bontà del progetto imprenditoriale, è molto importante valutare le qualità degli uomini che devono portarlo avanti. Per questo motivo, nella valutazione e selezione delle opportunità di investimento, particolare attenzione sarà indirizzata proprio all'aspetto umano e professionale.
Inoltre, proprio per sottolineare l'importanza che intendiamo dare al profilo manageriale, stiamo selezionando soggetti di elevata professionalità ed esperienza, da proporre alle nostre imprese partecipate, qualora abbiano bisogno di integrare il proprio gruppo manageriale.

Tra gli obiettivi più interessanti, prioritaria è di certo la possibilità di affrontare le sfide della concorrenza internazionale, ma non solo…
L'obiettivo del Fondo è quello di creare, prendendo a prestito uno slogan usato dal Ministro Giulio Tremonti, dei veri e propri "medi campioni nazionali".
Questo vuol dire aziende in grado di competere sul fronte internazionale, magari aggregando altre realtà del loro stesso settore e che, anche se operanti in comparti maturi, sappiano utilizzare al meglio le opportunità derivanti dal continuo sviluppo tecnologico.
Anche per questo è stato scelto un target di imprese con fatturato indicativamente compreso tra i 10 e i 100 milioni di euro, accompagnato da interessanti prospettive di sviluppo, capacità di intraprendere concreti progetti di aggregazione, possibilità di valorizzazione di marchi o brevetti e una seria e affidabile qualità imprenditoriale.

Quando si chiuderanno i primi investimenti?
Il primo investimento, con contestuale erogazione del capitale, è stato realizzato il 21 di dicembre del 2010, dopo appena nove mesi dalla costituzione della SGR. Si tratta della Arioli SpA, un'azienda della provincia di Varese, attiva nel settore della produzione di macchine per il finissaggio tessile. Nel frattempo, l'attività di selezione e valutazione delle opportunità di investimento va avanti e ogni mese vengono portate all'attenzione del Consiglio di Amministrazione nuove ipotesi di intervento alcune delle quali si concretizzeranno a breve.

Perché le imprese dovrebbero scegliere questo Fondo piuttosto che altri?
Cominciamo con il dire che la nostra posizione rispetto agli altri attori del mercato non è assolutamente quella di un vero e proprio competitor, avendo noi anche la mission di aiutare il mercato italiano del private equity a crescere e a svilupparsi ulteriormente. In particolare, perseguiamo questo obiettivo sia attraverso un'importante attività di co‑investimento con altri fondi, che investendo direttamente in altri fondi di private equity aventi approccio e caratteristiche simili a quelle definite per il FII.
Si tratterà sia di fondi aventi un'attività consolidata, sia di nuovi operatori e/o nuovi team, magari con un'attenzione particolare a specifici territori.
I fondi che saranno oggetto di investimento da parte nostra dovranno avere una capacità di raccolta autonoma, sul mercato, almeno pari a quanto a noi richiesto, in modo da permettere alle nostre risorse di fare da volano e di mettere in moto un virtuoso meccanismo moltiplicativo.
Attraverso l'attività di investimento indiretto, contiamo di poter raggiungere un numero ancora più ampio di aziende e, soprattutto, di aumentare notevolmente la capillarità del nostro intervento.







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