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  Dicembre 2012

Articoli n?09
NOVEMBRE 2012
MISURE CRITICHE - Home Page

di Antonello Tolve
Critico d’arte







Gli SPAZI della CRITICA

Il dibattito teorico attraverso le mostre 1980‑2010 Anni Ottanta #5


Sul finire degli anni Ottanta, mentre si delineano i primi spettri di un modello artistico che guarda con sempre maggiore interesse e insistenza al vivente – un mondo in cui, secondo Günther Anders, l'homo faber lascia il posto all'homo creator –, e mentre Lyotard si chiede se il postmoderno sia parte stessa del moderno, Jeffrey Deitch, collezionista, critico d'arte e gallerista americano, conia l'appellativo Post-Human per porre l'accento su un nuovo brano della vita umana e mostrare «un cambiamento profondo» determinato «[…] dal fatto che ognuno di noi continua ad assimilare i costanti processi tecnologici sia nel settore biologico che nel campo della comunicazione».
Le danze di questa sua riflessione si aprono nel 1992, anno in cui una mostra itinerante che reca come titolo strategico Post-Human appunto, tocca, in un anno, quattro punti cardinali del sistema dell'arte per affrontare, a partire dall'arte, un rapporto allarmante, non ancora del tutto raffreddato, «sulla convergenza tra le rapide evoluzioni nella biotecnologia e nella scienza dei computer e la rimessa in discussione dei ruoli sociali e sessuali tradizionali» che «potrebbe condurre», secondo Deitch, ad «una nuova definizione della vita umana». Si tratta di una considerazione aperta che, se da una parte «celebra», con l'inizio del post-umano, «la fine dell'umano», dall'altra mostra – attraverso la nuova concezione del figurativo espressa da una serie di autori scelti – «un mondo emergente nel quale la chirurgia plastica, la ricostruzione genetica e gli innesti di componenti elettroniche nel cervello diventano prassi comune», territori da assumere, forse in un prossimo futuro evidenzia l'autore, «come uno stadio ulteriore dell'evoluzione darwiniana dell'essere umano».
Ora, nata nel giugno del 1992 per gli spazi del FAE/Musée d'Art Contemporain de Pully/ Lausanne, la mostra viene man mano ricalibrata per il Castello di Rivoli–Torino (nel novembre del 1992), per la Deste Foundation for Contemporary Art–Athína (3 dicembre 1992/14 febbraio 1993) e, infine, per il Deichtorhallen Internationale Kunst und Fotografie–Hamburg (12 marzo/9 maggio 1993), quasi ad indicare non solo la volontà di misurarsi con luoghi e territori differenti, ma anche il desiderio di rivoluzionare gli stati generali dell'arte ed esporre, con forza, «un nuovo modo di leggere il mondo alla luce della fine dell'umanesimo ed all'alba di una nuova era in cui le biotecnologie e la manipolazione genetica» mirano a trasformare «l'uomo in un oggetto modificabile, smontabile e riassemblabile». Dennis Adams, John M. Armleder, Stephan Balkenhol, Ashley Bickerton, Taro Chiezo, Suzan Etkin, Fischli Weiss, Sylvie Fleury, Robert Gober, Damien Hirst, Martin Honert, Mike Kelley, Karen Kilimnik, Jeff Koons, Paul McCarthy, Yasumasa Morimura, Kodai Nakahara, Cady Noland, Daniel Oates, Charles Ray, Thomas Ruff, Pia Stadtbäumer, Meyer Vaisman.
Questi, alcuni degli artisti invitati per costruire un orientamento che, spinto dalla metafora tecnoide, ripercorre i sentieri della Lebensphilosophie e apre la strada al recupero d'una linea genealogica dell'umano, ad un'arte vista come organismo metamorfosante e pulsante.
Un percorso, o meglio un itinerario, quello del Post- Human, che, seppur si presenti immancabilmente frammentario e lacunoso, schiude le porte ad una riflessione che rilancia il bisogno «etico e politico di produrre nuove forme di soggettività, capaci di sottrarsi all'occupazione dei codici multipli che pure ne producono la tessitura mobile e complessa».

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