Tra crisi e futuro
Il Sud vuole ripartire
I territori più dinamici sono già pronti a cogliere i frutti di un cambio di scenario in positivo; il Mezzogiorno, invece, fa i conti ancora con i suoi atavici problemi strutturali
«Senza l'industria in senso stretto, non sarà possibile colmare il divario tra
il Mezzogiorno, l'Italia
e il resto d'Europa.
Ma la sensazione è che
il tempo per recuperare
il terreno perduto
sia davvero pochissimo»
Agostino gallozzi, Presidente Confindustria Salerno
Da più parti si dichiara che la grande crisi è avviata alla conclusione. I segnali, sebbene timidi, si avvertono per lo più a livello internazionale e nel Nord del Paese, ma nel nostro Mezzogiorno tutto appare più lento, difficile, complicato. Anzi, si ha la percezione che anche la seconda parte del 2010 nasconda moltissime insidie, soprattutto dal punto di vista della ricaduta occupazionale conseguente alle ristrutturazioni aziendali in corso. La verità è che i territori più dinamici stanno già cogliendo i frutti di un cambio di scenario inevitabile dopo mesi e mesi di difficoltà; mentre quelli più periferici rispetto all'economia mondiale stentano a ricollocarsi su mercati profondamente mutati negli ultimi anni. I vecchi problemi strutturali permangono e, naturalmente, aggravano la "corsa" ad agganciare i trend positivi che prima o poi si paleseranno anche nel meridione d'Italia. Tra i problemi principali da affrontare è sempre più centrale l'incentivazione dei processi di aggregazione del tessuto aziendale. La strategia dell'internazionalizzazione dovrà essere accompagnata da una chiara visione dei mercati di sbocco e dall'individuazione di strumenti di marketing adeguati che difficilmente le singole aziende - anche in ragione, nella maggior parte dei casi, delle ridotte dimensioni - possono mettere in campo. Gran parte di questo lavoro fino ad oggi non è stato svolto non solo per la mancanza di competenze e di responsabilità del versante politico-istituzionale. La questione è molto più ampia e riguarda tutti i soggetti in campo sul territorio. Ed è una questione che investe l'intero Mezzogiorno. É un problema che si può provare a sintetizzare nella carenza di capitale sociale. La nozione di capitale sociale fa perno sull'idea che le scelte economiche siano influenzate dalla disponibilità di risorse non solo finanziarie, ma anche sociali, e in particolare dalle cosiddette "reti di relazioni". Di per sé, il capitale sociale non ha connotazioni né positive, né negative. Per restare al caso italiano, in diverse regioni del Centro-Nord le reti sociali hanno favorito lo sviluppo di sistemi locali di piccola impresa, mentre nel Sud hanno alimentato prevalentemente forme di redistribuzione politico-clientelare. Il vero banco di prova, quindi, per tutti gli attori sociali ed istituzionali si configura nell'effettiva capacità di abbattere il gap con altri territori in termini di diseconomie reali: malaburocrazia; infrastrutture e reti di servizi addirittura dannose - altro che a supporto - per gli insediamenti produttivi; scarso impatto di politiche di sviluppo premianti per chi sceglie di rimanere al Sud. Non è un discorso né di breve, né di medio periodo. Ma resta l'unico che può stimolare la nascita di una reale politica industriale incentrata sul recupero e sulla valorizzazione del manifatturiero. Senza l'industria in senso stretto non sarà possibile colmare il divario tra il Mezzogiorno, l'Italia ed il resto d'Europa. Ma la sensazione è che il tempo per recuperare il terreno perduto sia davvero pochissimo. |