PIQ: un indicatore di qualitÀ
L'INTERVISTA - Realacci: «Il PIQ legge l'economia con nuovi occhi»
L'INTERVISTA - Dardanello: «Puntiamo tutto sul PIQ
perché la qualità è la leva competitiva
del nostro sistema economico nel mondo»
L'INTERVISTA -Bonomi: «La competitivitÀ e la crescita
del Paese passano per la qualitÀ»
L'INTERVISTA -Campiglio: «Il PIQ descrive e intercetta
le nuove traiettorie dello sviluppo»
L'INTERVISTA -Fioramonti: «Il PIL non È soltanto un numero,
ma rappresenta un modo di gestire l'economia
L'Intervista
Realacci: «Il PIQ legge l'economia con nuovi occhi»
di Raffaella Venerando
Ermete Realacci
Presidente
Fondazione Symbola
Presidente, negli ultimi tempi sta crollando il mito della produttività e, con esso, il tradizionale paradigma crescita uguale progresso. Cosa è cambiato e perché per quantificare la ricchezza di un Paese il PIL non basta più?
Quella che emerge oggi è una domanda di un'economia a misura d'uomo, meno legata alla finanza ma più attenta alle sfide di fondo che come Paese abbiamo davanti. La grave crisi finanziaria in atto ha ridato forza a un ragionamento ad ampio raggio sulla validità degli strumenti utilizzati per "leggere" l'economia e orientarla ad affrontare al meglio le sfide che del futuro. Del resto come ricorda il professor Luigi Campiglio - coordinatore scientifico del PIQ - nella sua introduzione all'ultimo Rapporto PIQ relativo al 2009, furono proprio i radicali cambiamenti seguiti alla crisi economica del 1929 a dare forza al PIL, indicatore che, oggi, però non è riuscito a fornire elementi per capire l'ingresso nella prima crisi del terzo millennio. Proprio per questo, a livello internazionale si sono attivati numerosi cantieri di analisi che hanno prodotto una notevole evoluzione delle conoscenze in campo economico. Il percorso da seguire però non è tanto quello di sostituire il PIL con un nuovo indicatore, ma da un lato, accompagnarlo a letture complementari e a set di indicatori che colgono aspetti che il PIL per sua natura non può cogliere - come per esempio l'ambiente e la società - dall'altro, approfondirne le caratteristiche, distinguendo "tra PIL e PIL", facendo emergere le informazioni presenti in esso ma non del tutto esplicitate. Noi di Symbola, con il contributo di Unioncamere e la partecipazione di esponenti del mondo scientifico, dell'Istituto Guglielmo Tagliacarne, e il supporto di oltre 150 esperti di settore, ma anche di rappresentanti delle principali associazioni di categoria da Confindustria, Coldiretti, CNA, Confartigianato, Confcommercio, abbiamo provato a fare esattamente questo con il PIQ, dicendo la nostra nel dibattito cinquantennale sul Post PIL, che ha nello straordinario discorso di Bob Kennedy all'Università del Kansas tenutosi il 18 marzo 1968 - riportato nella quarta di copertina del Rapporto 2009 - la sua pietra miliare. Abbiamo cercato insomma di ispirarci all'intuizione di Michelangelo, il quale sosteneva che il suo compito era togliere il superfluo dal blocco di marmo per liberare la statua che ne era imprigionata, quando abbiamo individuato quella quota del PIL che risponde a criteri di qualità e, perciò, di competitività.
È corretto dire che indicatori parziali o superati suggeriscono politiche economiche inadeguate o insufficienti?
Certo, lo abbiamo del resto riscontrato nell'incapacità di tanti economisti e di tante agenzie prestigiose di leggere i processi in atto e anche le tendenze dell'economia. Nel gennaio 2006 il capo della ricerca della Goldman Sachs, Jim O'Neill, in una conferenza stampa al Forum di Davos, sentenziò la fine dei giochi per l'Italia sostenendo che le restavano solo "il cibo e un po' di calcio". Peccato che da allora, prima della crisi in corso, le nostre esportazioni sono cresciute di oltre il 40% anche nei settori più tradizionali e che, nel 2008, l'Italia abbia raggiunto la sua più alta quota di mercato nell'export complessivo di manufatti dei Paesi del G-6. La Goldman Sachs, ma anche la Merril Lynch, non avevano capito che la bassa crescita del PIL italiano negli anni passati è stata dovuta soprattutto al ritardo in settori importati come l'investimento in ricerca o l'efficienza della burocrazia, al peso dell'economia in nero e illegale, al ritardo crescente del Sud, alla debolezza del mercato interno frutto dell'accresciuta diseguaglianza nel reddito. Evidentemente c'era e c'è tuttora bisogno di guardare l'economia anche con occhi diversi. Il PIQ fa questo: fornisce l'occasione per rileggere quello che per anni le statistiche internazionali non hanno saputo cogliere, una trasformazione del nostro sistema produttivo nel segno della qualità tutt'oggi ancora sottovalutata.
Secondo il PIQ la nostra qualità della vita non necessariamente migliora "davvero" quando l'economia cresce del 2 o 3%. Perché e da quali fattori dipende la qualità della vita?
Sappiamo che esiste un nesso fra ricchezza e felicità, ma che non sempre la crescita dell'una equivale a un incremento dell'altra, poiché il miglioramento della qualità della vita dipende anche da altri fattori. Con il PIQ abbiamo provato a isolare nel Pil quella parte di ricchezza legata al tema della qualità, intesa sia come capitale umano, sia come dote intrinseca ai prodotti, togliendo dal Prodotto Interno Lordo quanto non è essenziale. Lo scopo era approdare ad un indicatore che ci aiutasse a ragionare sul tipo di economia di cui abbiamo bisogno. Nel segno della qualità si tengono assieme sia la capacità dell'economia di rispondere alle grandi sfide aperte dai temi ambientali, sia la competitività stessa della nostra economia. L'Italia è forte nel mondo se fa delle cose particolari, se - come sostiene Carlo Maria Cipolla «produce all'ombra dei campanili cose che piacciono al mondo». La qualità, insomma, è senz'altro una delle chiavi più importanti per leggere l'Italia del futuro. Un esempio riuscito di quanto la qualità italiana sia vincente è, ad esempio, il successo del padiglione italiano a Shangai, secondo molti il più visitato dopo quello cinese. Oltre ad essere realizzato molto bene, esso ha alla base l'idea vincente di tenere assieme vari aspetti che rappresentano la complessità e la ricchezza del nostro Paese in un'ottica positiva. Nel padiglione sono in mostra l'hi-tech, i vini, la Ferrari, il made in Italy tradizionale: una sintesi perfetta di un Paese che accetta le sfide della modernità senza perdere la propria anima e il proprio legame a doppio nodo con il territorio. Ecco, per noi il Piq è uno strumento per misurare anche questa nostra "naturale" forza che vorremmo diventasse un faro per le scelte del futuro.
E le aziende, in che modo possono contribuire al benessere non solo economico di una comunità?
In Italia non credo ci sia distanza tra ciò che le aziende devono fare per garantirsi un futuro stabile e competitivo e ciò che, invece, devono mettere in campo per rimanere legati alla comunità e al territorio di appartenenza. Le sfide della qualità, della green economy, della responsabilità sociale e territoriale delle imprese sono fondamentali anche per migliorare la nostra competitività. Come recita un brano della Costituzione di Siena del 1309: «chi governa deve avere a cuore massimamente la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e dei cittadini». In queste tre righe c'è una solida base di partenza da cui dovremmo ripartire, c'è l'idea del buon governo, dell'accoglienza, dell'inclusione, del marketing territoriale. Con l'apporto di tutte le forze sane del Paese dovremmo lavorare per un'economia che - coltivando i propri interessi - sia capace di produrre un benessere generale.
Secondo lei un Paese può dirsi davvero ricco se…
Il nostro Paese ha un grande bisogno di essere messo in rete, raccontato, rappresentato per quello che è, di riconoscersi in un progetto comune, quello della qualità, per essere più forte. Mi piace immaginare che la ricchezza della nostra Italia possa essere data sì dall'accettare le sfide del futuro, ma di farlo senza perdere la propria anima.
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