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  Dicembre 2012

Articoli n?09
NOVEMBRE 2012
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SUD, occorrono interventi ordinari più intensi

di Raffaella Venerando


LUCA BIANCHI
Vicedirettore Svimez

Dottor Bianchi, partiamo da un dato davvero poco incoraggiante emerso dal Rapporto Svimez 2012: il Sud rischia di vedere perduti interi settori di industria. È davvero così allarmante la situazione?
La crisi ha messo drammaticamente in risalto gli squilibri esistenti nella struttura produttiva italiana, specializzata in settori con basse opportunità di crescita e polverizzata in piccole e piccolissime imprese, soprattutto al Sud. I processi di aggiustamento iniziati prima della crisi sono ancora lenti, e lo sforzo per aumentare la produttività ancora insufficiente. Esistono quindi secondo noi consistenti rischi che si inneschino processi di desertificazione industriale che possono far cadere l'intera economia meridionale. Abbiamo ben presente le vicende dell'ILVA di Taranto, di Termini Imprese, dell'IRISBUS e della FIAT. In più al Sud sono troppo poche le imprese competitive sui mercati internazionali e con una forte propensione all'export, e troppo diffusa la dipendenza delle imprese dagli appalti pubblici, che spesso tardano a essere pagati. Non a caso in quattro anni, tra il 2007 e il 2011, gli occupati al Sud nell'industria in senso stretto sono scesi di oltre 100mila unità (-11%), a fronte di una riduzione pari alla metà per intensità nel Centro-Nord (-5,5%).

Quali i principali ostacoli oggi e quali le imminenti sfide per le nostre imprese?
Occorre sostenere le imprese di mercato impedendo che vengano uccise da carenzadi liquidità, schiacciate dalla morsa di un debitore insolvente (spesso lo Stato) e di un sistema di credito sempre più irrigidito dai vincoli imposti dalla crisi. Se dunque è il Sud che ha bisogno più di altre aree di riforme strutturali che rompano i meccanismi di automantenimento di una società bloccata che consolida le rendite e deprime lo sviluppo, i tempi della crisi richiedono anche interventi più diretti e di breve periodo, in grado di mantenere i posti di lavoro ma anche di avviare processi di riqualificazione produttiva. Da un lato quindi innovare i processi produttivi, dall'altro, invece, promuovere e sostenere le imprese che resistono alle pressioni della criminalità organizzata (appalti truccati, imposizione di fornitori, ecc.) con misure specifiche, come quella di Antonello Montante, Presidente di Confindustria Sicilia.

A cascata, salgono anche le cifre relative alla disoccupazione…
Sì. In tre anni, tra il 2008 e il 2011, si sono perse nel nostro Paese 437mila unità di lavoro, con una concentrazione territoriale impressionante: -266mila nel solo Mezzogiorno. In altri termini, in un'area in cui sono presenti meno del 30% degli occupati italiani si è realizzato quasi il 60% di perdite. Il tutto in un'area dove il tasso di disoccupazione ufficiale già molto alto, il 13,6% nel 2011 contro il 6,3% del Centro-Nord, rileva però una realtà in parte alterata. Tenendo infatti conto dei disoccupati impliciti, di coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti l'indagine, il tasso di disoccupazione effettivo nel Centro-Nord sfiorerebbe la soglia del 10% e al Sud arriverebbe al 25,6%. Una situazione esplosiva che necessita di interventi puntuali. E di lavoro bisogna parlare al Sud, ancora prima che altrove per entrare in sintonia con il pensiero prevalente dei cittadini. É ovvio che non si crea lavoro soltanto immettendo soldi pubblici che, quando spesi male, hanno fatto molti danni nella storia meridionale. Ma un'azione di rilancio del Sud non può prescindere da una visione che metta insieme la strategia e le risorse per metterla in atto. Sui servizi essenziali, sulle infrastrutture, il gap ancora presente tra le due aree richiede una maggiore intensità degli interventi ordinari, come ha più volte sottolineato la Banca d'Italia, mentre invece si continua a fare il contrario. Al di là dell'azione di rimodulazione della spesa dei Fondi Strutturali del Ministro Barca, quello che ci si aspetta è la proposizione di un progetto per il Paese nel campo della infrastrutturazione, nell'offerta di servizi adeguati a cittadini e imprese, nella politica per l'innovazione e la ricerca in grado di ridurre le differenze nelle opportunità.

La colpa è anche delle manovre restrittive di finanza pubblica dell'ultimo biennio? Al Mezzogiorno pesano di più? È giusto dire che la spending review al Sud ha impatti più gravi? Se sì, perché?
Secondo stime SVIMEZ effettuate su documenti ufficiali di finanza pubblica, compresa la spending review dello scorso luglio, l'effetto depressivo sul PIL sarebbe nel 2012 dell'1,1% a livello nazionale, ma assai differente a livello territoriale: 8 decimi di punto nelle regioni centro settentrionali e 2,1 punti percentuali in quelle meridionali. A pesare sull'impatto delle manovre al Sud è per circa il 75% la caduta degli investimenti, responsabile di un calo del PIL di 1,7 punti percentuali sui complessivi 2,1 punti. Il calo è dovuto soprattutto al forte peso dei tagli operati dal precedente Governo al Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS). Va segnalato che il punto non è tanto la spending review ma la debolezza dell'azione di promozione della crescita. La difficile situazione economica richiede infatti, accanto alle misure di risanamento, la capacità statale e regionale di delineare e perseguire una strategia per le aree più deboli. É vero che al Sud a fronte di una pessima qualità dei servizi ai cittadini sono presenti sacche di spesa inefficiente e forme di protezionismo politico-clientelare che vanno aggredite con severità e durezza, ma è anche vero che tagliare le risorse a sostegno dello sviluppo ha effetti recessivi ben più pesanti.

La SVIMEZ ha proposto una modifica delle regole europee che consenta di escludere la spesa per investimenti dal Patto di stabilità. Se passasse questa linea, quali vantaggi ne potrebbero trarre le aree meridionali? Le Regioni avrebbero anche maggiore facilità nello spendere i fondi europei?

Occorre prima di tutto al Sud sostenere con forza i processi di accumulazione di capitale produttivo, orientando e concentrando gli interventi infrastrutturali e di politica industriale grazie anche alle risorse ancora disponibili dei Fondi strutturali. Ma occorre soprattutto trovare spazi di intervento per la spesa in conto capitale, con una modifica delle regole europee. È di cruciale importanza, per la SVIMEZ, una diversa considerazione della spesa per investimenti nel Patto di Stabilità europeo, come peraltro più volte dichiarato dallo stesso Presidente del Consiglio, Mario Monti, a sostegno della cosiddetta golden rule. In questo modo nel medio periodo si renderebbe il processo di risanamento compatibile con l'esigenza di non aggravare la dinamica recessiva in corso, evitando i rischi di derive greche.

Da tempo si invoca una nuova politica industriale specie per il nostro Paese.
Su quali pilastri dovrà fondarsi per portare al superamento della crisi che ancora tiene ostaggio le imprese e i cittadini?

Salvaguardia e rilancio dell'industria manifatturiera, riqualificazione delle aree urbane, investimenti per la tutela ambientale, sostegno all'inventiva dei giovani imprenditori, adeguamento delle reti digitali, sostegno ai processi di internazionalizzazione, adeguamento delle strutture scolastiche: da questo bisogna partire per rilanciare la crescita. Il territorio meridionale è ricco di esperienze positive, di imprese innovative in grado di competere sui mercati internazionali, di amministrazioni che spendono bene le risorse disponibili, di laboratori di ricerca riconosciuti nel mondo. É a loro che bisogna stare vicini per impedire che vengano soffocate da un contesto sempre più sfavorevole.

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