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  Dicembre 2012

Articoli n?06
Luglio 2012
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RECUPERO DEL CREDITO IVA La compensazione puÒ diventare senza limiti

APPRENDISTATO Le novitÀ alla luce del testo


RECUPERO DEL CREDITO IVA La compensazione puÒ diventare senza limiti


UNA SENTENZA LASCIA TRASPARIRE UN OBBLIGO DA PARTE DEL GIUDICE TRIBUTARIO DI PROVVEDERE ALLA "DISAPPLICAZIONE" DELLA NORMATIVA INTERNA, QUANDO QUESTA RISULTASSE PALESEMENTE IN CONTRASTO CON QUELLA COMUNITARIA


di Raffaella Venerando


MICHELE DEL CASTELLO
Dottore Commercialista e Revisore Contabile in Pescara

Con il deposito della sentenza n. 45/5/12 da parte della CTR Abruzzo si apre un nuovo spiraglio nella possibilità di compensare il proprio credito IVA senza dover rispettare alcun limite di importo massimo. In base alla precedente sentenza, infatti, il limite – stabilito dalla nostra normativa interna - alla compensazione orizzontale del credito IVA è contrario alle norme comunitarie e, pertanto, il giudice tributario interno è tenuto a disapplicarlo quando, in fase di accertamento, l'Ufficio ne invoca gli effetti. Come noto, l'articolo 34 della legge n. 388/00 stabilisce che la compensazione del credito d'imposta sia esperibile entro il limite massimo di euro 516.456.
Qualora la cvompensazione avvenga oltre il limite predetto, l'amministrazione finanziaria (risoluzione n. 452/E/08) ha imposto di regolarizzare la violazione mediante il versamento di una somma equivalente all'importo indebitamente utilizzato in compensazione, maggiorato degli interessi e con il pagamento della sanzione (articolo 13, D.lgs. 471/1997), eventualmente ridotta se il contribuente intende avvalersi dell'istituto del ravvedimento operoso.
Quanto all'eccedenza di credito disponibile, essa può essere portata in compensazione l'anno successivo oppure può essere chiesta a rimborso nei modi ordinari. Nel contenzioso oggetto di sentenza, la società accertata aveva proceduto alla compensazione del credito ben oltre il limite predetto. In fase di controllo, quindi, l'Ufficio provvede al recupero della differenza oltre a sanzioni e interessi.
In fase di contenzioso, la società eccepisce che, secondo la Corte di Giustizia dell'U.E., una norma di uno Stato membro che non permetta all'impresa una immediata fruizione (anche tramite compensazione) del totale del credito IVA, stabilendo un limite massimo e obbligandola al "riporto" ad esercizi successivi della differenza, viola la VI Direttiva CEE.
A supporto di tale tesi, la difesa della società cita ben tre Sentenze della Corte di Giustizia U.E.: la 25/10/2011 - Causa C-78/00 - Condannata la Repubblica Italiana (anche alle spese); la 10/07/2008 - Causa C-25/07 Condannata la Repubblica di Polonia e la 28/07/2011 - Causa C-274/10 Condannata la Repubblica di Ungheria (anche alle spese).
In particolare, la sentenza cita la causa 28/07/11 – C-274/10, in base alla quale l'Ungheria «…obbligando i soggetti passivi dalla cui dichiarazione fiscale emerga un'eccedenza, ai sensi dell'art. 183 della direttiva 2006/112, nel corso di un determinato periodo d'imposta, a procedere al riporto di tale eccedenza, integralmente o parzialmente, al periodo d'imposta successivo …per il fatto che, in considerazione del suddetto obbligo, taluni soggetti passivi, dalla cui dichiarazione fiscale emergano sistematicamente eccedenze, siano tenuti a effettuare più volte il riporto al periodo d'imposta successivo, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva».
Anche se la Commissione Abruzzese non la cita direttamente, va ricordato che nella sentenza 25/10/2011 - Causa C-78/00, riguardante proprio lo Stato Italiano, la stessa Corte di Giustizia ha stabilito che «le modalità di rimborso che uno Stato membro stabilisce ai sensi dell'art. 18, n. 4, della sesta direttiva devono consentire al soggetto passivo di recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del credito risultante da detta eccedenza d'imposta; ciò implica che il rimborso sia effettuato, entro un termine ragionevole, mediante pagamento con somme liquide di denaro o in un modo equivalente, dal momento che il sistema di rimborso adottato non deve far correre comunque alcun rischio finanziario al soggetto passivo».
Il tutto per chiarire a chiare lettere che uno Stato membro non può intervenire in alcun modo per limitare le modalità di recupero del credito IVA da parte di un contribuente che lo ha accumulato in maniera legittima. Contravvenire tale indirizzo significherebbe porsi in evidente contrasto con quanto ha stabilito la VI Direttiva Comunitaria dedicata al tributo (l'IVA) che, come noto, rappresenta una risorsa propria dell'Unione.
La Commissione d'appello abruzzese, nel confermare le tesi della società ricorrente, ha stabilito un principio che, se confermato in sede di legittimità, rischia di creare uno sconquasso nelle casse dell'Erario, che si è avvantaggiata non poco della disposizione contenuta nell'articolo 34 della L. n. 388/00. Nel dispositivo, infatti, la Commissione lascia trasparire un obbligo da parte del giudice tributario di provvedere alla "disapplicazione" della normativa interna, quando questa risultasse palesemente in contrasto con la normativa comunitaria.
Il tutto anche alla luce del rinnovato testo dell'articolo 117 della Costituzione, secondo cui «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
A questo punto occorrerà vedere l'orientamento che assumerà la Corte di Legittimità (la Cassazione) sul punto, anche se la questione appare – nei termini in cui essa è stata posta dal collegio tributario – inequivocabilmente chiara, lasciando spazio alle imprese per una immediata compensazione del credito IVA accumulato, travalicando ogni limite imposto ed, eventualmente, ricorrendo alla giustizia tributaria per ottenere la disapplicazione della norma interna in contrasto con quella comunitaria, gerarchicamente superiore.

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