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  Dicembre 2012

Articoli n° 01
GENNAIO/FEBBRAIO 2011
 
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PAOLAZZI: «Ritmi di crescita ancora troppo bassi. Recupereremo il terreno perduto non prima del 2015»

Dal Direttore del C SC di C onfindustria chiare indicazioni: «Occorre aumentare la redditività degli investimenti nel Paese e renderlo un luogo molto pi ospitale per il fare impresa»

Non è che in Italia non si sta facendo nulla, ma si fa meno di quanto gli altri paesi mettano in campo, con il risultato che andiamo indietro

di Raffaella Venerando

Luca Paolazzi Direttore Centro Studi Confindustria

Direttore, il Centro Sudi da lei diretto ha abbassato le stime di crescita del Pil per il 2011: cosa significa in concreto?
È probabile o solo ottimistico attendersi una ripresa economica per il nostro Paese per il prossimo anno?
La ripresa è già in corso. In tutto il mondo la crescita è tornata ai ritmi precedenti la crisi. Nel 2010 il PIL mondiale è salito del 5,0%, quest'anno, stando alle previsioni appena aggiornate dall'FMI, salirà del 4,4% e nel 2012 del 4,5%. I ritmi più elevati sono nei paesi emergenti, che viaggiano in media al 6,5%, con punte dell'8‑10% in Cina e India. Ma anche tra gli avanzati ci sono performance molto buone, come quelle di Usa (3‑4% atteso quest'anno) e Germania (oltre il 2,5%). L'Italia, invece, come ha evidenziato il CSC nell'ultima analisi congiunturale, Congiuntura Flash diffusa a fine gennaio (è scaricabile dallo spazio dedicato al Centro Studi sul sito di Confindustria, ndr), fatica a tenere il passo. Ineffetti, l'economia italiana è pure tornata sui ritmi precedenti la recessione, che però erano del tutto insoddisfacenti: 1,1% medio annuo dal 2000 al 2007. E questo è tanto più grave se pensiamo al crollo del 6,3% nel biennio 2008‑2009, tra i più intensi dei paesi avanzati. Dopo una simile caduta era legittimo attendersi un rimbalzo più robusto, come si è osservato per esempio in Germania e Giappone. Invece, a questi ritmi recupereremo il terreno perduto non prima del 2015. E le stime del CSC sono tra le più ottimistiche in circolazione.

Quali potrebbero essere i settori traino?
Anzitutto bisogna capire da dove verrà la domanda. E la risposta è semplice: ancora dalle esportazioni, che continuano a salire (ci attendiamo un +5% e oltre di aumento annuo in volume nel 2011‑2012), anche se meno rapidamente di quelle tedesche e di quanto faccia il commercio mondiale. Questo perché il made in Italy si è molto rafforzato nei mercati emergenti più vicini, come l'Est Europa e il Medio Oriente, che hanno peraltro subito duri contraccolpi dalla crisi, mentre è meno presente dei concorrenti in quelli più dinamici dell'Asia lontana. Un buon contributo viene anche dagli investimenti, con incrementi superiori al 3% annuo. Mentre deboli rimarranno i consumi (+0,9% quest'anno e +1,2% il prossimo). Quindi, prima di tutto andranno bene le aziende che sono più internazionalizzate, che producono beni intermedi e di investimento; mentre incontreranno ancora molte difficoltà le aziende che si rivolgono al mercato interno e ai beni di consumo, in particolare i durevoli che sono più costosi. Il quadro per queste ultime migliorerà più gradualmente.

Ma il polso degli imprenditori cosa dice? Quali sono le criticità più spesso sollevate e quale il sentiment per l'immediato futuro?
Dopo la cupezza di due anni fa, quando i fax degli ordini tacevano e gli impianti erano fermi, ora si vedono molti più sorrisi in giro. Anche perché gli imprenditori non sono rimasti ad aspettare, ma hanno messo in atto contromisure spesso radicali, riorientando mercati e produzioni, con la parola d'ordine di innovare per stimolare di nuovo i clienti a fare acquisti. Sono stati tagliati i costi ed è stata aumentata la qualità. Lungo linee di tendenza già esistenti prima della recessione. Tuttavia, il quadro non è affatto uniforme, e affianco alle imprese che vanno bene, ci sono quelle in grave difficoltà, come è normale che sia visto che in alcuni comparti i livelli di attività sono ancora del 30% o del 40% inferiori ai valori precedenti la recessione. In alcuni casi questi valori non verranno mai recuperati, perché nel frattempo il mercato è stato conquistato da produttori esteri. Perciò ci saranno ancora scelte dolorose da compiere. Tra le criticità ne cito tre: la burocrazia, che ostacola investimenti e innovazione; le tasse elevate, a causa dell'evasione, che riducono i fondi per investire; le infrastrutture inadeguate.

La Confindustria ripete da tempo che il problema numero uno del Paese è la mancata crescita. Secondo lei quali sarebbero le prime mosse da fare per mettere anche fine tra le altre cose alla fuga di capitali e di giovani dall'Italia?
Occorre aumentare la redditività degli investimenti nel Paese e renderlo un luogo molto più ospitale per il fare impresa. Nella graduatoria della Banca mondiale sul fare impresa l'Italia è finita all'80° posto nel 2011, quattro più sotto che nel 2010. Questo dipende da tanti fattori, ma i principali riguardano la burocrazia, in ogni sua forma (dai permessi alla giustizia lenta), e la tassazione elevata. Nel primo caso le riforme sono a costo zero, nel secondo, invece, occorre agire contenendo l'evasione e la spesa pubblica corrente, così da trovare le risorse per abbassare le imposte sulle imprese e sul lavoro. Non è che in Italia non si sta facendo nulla, ma si fa meno di quanto gli altri paesi mettano in campo, con il risultato che andiamo indietro. Per i giovani l'unico modo è premiare il merito e questo significa mettere in discussione posizioni di rendita in molte professioni. Occorre liberalizzare, aprire i mercati, soprattutto dei servizi, fare una dura e severa selezione e valutazione là dove ci sono concorsi pubblici. Qualcosa si è cominciato a fare con le misure volute dal Ministro Brunetta e con la riforma dell'Università fortemente voluta dal Ministro Gelmini. Fa specie che a protestare siano gli studenti, che da quella riforma hanno solo da guadagnare insegnanti migliori. Senza un capitale umano adeguato, l'Italia perderà sempre più competitività nell'economia della conoscenza. Mentre tanti giovani italiani lasciano la scuola troppo precocemente o con una preparazione inadeguata. Ci sono poi due milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni che non fanno nulla: non studiano, non lavorano e nemmeno cercano un lavoro. Un gigantesco spreco di vite e di risorse.

Debiti sovrani: anche il nostro Paese è una polveriera pronta ad esplodere?
La crisi dei debiti sovrani non riguarda l'Italia, ma quelle nazioni che hanno deficit pubblici più elevati o un sistema bancario bisognoso di sostegno pubblico o hanno avuto una crescita troppo incentrata sull'immobiliare o tutte e tre. L'Italia ha un sistema bancario solido, un benessere privato diffuso che ha consentito di attutire le conseguenze della crisi sul reddito delle famiglie senza enormi interventi pubblici (eccetto l'ampliamento della CIG), un boom immobiliare che è stato contenuto, un sistema previdenziale che è stato reso in equilibrio (anche se magari ora non è tanto lineare). Perciò non c'è un rischio Italia, né tanto meno una polveriera. Tuttavia, tutti sanno che i debiti sono sostenibili solo se il reddito sale. E purtroppo il Pil in Italia, come abbiamo visto sopra, langue e ciò a lungo andare metterà in difficoltà i conti pubblici, a maggior ragione quando i tassi di interesse saliranno e appesantiranno la spesa sul servizio del debito. Anche perciò, oltre che per creare posti di lavoro e far tornare ad aumentare il benessere materiale degli italiani, occorre agire in fretta per rilanciare la crescita.

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