di Antonello Tolve
Critico d’arte
Il mondo delle aste/2
La casa d'aste è, oggi, uno degli spazi più rinomati del sistema dell'arte. Uno spazio di acquisto e di consumo, ma anche di operazione culturale
Jeff Koons
«In generale la sensazione che si prova ad un'asta è terribile», scriveva Gogol' in un suo racconto esemplare: «in essa tutto fa pensare ad un funerale. La sala in cui si tiene l'asta», insiste Gogol', «è sempre tetra; le finestre, ingombre di mobili e di quadri, lasciano filtrare avaramente la luce; il silenzio diffuso sulle facce e la funebre voce del banditore che batte con il martello e canta le esequie alle povere arti così stranamente raccolte in questo luogo, tutto ciò sembra rafforzare la sgradevole e bizzarra impressione».
Malgrado la profonda trasformazione che ha subito la casa d'aste nell'arco del XX secolo e, naturalmente, al di là della visione catastrofica e funebre presentata da Gogol', l'incanto rappresenta, sin dalla sua nascita, il momento esclusivo di una organizzazione commerciale che trasforma l'opera d'arte in oggetto con valore estetico capace di alzare il prezzo di mercato di un artista e di migliorare, conseguenzialmente, le sorti della sua opera e della sua vita. Munite di Wine Bar, di salotti eleganti, di Book Shop lineari (e fornititi di ogni tipo di ricercatezza), di spazi esemplari per il benessere dei potenziali partecipanti attivi (gli acquirenti), di gallerie in cui apparecchiare opere e di tutta una serie di comfort che allietano il visitatore, la casa d'aste - e particolarmente quella rivolta all'arte contemporanea - è, oggi, uno degli spazi più rinomati del sistema dell'arte. Uno spazio di acquisto e di consumo, ma anche di operazione culturale. Finanche di calcolo, impresa, intervento o campagna creativa che si trasforma, in alcuni casi, in cifra integrante e necessaria del procedimento artistico.
È il caso dell'iniziativa (di marketing estetico) concepita da Damien Hirst nel settembre del 2008 da Sotheby's con la messa all'incanto di ben 223 opere che hanno raggiunto un valore di 112 milioni di sterline. Un'iniziativa in cui l'artista ha intersecato il proprio prefisso stilistico (marcatamente manageriale) con i paesi dell'asta per produrre un evento davvero esemplare.
Una vera e propria operazione di mercato esteticizzata in cui la vendita dell'opera - e la sua messa all'asta - si è trasformata in parte integrante del procedimento artistico. È lungo queste traiettorie linguistiche - e questi paesaggi stilistici - che l'arte muta inevitabilmente in oggetto estetico il cui valore è legato non tanto (e non spesso) a dati di matrice costitutiva dell'opera, ma a previsioni e a grafici che ne accrescono il valore mediante punti cardinali (la costruzione di un nome forte, l'inserimento in grandi collettive internazionali legate ai musei più alla moda, la recensione su riviste importanti e aggressive, ecc.) che determinano non solo la validità dell'opera, ma anche e soprattutto il prezzo del prodotto artistico.
Ancora più solido e rilevante, in questo brano riflessivo, è il discorso costruito dal newyorkese Jeff Koons (classe 1955), un nome di brand che ha applicato la regola delle Quattro P (Product, Price, Place e Promotion) al proprio discorso artistico facendo del mercato dell'arte e del marketing in generale il punto cardinale di un procedimento linguistico sempre più aperto ai luoghi della promozione planetaria dell'arte, dell'impresa esteticommerciale, del business intelligence. |