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  Dicembre 2012

Articoli n° 03
APRILE 2011
 
EDITORIALE - Home Page
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UNITÀ NAZIONALE,
la lezione che ci viene dagli Usa

Riti, celebrazioni e ricostruzioni storiche cementano il tessuto civile e favoriscono la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica

"Questo il senso che avremmo dovuto dare al 17 marzo: vedere questa data come un elemento di socialità in cui gli italiani potessero ritrovare un senso di comunità che sa guardare in avanti"


ANTONIO DELLA GATTA
Presidente Confindustria Caserta

Nella ricorrenza del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, il nostro Paese sembra vivere una crisi di fiducia nella sua identità. Sembra che difficoltà e diffidenze reciproche impediscano
di riconoscerci cittadini di un passato comune. Un passato che non tutti conoscono. É questo il ruolo che Confindustria Caserta ha inteso svolgere nell'ambito delle cerimonie programmate per questo evento: aiutare a ricordare, a conoscere le radici comuni del nostro Stato, della nostra nazione, facendolo dal nostro angolo di visuale, dalla nostra terra, dalla nostra provincia. Un compito non facile che noi industriali abbiamo affidato ad uno storico di chiara fama, il professore Giuseppe Galasso, che ha progettato il ciclo di lezioni (dal 16 marzo al 19 maggio) ed ha scelto dieci autorevoli professori per illustrarlo. Meglio, per raccontare come la ricca storia di questa parte del nostro Paese confluisca nel complesso della storia d'Italia. Un ciclo di lezioni da sfogliare come un album di famiglia nel quale rivivere i periodi che hanno fatto del nostro Paese una nazione. Le polemiche sui costi della festa del 17 marzo lasciano il tempo che trovano, a mio parere, a fronte dei benefici di una ricorrenza che può e deve contribuire a cementare un'idea comune di futuro. Un'operazione culturale che già altri Paesi hanno fatto prima di noi. E dai quali potremmo pren‑ dere esempio: penso agli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno un passato condiviso più nelle celebra‑ zioni che negli aspri risvolti della loro storia. Neanche un mese dopo la proclamazione del Regno d'Italia, gli Usa entravano in una guerra civile che avrebbe causato più di mezzo milione di morti. Ancora mezzo secolo fa, una parte importante della popolazione non poteva frequentare certe scuole o prendere certi autobus. Per non parlare delle ondate migratorie di ultima generazione che rendono difficile parlare di passato comune. Negli Usa, tuttavia, l'unità nazionale è cementata da un'idea comune di futuro, da un insieme di valori che fanno da cornice al compimento del desi‑ derio di felicità di ciascuno. Le ricostruzioni storiche e le celebrazioni sono funzionali a questa idea: non la guidano, ma ne sono guidate. Ed è questo il senso che avremmo dovuto dare al 17 marzo: vedere questa data come un elemento di socialità in cui gli italiani potessero ritrovare un senso di comunità che sa guardare in avanti. Ho letto di un'interessante ricerca di due economisti che descrive gli effetti della festività del 4 luglio negli States. Secondo questo studio se un americano medio tra i 3 e i 18 anni è stato costretto a non festeggiare in pubblico la festa del 4 luglio, quasi trenta anni dopo, quello stesso americano ha una probabilità minore di partecipare alla vita politica e civile del suo paese. In particolare, un 4 luglio festeggiato in più durante l'infanzia o l'adolescenza si traduce in un aumento dell'8‑9 per cento nella probabilità di votare alle elezioni. E, dunque, di partecipare alle decisioni della vita del paese. Se così è, ben vengano ‑ allora ‑ riti e celebrazioni che cementano il tessuto civile e favoriscono la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. In questo senso, il 17 marzo non dovrebbe essere stata un'eccezione, bensì divenire una regola.

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