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  Dicembre 2012

Articoli n?09
NOVEMBRE 2012
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BOCCIA: «Il Paese e le sue imprese hanno bisogno di prospettiva»

di Raffaella Venerando


VINCENZO BOCCIA
Presidente Piccola Industria Confindustria


Presidente Boccia, impossibile non avviare il ragionamento a partire dalla crisi economica che morde ancora e che ha una sua specificità nazionale. Lei a Prato – ma anche prima di allora – ha individuato la causa numero uno: la totale mancanza di una efficace e organica politica economica nazionale che, nei fatti, ha bloccato la crescita del Paese.
È così. Nonostante il campanello d'allarme suonasse già da tempo – 15 anni di bassa crescita infatti non sono pochi – le classi dirigenti non hanno approfondito a sufficienza le cause di questo ritardo o, quando anche lo hanno fatto, non sono state in grado di avviare le riforme necessarie per invertire la tendenza, ovvero agire sul tax rate, il costo dell'energia, il costo del lavoro per unità di prodotto e i tassi di interesse. È mancata una visione d'insieme sul futuro del Paese, una progettualità vera che a partire dalle sue specificità ne valorizzasse al massimo i punti di forza, quale ad esempio la forte vocazione manifatturiera.

Nell'ultimo biennio il Governo ha avviato più di una manovra restrittiva di finanza pubblica. Quale è il giudizio complessivo degli imprenditori?
Il solo rigore non basta. Siamo consapevoli che l'anno scorso il Paese fosse a un passo dal precipizio e che occorresse dare un segnale forte in termini di serietà e disciplina sui conti pubblici. Allo stesso tempo, però, dobbiamo ricordare che le manovre di austerità stanno producendo significative conseguenze. Il nostro Centro Studi, ad esempio, ha stimato per quest'anno un calo dei consumi delle famiglie del 3,2% e un calo degli investimenti da parte delle imprese pari all'8,8%. Sono livelli che davvero non si vedevano da molto tempo.




Veniamo al dettaglio. Capitolo 1: spesa pubblica. Quanto spende il Paese, per quali funzioni e quali sarebbero i nodi su cui intervenire?
Nel 2009 secondo i calcoli dell'Istituto Bruno Leoni la spesa pubblica in Italia è stata pari a 799 miliardi di euro. Le voci che pesano di più sono le spese per la protezione sociale, quelle per i servizi generali e la sanità. Rispetto alla Germania - che rappresenta il nostro benchmark - ad oggi spendiamo nel complesso circa il 4% in più, ma a preoccuparci è soprattutto la qualità della spesa.
È difficile, infatti, negare che esistano sprechi nel momento in cui per esempio i costi standard delle prestazioni sanitarie presentano significative differenze nelle diverse regioni. Se tutte si comportassero come la Lombardia, il Veneto e le Marche riusciremmo già a risparmiare 4 miliardi di euro, ovvero lo 0,2% del Prodotto Interno Lordo.
Nel caso dell'Italia, poi, la spesa pubblica è gravata dalla spesa per interessi pagata sull'enorme debito pubblico. A Prato abbiamo sottolineato come occorra svolgere una duplice azione, da un lato abbattendo lo stock accumulato mediante un'attenta politica di dismissioni, dall'altro proseguendo con tenacia sulla vie delle riforme, unico modo per riconquistare credibilità e quindi rendere meno costoso il collocamento dei nostri titoli. Questa strategia sembra già dare frutto se pensiamo al successo dei Btp italiani nelle scorse settimane.

Una parola chiave secondo lei spesso trascurata è "controllo". Quali sono le conseguenze di un atteggiamento simile?
Lo spreco di risorse, ancora più intollerabile in una fase in cui tutto il Paese, imprese e cittadini, affrontano grandi sacrifici. Per questo al Forum di Prato abbiamo lanciato la proposta provocatoria – ma poi non tanto – di istituire un'Agenzia delle Uscite, che si adoperi per controllare come viene speso il denaro pubblico.

Capitolo 2: la pressione fiscale italiana, a suo modo unica. Quali sul tema le richieste e le soluzioni proposte dalla Piccola Industria?
Il peso del fisco è talmente elevato che la stessa Corte dei Conti ha lanciato l'allarme sul pericolo di un "corto circuito rigore-crescita", che verrebbe determinato dal fatto che per il 2013 le manovre correttive previste nel Documento di economia e Finanza consistono soprattutto in aumenti di imposte e di tasse. Come dicevamo prima, il solo rigore non basta. Piccola Industria, ad esempio, è favorevole all'eliminazione degli incentivi alle imprese purché a questa azione si affianchi la contestuale riduzione dell'Irap, l'imposta a nostro avviso più iniqua perché "punisce" chi dà più lavoro. Rilanciamo inoltre la proposta di lasciare il TFR inoptato in azienda, invece che destinarlo al Fondo Inps, per quelle realtà che superano i 50 dipendenti.

Disoccupazione: dall'ultimo Rapporto della Svimez emergono cifre da capogiro in tema di perdita di posti di lavoro e di mancato accesso al mercato del lavoro.
A pagare sono soprattutto giovani e donne. Anche in quest'ambito la Piccola a Prato ha stimolato la discussione su alcune specifiche proposte risolutive.

Le cifre sono allarmanti perché lo stesso documento precisa come il dato ufficiale – e già alto – sul tasso di disoccupazione giovanile al Sud, pari nel 2010 al 13,6%, sia in realtà da correggere per effetto dei cosiddetti "disoccupati impliciti", ovvero coloro che non hanno cercato lavoro nei sei mesi precedenti l'indagine. Considerando questa componente, il tasso effettivo sale infatti al 25,6%.
È una situazione inaccettabile perché così facendo condanniamo il Mezzogiorno - e da lì il Paese intero - all'impoverimento e alla perdita delle sue risorse più vitali. Per contrastare la disoccupazione giovanile Piccola Industria ha lanciato due proposte: la prima è ridurre il cuneo fiscale per i primi due anni, attraverso la decontribuzione totale e aliquote più vantaggiose, per le aziende che assumono giovani con meno di 35 anni, prevedendo un premio aggiuntivo per coloro che trasformano il rapporto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato.
La seconda, che è stata già avviata in alcuni territori in via sperimentale, consiste nel consentire ai dipendenti prossimi alla pensione di lavorare part time per gli ultimi cinque anni, senza decurtazioni contributive e godendo di un anticipo della pensione, favorendo in tal modo l'ingresso dei giovani che beneficerebbero a loro volta di sgravi contributivi.

Riforma del titolo V proposta dal Governo con il disegno di legge approvato il 9 ottobre: si tratta di un ritorno alla supremazia dello Stato o di una legge che, se approvata, porterebbe importanti benefici?
È la presa di coscienza che questioni complesse, come ad esempio le scelte in materia di politica energetica, non possono essere affidate alle Regioni e, come ha ricordato il presidente Squinzi nella stessa occasione, anche negli ordinamenti federali "la clausola di supremazia dell'interesse nazionale è presente".
Ritornare, quindi, ad affrontare i problemi nella prospettiva dell'interesse generale non potrà che fare bene al Paese e alle sue imprese.

Internazionalizzazione: lei la definisce una questione di interesse nazionale.

Lo è e infatti su questo tema valgono le stesse considerazioni di prima, soprattutto quando si parla di promozione all'estero. Gli stranieri conoscono l'Italia e il Made in Italy, frammentare la politica di valorizzazione e disperdere le risorse in iniziative minori non porta benefici sul lungo termine. Per questo auspichiamo che la nuova "Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane" diventi al più presto operativa, superando ad esempio lo stallo che attualmente complica, per motivi di bilancio, la programmazione della partecipazione delle imprese alle manifestazioni internazionali.

Proviamo a chiudere con una proiezione: cosa si aspetta che accadrà al Paese su di un piano strettamente politico da qui alle prossime elezioni? Qual è il suo augurio?
Ci aspettiamo un'assunzione di responsabilità, che in questi anni è stata probabilmente il fattore più assente nella politica italiana. Un'assenza aggravata da quella che Padoa Schioppa chiamava "la veduta corta", ovvero la mancanza di progettualità e la tendenza a intervenire sotto lo stimolo dell'emergenza. Non è più tempo per queste cose e anzi non lo è mai stato. Per questo a Prato abbiamo chiesto a gran voce un cambiamento forte da parte della politica. L'aspettativa è che questo cambiamento si compia e che le forze politiche che vinceranno le prossime elezioni pongano al centro della loro azione il bene del Paese, avviando e portando a termine le riforme per renderlo di nuovo competitivo.

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