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  Dicembre 2012

Articoli n° 02
MARZO 2010
 


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Rapporto Eurispes:
tutti i numeri della Green Economy in Italia

AlverÀ: «Per ridurre l’inquinamento occorre un piano europeo credibile»

«Basta con il rimandismo d’annata»


«Basta con il rimandismo d’annata»

Troppo alti i costi delle mancate scelte in campo ambientale nel nostro Paese

di Raffaella Venerando

Maurizio Guandalini, economista
e autore del libro “Green economy, Italia. Idee, energia e dintorni”


Partiamo dal suo libro “Green economy, Italia. Idee, energia e dintorni”, scritto per offrire uno stimolo alla ripresa economica come suggerito dal sottotitolo stesso. In che modo sarebbe possibile e quali sono gli scenari prossimi per il nostro Paese?
Qualcuno conosce la strategia industriale di questo Paese? Da una vita sostengo la necessità di spostare il baricentro degli investimenti dai settori saturi tradizionali a tutto ciò che gira intorno all’ambiente e alla qualità della vita dei cittadini. Vuol dire infrastrutture, mezzi di trasporti decenti - tram, autobus, treni regionali - energia alternativa, nuove logiche abitative e di sviluppo delle città. Insomma c’è tanto da fare. Quello che è chiaro è che mancano le classi dirigenti all’altezza, con una visione che vada oltre l’ordinario. Mi sono accorto che è chiedere troppo!

Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di energie rinnovabili, senza che vi fosse poi un concreto sviluppo delle stesse. Quali sono stati i principali ostacoli?
Gli ostacoli sono quelli di sempre. Burocrazia, burocrazia, burocrazia. L’Italia è il Paese bloccato per eccellenza. Cito il saggio di De Masi di Italgest, presente nel libro: «Un non fare che tra il 2005 e il 2007 ci è già costato 14 miliardi di euro e che nei prossimi dieci ci potrebbe costare ben 250. Di cui circa 2,5 miliardi di euro all’anno solo per i ritardi accumulati sulle rinnovabili». Ad oggi sono 67 gli impianti a energie rinnovabili bloccati, per un totale di 18.000 MW, l’equivalente di 12 reattori nucleari EPR di terza generazione, un quarto della produzione energetica nazionale.
Aggiungo che a volte ci sono difficoltà di comunicazione, le notizie non arrivano a tutti; oltre all’impedimento di trovare qualcuno che te le dia.
Sa qual è la mia sensazione? C’è molta voglia di voler fare, di sperimentare strade nuove, offrire alternative tecnologicamente moderne e all’avanguardia: il problema è che non c’è il “solito” Sistema, che aiuterebbe a unire e finalizzare. Allo stato attuale c’è la percezione che ognuno vada avanti un po’ per proprio conto, in assenza di riferimenti. Volgarizzo: mancano dallo Stato centrale delle parole d’ordine convinte che ci spronerebbero a perseguire tutti insieme verso un obiettivo certo. Ad esempio, entro il 2012 tutti gli edifici pubblici devono avere i pannelli solari. Se così fosse, il Paese correrebbe molto più in fretta. Pensi io ho una tradizione lunga nell’organizzazione di workshop internazionali su questi e altri temi e ho sempre trovato una latitanza di alcuni governi. Forse sarà un caso, ma i comportamenti, come dicevo in precedenza, sono dei sintomi.

Nel libro sono riportati numerosi esempi di aziende particolarmente creative e innovative. Ad esempio…
La Green Economy ha nel suo dna diverse declinazioni. Non sono solo le energie rinnovabili. Per questo abbiamo chiesto di scrivere a Roveda “patron” di Lifegate che propone un approccio a 360 gradi della salvaguardia ambientale: lo stile di vita. Ma poi c’è il saggio dell’amministratore delegato di Pirelli Labs, di Baracco della Renault che ci spiega la mobilità a zero emissioni e via via Novamont per le bioplastiche, la Coop e Philips.

Le aziende che tipo di scelte dovrebbero necessariamente compiere per essere maggiormente eco-sostenibili?
Guardi sulle aziende pesa come un macigno il costo dell’elettricità. Un costo che è salato perché l’energia la importiamo dall’estero. Quindi le aziende dovrebbero sentire la spinta verso le rinnovabili perché il portafoglio piange. Però la sua domanda, da quanto mi pare di capire, è più specifica sulle conversioni di tante aziende verso l’eco-sostenibilità: prodotti che contengono sempre e comunque il “green”. Un po’ di paura ce l’ho anch’io. Mi chiedo: e se fosse una moda passeggera tanto per farsi belli? Sa, in economia si vive di schemi precostituiti che servono per rendere meglio presentabile tutto l’armamentario. Il settore della green economy però ha una leadership dirompente come quella statunitense di Obama e qui da noi in Europa è in atto una vera e propria concorrenza tra Stati. Basti pensare quello che ha fatto e che fa la Germania. Il nostro sistema industriale soffre perché lasciato solo, incerto, in balìa spessodi persone chiamate a decidere su temi dei quali “non c’azzeccano” uno scampolo di competenza.

Quali sono le caratteristiche per entrare nel mercato dei green jobs?
Ci possiamo rifare al saggio contenuto nel libro (scritto a 4 mani con Victor Uckmar) della Zucchelli che si occupa di formazione. Il mercato del lavoro delle energie rinnovabili è a estuario. C’è bisogno di tutto e anno dopo anno cresce vertiginosamente la richiesta. Anche qui cosa dobbiamo registrare? L’impreparazione. Soprattutto del nostro sistema universitario, ma anche della scuola secondaria superiore. C’è la necessità impellente di formare dei tecnici su materie nuove. Periti, ingegneri che mancano perché parliamo di un fenomeno industriale che ha qualche anno. Qui è fondamentale unire le forze: aziende, associazioni di categoria, sistema scolastico. Fare anche corsi o master ad hoc dove i docenti sono gli uomini più preparati delle aziende e le stesse aziende sono nel pool di promozione dei master in modo che al termine del percorso di studi assumono i ragazzi più meritevoli.

Nonostante il recente boom della green economy, la problematica ambientale sembra essere ancora sottovalutata presso l’opinione pubblica, non trova?
Diciamolo con chiarezza: nessuno accarezza una conversione ecologica per moto proprio. O c’è una regola, e quindi una sanzione per chi non la rispetta, oppure siamo portati a fare ciò che ci pare. É, ahinoi, un male italiano l’assenza di una cultura, di una predisposizione. Basti pensare al caso della raccolta differenziata della spazzatura. Sui balconi abbiamo ormai cinque o sei contenitori (plastica, carta, umido, secco ecc.). Se penso a Milano i controlli sono ferrei. Se trasgredisci multa salata. Penso che così deve essere. Lo stesso deve valere per tutte le questioni ambientali che richiedono dei comportamenti. Il nostro dramma è questo laissez fair che raccoglie quello che avviene di buono intorno a noi con preoccupante indifferenza o sopportazione bonaria. Guardiamo a Copenaghen. Lo trova decente fare un vertice e non decidere quasi nulla? Addirittura ho letto commenti compiaciuti che hanno esaltato i successi dell’incontro perché finalmente gli Stati Uniti avevano preso coscienza del problema CO2. Rewind: il mondo sta cadendo a pezzi, ci sono vertiginosi problemi ambientali e i leader del mondo si guardano l’asola del vestito. Anche a me fa piacere avere un presidente come Obama, però qui occorre che i nostri leader osservino il mondo da qui a 150 anni. Devono lavorare per i nostri figli, per i nostri nipoti. Invece prevale una visione egoistica che si limita al giorno dopo. Ecco che allora vince il rimandismo d’annata. L’attesa del vertice dopo. Ora infatti aspettiamo giugno 2010. É naturale che un cittadino seduto sulla sua poltrona è portato a chiedersi: chi me lo fa fare? Il tema della politica ambientale è troppo ampio e si scontano dei ritardi senza eguali. A Milano nei giorni della neve il Comune invitava a prendere i mezzi; mentre autobus e treni erano bloccati per la neve. Insomma per affrontare in armonia i temi ambientali dobbiamo avere almeno una corrispondenza di amorosi sensi.

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