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  Dicembre 2012

Articoli n° 06
Luglio 2010
 
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SALUTE

di Raffaella Venerando

Nuove metodiche in diabetologia/1

Il Presidente dell'ADI Giuseppe Fatati ci racconta i passi in avanti fatti dalla scienza per contrastare questa sempre più diffusa patologia

Giuseppe Fatati
Presidente Associazione Italiana
di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI)


Nell'ultimo secolo si è registrato un drammatico incremento mondiale nell'incidenza del diabete, soprattutto di quello tipo 2 che viene definito anche diabete non insulino dipendente. Il diabete di tipo 2 è un complesso disordine metabolico caratterizzato da iperglicemia associata ad una deficienza relativa di secrezione insulinica accompagnata ad una ridotta risposta all'azione della stessa insulina da parte dei tessuti interessati (insulinoresistenza). L'aumento nella prevalenza del diabete è diventato un pesante problema di salute sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Nelle società occidentali sono interessati soprattutto i soggetti appartenenti alle classi sociali più basse, il contrario avviene in quelle in via di sviluppo. L'importanza dell'emergenza che ci troviamo ad affrontare non è legata solo alla patologia, in quanto tale, ma alla associazione con l'obesità e i rischi cardiovascolari quali ipertensione e dislipidemie. In pratica i soggetti affetti da tale patologia hanno un profilo lipidico aterogeno, ossia delle alterazioni del metabolismo dei grassi che favoriscono i processi aterosclerotici. Negli ultimi venti anni è stato osservato un aumento anche dell'incidenza del diabete mellito tipo1 (DMT1) o insulinodipendente in molte aree geografiche del Mondo, con maggiore evidenza nei Paesi in via di sviluppo e nelle fasce d'età più giovani. Spesso, anche in queste pagine, abbiamo parlato dell'importanza dell'alimentazione, dello stile di vita e dei farmaci che sono i cardini del trattamento. Oggi vogliamo interessarci di quelle che possono essere considerate innovazioni.
***

Dottor Fatati, quale è secondo lei il più grande progresso nella cura del diabete?
Personalmente sono d'accordo con quanti affermano che una vera e propria rivoluzione nella cura del diabete, come e forse più di tanti progressi farmacologici, è avvenuta all'inizio degli anni '80 ed è consistita nello sviluppo di tecniche pratiche e affidabili per la misura della glicemia capillare. Il primo prodotto, in commercio, era una striscia reattiva che cambiava colore in proporzione alla reazione fra glucosio nel sangue e un enzima, la glucosio-ossidasi, presente sulla striscia stessa che doveva essere lavata e il colore confrontato con una scala colorimetrica. Poi venne prodotto e diffuso un lettore elettronico che effettuava una lettura colorimetrica strumentale: pesava circa un Kg, andava collegato alle rete elettrica e calibrato. Oggi l'automonitoraggio e il successivo autocontrollo della glicemia è una metodica semplice e pratica grazie alla riduzione delle dimensioni degli apparecchi (pochi centimetri e pochi grammi di peso), del volume di sangue (pochi microlitri) e dei tempi richiesti per avere il risultato (pochi secondi). É anche sempre più affidabile grazie alla riduzione delle variabili legate all'operatore (non si calibra più) ed è sempre più semplicemente comunicabile, grazie alle memorie dei lettori che registrano un elevato numero di misurazioni con data e ora, e consentono di trasferire i dati per via elettronica.

Ma che cosa si intende per automonitoraggio?
Il termine automonitoraggio si riferisce alla misurazione delle glicemie capillari effettuate dalla persona con diabete o dai suoi familiari.

Che differenza c'è tra automonitoraggio e autocontrollo?
Il termine autocontrollo, in senso stretto, dovrebbe essere riferito all'interpretazione dei risultati e ai conseguenti interventi terapeutici volti a migliorarli (modifiche dell'alimentazione, dell'attività fisica e/o dei farmaci), che le persone con diabete devono essere educate a effettuare in collaborazione con il personale sanitario. Nella pratica i due termini vengono spesso utilizzati come sinonimi e abitualmente ci si riferisce all'automonitoraggio usando il termine autocontrollo nel senso di autoverifica domiciliare della glicemia e successivi aggiustamenti. L'autocontrollo quotidiano viene considerato metodica indispensabile nella persona con diabete tipo 1, cioè insulinodipendente, per ridurre il rischio di complicanze croniche che dipendono essenzialmente dal grado del controllo metabolico. É stato, inoltre, evidenziato come la variabilità glicemica possa attivare lo stress ossidativo per cui è importante mettere in campo una strategia diagnostico-terapeutica quanto più affidabile possibile, in grado di ridurre al minimo le diverse componenti della "dysglycemia".
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