Le diverse tipologie di accordi stragiudiziali nella riforma
Le diverse tipologie di accordi stragiudiziali nella riforma
Giancarmine VITOLO
Il DL 35/2005 introduce due importanti strumenti per una più efficace gestione
della crisi di impresa
Una delle novità di maggior rilievo, apportate dal primo intervento di modifica della legge fallimentare (DL n. 35/2005), è costituita dall'introduzione di strumenti dal carattere prevalentemente negoziale per consentire in sede stragiudiziale una più efficiente gestione della crisi di impresa. Il DL n. 35/2005 ha fortemente assecondato l'esigenza di prevedere una tutela normativa in favore delle soluzioni privatistiche, alla cui realizzazione, peraltro, gli operatori erano già pervenuti in sede di autoregolamentazione. Oltre ad un concordato preventivo completamente rivisto nei suoi presupposti, la definizione di un intervento negoziale per la gestione e il superamento dello stato di crisi consta di due nuove procedure regolate dal DL n. 35/2005: gli accordi di ristrutturazione dei debiti, la cui disciplina è interamente contenuta nel nuovo art. 182 -bis LF; il piano per il risanamento della esposizione debitoria, che il nuovo terzo comma, lett. d), dell'art. 67 LF annovera tra gli atti nei confronti dei quali non trova applicazione la disciplina dell'azione revocatoria.
Accordi di ristrutturazione dei debiti
L'art. 182-bisLF, rubricato "Accordi di ristrutturazione dei debiti", è collocato tra le norme del novellato concordato preventivo. La lettera della legge non chiarisce, tuttavia, se la disciplina degli accordi di ristrutturazione di cui all'art. 182- bis LF costituisca una modalità "semplificata" del concordato preventivo ovvero una procedura alternativa, dotata di una sua autonomia. La collocazione degli accordi ex art. 182-bis accanto alla disciplina del concordato preventivo e dell'amministrazione controllata - procedura abrogata ad opera dell'art. 147 dello schema di decreto - ha offerto lo spunto per considerare gli accordi in esame alla stregua di una procedura ulteriore, che il legislatore ha affiancato alle procedure concorsuali minori.
Requisiti soggettivi e oggettivi
In merito al presupposto soggettivo, l'art. 182-bis in apertura precisa che può accedere alla relativa procedura "il debitore". Nonostante la difformità del termine rispetto a quello di imprenditore, utilizzato artt. 1 e ss. del novellato RD n. 267/1942, l'orientamento più diffuso tra i primi interpreti sembra ritenere che il presupposto soggettivo sia lo stesso tanto per l'accesso agli accordi di cui all'art. 182-bis quanto per il fallimento. Possono, pertanto, accedere a tale procedura gli imprenditori debitori che vogliano prevenire lo stato di insolvenza e la relativa apertura della procedura concorsuale. Il nuovo art. 1 LF fissa però nuovi limiti dimensionali per individuare le imprese soggette a procedura concorsuale. Per quel che riguarda, invece, il presupposto oggettivo, la norma in esame non prevede un criterio specifico, analogamente a quanto avviene nella disciplina del fallimento e del concordato preventivo. Nel silenzio della legge, la maggior parte degli interpreti ha ritenuto che il legislatore abbia voluto implicitamente riferirsi allo "stato di crisi", introdotto, del tutto innovativamente, nell'ambito della novellata disciplina del concordato preventivo. La norma nulla dice anche in merito al contenuto dell'accordo, lasciando alla piena autonomia delle parti la definizione del relativo contenuto. A titolo meramente esemplificativo, l'accordo potrebbe contenere, dal punto di vista del creditore: dilazioni di pagamento, rinunce totali o parziali agli interessi o ad una parte del capitale, erogazione di nuova finanza; conversione di crediti in capitale; mentre dal punto di vista del debitore: la prosecuzione dell'attività in capo al debitore o il suo affidamento ad un terzo; la cessione parziale dei beni di impresa; l'autofinanziamento. Per quanto riguarda il raggiungimento della percentuale dei creditori consenzienti, la norma in commento si limita a prevedere che questa deve essere pari "almeno al 60%", senza, però, definire i caratteri soggettivi e le tipologie di creditori. Anche relativamente a questo profilo, il legislatore ha evitato ogni indicazione, riservando all'autonomia delle parti le modalità di raggiungimento della percentuale.
Piani di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d) Il legislatore della riforma ha poi previsto un'ulteriore tipologia, dal carattere esclusivamente privatistico, la cui disciplina è contenuta nell'ambito delle norme sull'azione revocatoria. L'art. 67, co. 3, lett. d), stabilisce che sono esenti da revocatoria fallimentare "gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del debitore, purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata ai sensi dell'art. 2501-bis, 4°, c.c.". La disciplina contenuta nell'art. 67, co. 3, lett. d), ha l'esplicita finalità di incentivare la formulazione di progetti di risanamento dell'impresa. É quindi uno strumento che può presentare indubbie utilità all'imprenditore e va ad affiancarsi alle altre procedure per la gestione e la regolamentazione della crisi di impresa. Dal punto di vista strutturale, i piani di risanamento presentano significative divergenze sia dalla disciplina del concordato preventivo, sia degli accordi di ristrutturazione. Tali piani non richiedono, infatti, né una soglia quantitativa minima di adesione - e dunque di consenso da parte dei creditori - né l'omologazione del tribunale. Unico elemento di comunanza è l'attestazione dell'esperto e l'esenzione dell'azione revocatoria. Merita, infine, di essere osservato che il piano di risanamento di cui al novellato art. 67, co. 3, lett. d), non presenta, nel corso del suo svolgimento, alcun elemento che comporti un temporaneo divieto da parte dei creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore.
Requisiti soggettivi e oggettivi In merito al presupposto soggettivo, vanno segnalate due diverse impostazioni. Mentre alcuni autori hanno sostenuto che, in ragione dell'esenzione dall'ambito di operatività dell'azione revocatoria, a tali accordi dovrebbero ricorrere i soli imprenditori commerciali non piccoli, che intendono prevenire l'apertura di una eventuale e successiva procedura concorsuale, altri interpreti hanno invece sostenuto, in forza del carattere contrattuale che connota l'istituto in esame e della conseguenziale applicazione dei principi di cui agli artt. 1322 e 1324 c.c.., la possibile applicazione da parte di qualsiasi tipologia di imprenditore, anche estranea alla concorsualità di cui al RD n. 267/1942. Con riferimento, invece, al presupposto oggettivo, la norma si riferisce al "risanamento della esposizione debitoria dell'impresa" e al "riequilibrio della esposizione debitoria".
Dal punto di vista aziendalistico, il risanamento dell'esposizione debitoria equivale ad una riduzione della entità dei debiti, ovvero ad una rinegoziazione delle relative scadenze, idonea a riportare l'impresa all'equilibrio finanziario. Come per gli accordi di ristrutturazione, il legislatore ha lasciato ampia libertà nella definizione del contenuto del piano. É chiaro che, anche in questo caso, le modalità attraverso le quali raggiungere tale risanamento dell'esposizione debitoria sono molteplici e possono essere raggruppate in due aree di intervento. A titolo esemplificativo, si può procedere sotto il profilo dei creditori e, quindi, sul lato esterno: a una ricapitalizzazione della società, mediante apporti di patrimonio netto; alla conversione di crediti in capitale; alla remissione dei debiti o loro pagamento in percentuale; alla erogazione di nuova finanza, anche attraverso il riposizionamento dei debiti a breve in debiti a breve o a lungo termine. Sotto il profilo interno, invece, si può avere: la cessione di beni strumentali non strategici; l'adozione di tutte quelle scelte imprenditoriali, quali, ad es., la riduzione dei costi di produzione, l'autofinanziamento dell'impresa.
L'unico elemento che il legislatore richiede affinché gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione del piano non vengano travolte da una futura ed eventuale azione revocatoria è che questo sia "attestato" da un esperto, che deve garantire l'idoneità del piano a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria. É quindi importante la scelta di un soggetto che sia in grado di realizzare un'analisi circa la ragionevolezza del piano a garantire il richiesto risanamento e riequilibrio dell'esposizione debitoria.
La norma prevede che l'esperto non può che essere scelto tra i revisori contabili e le società di revisione iscritte nell'apposito albo tenuto presso il Ministero della Giustizia, salvo che la società non sia quotata in mercati regolamentati, nel qual caso è obbligatoria la nomina di una società di revisione iscritta nell'albo speciale. Per le sole società chiuse la norma prevede un'ulteriore distinzione, in quanto la designazione dell'esperto è rimessa al tribunale del luogo in cui l'impresa ha sede, se si tratta di una società per azioni o in accomandata per azioni, mentre, in tutti gli altri casi, la scelta è lasciata alla libera iniziativa del debitore stesso.
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