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  Dicembre 2012

Articoli n° 03
APRILE 2011
 
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TREVISANI: «La qualitÀ dei trasporti si migliora liberalizzando il settore»

La mobilità, in particolare, necessiterebbe di una vera concorrenza "per il mercato", da accompagnare, però, con misure idonee a non creare asimmetrie competitive tra i diversi potenziali operatori



Cesare Trevisani
Vice Presidente Infrastrutture, Logistica e Mobilità Confindustria


Dottor Trevisani, il TPL riveste un ruolo centrale nell'organizzazione e nella pianificazione delle città. Eppure il comparto vive forti momenti di crisi a causa dei tagli previsti dall'accordo Governo‑Regioni. Alla luce anche del federalismo municipale, qual è la situazione del settore e quali sono le risorse intoccabili su cui possono fare affidamento gli operatori?

Ritengo che il trasporto pubblico locale sia uno dei pilastri su cui agire per ottenere uno sviluppo del territorio più moderno ed equilibrato, in una parola "sostenibile". Mediante una mobilità maggiormente integrata, efficiente ed eco‑compatibile, infatti, è possibile realizzare risparmi sia in termini di minor inquinamento che di riduzione nei tempi del trasporto, generando effetti benefici sull'ambiente, sulla collettività e sull'economia dell'area nel suo complesso.
Tuttavia, i recenti tagli della manovra economica sul trasporto pubblico locale, pari a circa 1,2 miliardi di euro, vanno in una direzione opposta, con prevedibili ripercussioni sull'intero comparto e ricadute a catena che potranno incidere sull'offerta dei servizi e sulla qualità degli stessi. Con ogni probabilità, aumenteranno le situazioni di criticità, specie nelle grandi aree metropolitane e, purtroppo, mancando le risorse, si continuerà ad intervenire con misure tampone, quali la chiusura dei centri storici, il blocco del traffico e l'utilizzo di targhe alterne.
A nostro avviso, invece, occorrerebbe razionalizzare l'offerta non solo sulla mobilità ma anche sulla sosta, migliorando la qualità e puntando sulla liberalizzazione e sugli investimenti. La mobilità, in particolare, necessiterebbe di una vera concorrenza "per il mercato", da accompagnare, però, con misure idonee a non creare asimmetrie competitive tra i diversi potenziali operatori. Penso ad esempio ad una netta separazione tra servizi "di mercato" e "servizi universali". Inoltre, occorrerebbe una corretta valutazione (in chiave economica) della dimensione dei lotti da mettere a gara, per far sì che le imprese abbiano convenienza ad operare e, allo stesso tempo, venga offerto un servizio adeguato per frequenze ed estensione. Infine sarà necessario definire contratti certi, con una durata e con corrispettivi adeguati.

Rimanendo in tema di trasporti, con la riforma che ha coinvolto gli autotrasportatori sono state reintrodotte le tariffe minime.
Ad oggi si sono avuti più benefici o più svantaggi da una simile organizzazione?
Innanzitutto non è una riforma ma una "controriforma". La reintroduzione delle tariffe minime nel 2008 per i contratti verbali e, con la L. 127/2010, per i contratti scritti, ha riportato il settore indietro di circa un ventennio, vanificando i possibili benefici che si sarebbero potuti ottenere perseguendo la strada della liberalizzazione intrapresa nel 2005 e proseguendo con la ristrutturazione del mercato. La liberalizzazione, che aveva come scopo primario quello di "allineare" domanda e offerta dei servizi di trasporto, facendo fuoriuscire dal mercato le imprese non competitive, purtroppo non ha esplicitato tutti i potenziali benefici, poiché è stata interrotta troppo presto. A breve, la libertà negoziale delle parti verrà completamente meno e il corrispettivo dei servizi sarà determinato da accordi volontari di settore o dall'Osservatorio sulle attività di autotrasporto, chiamati ad elaborare i costi minimi di esercizio; se anche questi due passaggi andranno a vuoto, il prezzo dei servizi sarà determinato dalle tabelle ministeriali. Il risultato di questa "controriforma", sarà quello di mantenere la parcellizzazione del settore con un numero indefinito di micro‑aziende, che riusciranno a sopravvivere grazie ai prezzi del servizio garantiti per legge, in contrasto con qualsiasi logica che dovrebbe governare un'economia di mercato. Proviamo a pensare a cosa accadrebbe se questo principio fosse esteso anche ad altri settori, come ad esempio al manifatturiero. Sarebbe semplicemente un'assurdità! Con queste premesse, non vi sono reali prospettive di crescita del comparto, che risulterà sempre meno competitivo, compromettendo cosi lo sviluppo logistico dell'intero Paese.

Appalti pubblici: cosa è migliorato negli ultimi anni e quali invece i nodi ancora da sciogliere? Quali le novità sulla tracciabilità dei flussi finanziari relativi all'esecuzione di contratti pubblici?
La materia degli appalti pubblici ha vissuto in questi ultimi anni una fase di grande evoluzione. Il recepimento delle direttive europee nel Codice sui contratti pubblici ha offerto un'eccezionale opportunità di recupero di efficienza all'azione pubblica e di competitività delle imprese, oltre che di complessiva razionalizzazione economica e finanziaria. L'approvazione del Regolamento attuativo del Codice ha rappresentato, senza dubbio, un ulteriore passo in avanti. Si è trattato di un lavoro lungo e complesso che ha consentito finalmente di rendere più chiaro l'impianto normativo del settore, ma ha lasciato aperte alcune importanti questioni, come il tema delle categorie "superspecialistiche", sulle quali è necessario intervenire.
Restano alcuni nodi, che vanno ravvisati in primis nella semplificazione e nell'accelerazione procedurale. Il percorso che porta dalla progettazione all'apertura effettiva dei cantieri è ancora troppo lungo. I vari stop&go amministrativi stanno causando fortissimi ritardi nella realizzazione delle opere pubbliche e una lievitazione dei costi preoccupante. È un "avvitamento" che è necessario affrontare con decisione, se vogliamo veramente modernizzare le infrastrutture del Paese. Si tratta di una questione determinante anche per il coinvolgimento del capitale privato, che senza certezze amministrative e procedurali si trova a dover continuamente rivedere la dimensione e i tempi del proprio impegno finanziario. In merito alla tracciabilità dei flussi finanziari, Confindustria ha ritenuto importante e apprezzabile la decisione del Parlamento di introdurre misure di contrasto alle infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti pubblici. È una mission sociale prima che politica. Ma i dubbi e le difficoltà di interpretazione restano, nonostante le modifiche introdotte e i preziosi chiarimenti forniti dall'Autorità di Vigilanza sui Contratti pubblici. Tra i punti oscuri: la precisa definizione della filiera delle imprese, ossia la catena di subappaltatori, subcontraenti e fornitori interessata all'applicazione della disciplina; le modalità per tracciare gli acquisti di materiale da destinare a scorta e non ad un cantiere specifico; la possibilità di utilizzare i contanti attraverso la costituzione di un fondo cassa per le spese giornaliere sotto i 1.500 euro. È fondamentale che, in tempi brevi, la normativa sia resa realmente applicabile, onde evitare ulteriori complicazioni procedurali e amministrative, che comportano l'elevato rischio di rallentare i lavori e aumentare i contenziosi.

Passando invece al grande tema infrastrutture, Confindustria a fine 2009 aveva indicato e selezionato per ciascuna delle 8 regioni meridionali – alcune opere come indispensabili per colmare il gap infrastrutturale che divide il Paese. Tra queste la Salerno Reggio Calabria, la SS 106, l'alta capacità Napoli‑Bari e la SS Sassari Olbia, per un investimento totale pari a 40 miliardi di euro. Ma, ad oggi, quanto il Mezzogiorno è ancora lontano da un sistema infrastrutturale integrato?
Una corretta analisi della dotazione delle infrastrutture di trasporto del Sud non è certamente facile. Esistono, infatti, notevoli differenze tra le varie aree del Mezzogiorno, in termini di urbanizzazione ma anche di diffusione delle attività economiche. Tali differenze sono causa ed effetto di una dotazione infrastrutturale molto disomogenea. Tuttavia, tranne poche eccezioni (tra cui alcune zone della Campania), la dotazione infrastrutturale meridionale non appare in linea, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, con quella del resto del Paese. Questo sottodimensionamento costituisce un ostacolo importante per lo sviluppo socio‑economico del Sud. Occorre agire da subito mediante investimenti mirati e prevedere, accanto alla realizzazione delle grandi opere necessarie ad accrescere l'accessibilità dell'area, una migliore funzionalità della rete esistente anche mediante un efficientamento delle micro‑infrastrutture del cosiddetto "ultimo miglio": piccoli interventi, spesso realizzabili a livello locale e di limitato peso finanziario, che permettono di eliminare le criticità di connessione tra nodi e reti infrastrutturali. Infine, ci tengo a sottolinearlo, un Sud competitivo è funzionale allo sviluppo dell'intero Paese. Se vogliamo che l'Italia diventi una "piattaforma logistica" in grado di movimentare merci e tecnologie tra Europa, Africa e Asia abbiamo bisogno anche del nostro Meridione.

Con l'esplodere delle tensioni politico‑sociali nell'area sudmediterranea tramonta il sogno di un'Italia protagonista nello sviluppo dei Paesi del Mediterraneo?
Cosa hanno da temere se esistono reali rischi i nostri imprenditori che investono o vorranno investire in queste nazioni? Nelle rivoluzioni che stanno sconvolgendo il Nord Africa non trovano spazio, per ora, né l'integralismo religioso né quei sentimenti anti‑occidentali che tante volte in passato hanno caratterizzato le rivolte nei paesi islamici. A muovere queste "sollevazioni" laiche, piuttosto, sembra esserci una reale richiesta di libertà e di democrazia, più che comprensibile in Paesi nei quali da molti decenni il potere politico‑economico è in mano ad una ristretta oligarchia. Più che i rischi di instabilità, dunque, che pur persisteranno nei prossimi mesi, ritengo che oggi occorra valutare le potenziali opportunità che si prospettano per le nostre imprese. La democrazia, con ogni probabilità, darà maggiori potenzialità a quei mercati, accrescendone le possibilità di investimento, nonché una più equa distribuzione della ricchezza. Ciò porterà un incremento della domanda di beni e servizi da parte della popolazione, condizione ideale per lo sviluppo di imprese locali ed estere. Per quanto concerne le grandi imprese, invece, il discorso ovviamente va affrontato per singolo Paese. A parte la Libia, dove al momento non è possibile azzardare delle previsioni su ciò che succederà nei prossimi mesi, è assai probabile che i futuri governi di Tunisia ed Egitto avranno tutto l'interesse a mantenere gli investimenti esteri, italiani compresi. In questi Paesi, l'operatività delle nostre imprese è già ripresa normalmente e questo ci fa ben sperare. Vorrei infine sottolineare che Confindustria si impegnerà, come ha sempre fatto, con tutti gli strumenti a sua disposizione, a sostenere le aziende che già operano o che stanno pensando di investire in quei Paesi, dove le potenzialità di investimento, soprattutto infrastrutturali, sono straordinarie.

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