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  Dicembre 2012

Articoli n° 07
AGOSTO/SETTEMBRE 2011
MISURE CRITICHE - Home Page

di Antonello Tolve
Critico d’arte







L'ineleganza di un MUSEO per il NovecenTO

Difficile fruizione e labirintica organizzazione delle opere per l'esposizione milanese del Palazzo dell'Arengario


Nato sotto il segno della precarietà, il Museo del Novecento di Milano - devastante trasformazione e riqualificazione del Palazzo dell'Arengario - si presenta un po' difficile da fruire e decisamente ambiguo nell'organizzazione e nell'allestimento delle opere. Il Quarto Stato (18981901) di Pellizza da Volpedo, ad esempio, è incassato in un box nero mal fatto. Tra l'altro, sul lato destro, il box è scollato dalla parete e fa entrare una luce che rovina la visione del dipinto.
L'opera è in un corridoio a serpentina che sale verso l'alto ed è posta sotto un vetro che non facilita affatto la fruizione a causa di riflessi davvero spiacevoli che si intersecano con la visione della grande tela (fortunatamente si parla soltanto di una collocazione temporanea).
Al primo piano, nella sala dedicata al Futurismo, ci sono alcune teche vuote. Cosa ci fanno verrebbe da chiedersi? Devono ospitare qualcosa o sono state dimenticate come «l'aratro in mezzo alla maggese» (per dirla con Pascoli)? Quest'incidente allestitivo propone però anche delle meravigliose opere di Fausto Melotti, Bruno Munari, Piero Manzoni e Azimut (anche se di Azimuth, la rivista, non se ne parla da nessuna parte, e nemmeno di Enrico Castellani le cui due uniche opere allestite - un Senza titolo (1958) e Superficie bianca (1971) - sono poste in enigmatica relazione a quelle di Manzoni). Prima di raggiungere il piano dedicato a Lucio Fontana (in cui è possibile ammirare la straordinaria Struttura al neon per la IX Triennale di Milano) ci sono una serie di opere - Dallo spazio totale di Mario Nigro (1954) alla Strutturazione centrifuga e centripeta (1965) di Franco Grignani - poste quasi come pezzi di arredamento in un qualunque salottino un po' deprimente. Poi c'è anche una favolosa Scultura d'ombra (2010) di Claudio Parmiggiani bagnata dal sole (probabilmente ci sono dei filtri, anche perché dopo l'estate potrebbe essere indelebilmente rovinata o ci vorrebbero un botto di soldi per restaurarla dall'ingiallimento).
Lo stesso discorso vale, tra l'altro, per un delicatissimo Licini che si trova in una piccola - ma bella - insenatura. Ma l'allestimento è stato pensato di notte a luna calante? Nell'antelucano? È possibile che nessuno si sia accorto che durante le ore di punta alcune opere - e parliamo anche di pittura - siano colpite a morte dai raggi solari? Notevole è - ma solo se si riesce a trovare la sala (meglio chiedere a qualcuno indicazioni sul braccio aggiunto di Palazzo Reale) - tutto un percorso dedicato all'arte programmata. Peccato però che lo sguardo del fruitore viva degli sbalzi temporali violentissimi tra l'universo cinetico o «gestaltico», per dirla con Argan, e la Collezione Marino Marini (ben 75 opere) che si trova in una serie di sale aperte, sulla destra del tragitto. Il primo intento del Comune di Milano, si legge nella guida al Museo, è stato quello di «presentare, in una veste permanente, un percorso d'arte del Novecento, venendo così a sanare una mancanza avvertita non solo dagli studiosi o da coloro che visitano Milano, ma in particolare dai suoi cittadini, dopo la chiusura del CIMAC nel 1998». Un percorso cronologico che pecca, tuttavia, di mancanze inconsolabili. È vero che un allestimento cronologico a grandi linee debba effettuare inevitabili tagli nel percorso espositivo, ma un museo che nasce a Milano e taglia l'autoctona - e tra l'altro importantissima - stagione del Movimento per l'Arte Concreta (il MAC, appunto) è imbarazzante. E non solo agli occhi degli addetti ai lavori. Più che luogo privilegiato della cultura a Milano, il Museo del Novecento si pone come un cortocircuito allestitivo distraente e diseducante.
Un labirinto in cui perdersi e perdere di mira il percorso storico che si è cercato di offrire anche se con scarsi risultati. Se però davvero si voleva pensare al museo più approssimativo e labirintico d'Italia, allora la scommessa è stata senz'altro vinta.

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