L'EUROPA VERSO UNA NUOVA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
di Raffaella Venerando
ANTONIO TAJANI
Vice Presidente della Commissione Europea Responsabile per l'Industria e l'Imprenditoria
Commissario Tajani, che momento vive l'industria europea?
Un momento difficile ma anche ricco di opportunità. Difficile perché la crisi economica dal 2008 ha avuto un pesante impatto. Tre milioni di posti di lavoro sono stati persi nell'industria manifatturiera europea e i livelli di produzione industriale restano di circa 10% sotto ai livelli pre-crisi. Alcuni settori sono stati particolarmente colpiti come l'arredamento, il tessile, il cemento o la metallurgia. Anche le dinamiche degli investimenti e degli scambi all'interno del mercato interno europeo sono poco confortanti. Ma viviamo anche una fase storica di formidabili opportunità poiché siamo all'alba di una nuova rivoluzione industriale con l'abbandono progressivo dei combustibili fossili e l'applicazione su vasta scala di nuove tecnologie produttive più pulite che porteranno sul mercato nuovi prodotti e servizi. Non è una battaglia che si decide sui costi del lavoro, ma sull'innovazione industriale e l'Europa ha le carte in regola per essere leader globale di questa nuova rivoluzione, se riusciremo a garantire le condizioni più favorevoli per gli investimenti e per l'imprenditorialità.
E quella italiana?
L'economia italiana è in forte recessione quest'anno e l'industria naturalmente ne patisce, con livelli di produzione di oltre 20 punti percentuali sotto a quelli pre-crisi. La situazione italiana è peggiore di quella media Ue anche per quanto riguarda il cruciale settore delle costruzioni. Molti analisti concordano sull'ipotesi di una debole ripresa l'anno prossimo. Evidentemente, l'Italia paga un prezzo elevato sia per il contesto internazionale ed europeo che per sue criticità interne, che rendono il Paese poco attraente per gli investimenti. L'unica componente con segno positivo in questi ultimi mesi è quella delle esportazioni, a testimonianza della competitività di moltissime imprese italiane, anche piccole e medie.
Quali i principali ostacoli oggi e quali le imminenti sfide per le nostre imprese?
La Commissione ha analizzato dettagliatamente in risultati e le politiche di competitività negli Stati membri.
Per quanto riguarda l'Italia, sono purtroppo molti i punti dolenti, ovvero quelli dove si registrano risultati inferiori alla media europea. Si tratta ad esempio degli investimenti in ricerca e sviluppo, del capitale di rischio, della banda larga, dei prezzi dell'elettricità o della qualità della regolamentazione. Tutti aspetti sui quali le autorità italiane hanno cominciato ad intervenire in questi anni ma sui quali resta ancora molto da fare per migliorare il contesto delle imprese e pertanto il potenziale di sviluppo del Paese. Un punto particolarmente critico per l'Italia è quello dei ritardi di pagamento da parte delle amministrazioni, con attese di sei mesi in media (rispetto ai due mesi circa altrove). Secondo alcune stime, addirittura il 30% dei fallimenti delle imprese in Italia sarebbe legato a ritardi di pagamento! Risulta quindi fondamentale un rapido e pieno recepimento della nuova direttiva sui ritardi di pagamento, che fissa un termine massimo di 30 giorni. Vista l'importanza del tema, è stata lanciata una campagna europea, il 5 ottobre scorso, proprio a Roma.
Da tempo si invoca una nuova politica industriale specie per il nostro Paese. Su quali pilastri dovrà fondarsi per portare al superamento della crisi che ancora tiene ostaggio le imprese e i cittadini?
Gli investimenti sono la chiave di volta per un rilancio dell'economia e dell'occupazione.
Per questo motivo, la politica industriale europea, rilanciata il 10 ottobre scorso, si focalizza su quattro pilastri. Il primo è l'innovazione, con un'attenzione particolare a quei mercati sui quali puntare per cogliere le opportunità della nuova rivoluzione industriale, come i veicoli verdi, la costruzione sostenibile o le reti intelligenti dell'energia. Il secondo pilastro è l'ulteriore sviluppo del mercato interno europeo e una maggiore internazionalizzazione delle imprese, anche al di fuori dei confini europei (vogliamo raggiungere nel medio termine una quota del 25% di Pmi che esportano fuori dall'Ue). Terzo elemento è l'accesso al credito, indispensabile per gli investimenti.
Su questo fronte, bisogna in particolare utilizzare al meglio la nuova capacità di prestito della Banca europea degli investimento, che è stata ricapitalizzata dagli Stati membri dell'Unione Europea.
Quarto pilastro, il capitale umano e le competenze, con un sistema della formazione che deve costantemente aggiornarsi e ternesi al passo con gli sviluppi tecnologici e sui mercati del lavoro. Con gli attuali livelli di disoccupazione, specie giovanile, è inaccettabile che per alcuni posti di lavoro qualificato non ci sia un'offerta adeguata.
Il presidente di Confindustria Squinzi ha dato la disponibilità delle imprese a rinunciare ai sussidi: circa trenta miliardi di euro l'anno in cambio di una riduzione delle imposte sulle imprese e sul lavoro. Condivide?
Quali benefici si otterrebbero se trovasse accoglimento questa proposta?
Condivido senz'altro l'iniziativa del presidente di Confindustria Squinzi. Anche se alcuni incentivi ben pensati e opportunamente mirati possono risultare utili, gli interventi "a pioggia" non risolvono i problemi e sarebbe molto più opportuno destinare queste risorse in una riduzione della pressione fiscale generale sulle imprese. La pressione fiscale in Italia sul lavoro è, infatti, tra le più elevate d'Europa e rischia di disincentivare gli investimenti. Si deve però aggiungere che il taglio ai sussidi non è certo l'unica via per liberare risorse: la lotta all'evasione e la riduzione dei costi della politica e dell'amministrazione sono altrettanto se non più importanti "serbatoi" dai quali attingere nuovi margini di manovra per tagliare le tasse. |