L'Italia industriale che VERRÀ
Sta emergendo, seppur lentamente, una voglia di "Africa" per le imprese italiane che possono così diventare partner del cambiamento socioeconomico in atto nel Mediterraneo
di Ely Szajkowicz Responsabile Informazione e Comunicazione ASSAFRICA & MEDITERRANEO-Confindustria news@assafrica.it
Per la crescita servono innovazione e ricerca, ricerca e innovazione.
É una specie di basso continuo quello che le imprese italiane da tempo si sentono ripetere.
In musica il basso continuo è una successione "orizzontale" di note di durata medio‑lunga, la cui funzione è quella di fare da base d'appoggio per gli strumenti che poi realizzano gli accordi di accompagnamento.
In poche parole è una struttura di base, grazie alla quale nella musica barocca nessuna composizione è mai uguale a se stessa.
Un po' come avviene per l'innesto di ricerca e innovazione nelle singole aziende, con un nuovo e diverso sviluppo di impresa.
Ma il basso continuo è ripetitivo.
E si finisce per non farci caso, privilegiando nell'ascolto le armonie, cioè gli accordi verticali, costruiti su di esso. Sembra la descrizione della piccola e media impresa italiana, in bilico tra la consapevolezza di dover fare sia pure con risorse finite innovazione e crescita e il
cercare di uscire dai perimetri di un sistema industriale che sta cercando di ritrovare se stesso.
La tensione aggiuntiva sul presente indubbiamente arriva dal Mediterraneo, finora teatro stabile di regimi oligarchici. Un'area in cui per lungo periodo ci siamo dimenticati che la stabilità aveva come contraltare una disoccupazione giovanile oscillante tra il 23% dell'Egitto e il 31% in Tunisia, che poi ha fatto esplodere la spinta, omogenea, della società civile sudmediterranea. I focolai tuttora aperti dimostrano chiaramente che il processo non si è esaurito.
Né potrebbe esserlo, perché i cambiamenti sociali non sono rapidi come i cambiamenti economici. Indubbiamente c'è qualcosa di anomalo nella "primavera araba", a cominciare dal fatto che è cominciata in pieno inverno. Ma, a parte i giochi di parole, la chiave di lettura dell'intero processo è l'etimologia stessa della parola "anomalo", vale a dire senza regole.
C'è infatti una vera e propria contraddizione tra
il sistema tradizionale del mondo arabo che riconosce il clan, la tribù, la famiglia, non tanto la singola persona, e la voglia dei protagonisti, giovani e meno giovani, di riprendersi non solo il loro paese ma anche il loro futuro, vero fattore comune che anima i cambiamenti in atto nelle società sud mediterranee. É una partita con la Storia, quella che si sta giocando nell'area, in cui oltre ai giocatori visibili, ci sono due giocatori occulti: la Rete e i Social Network, che attraverso il web hanno dato la spallata a Governi e Istituzioni nazionali. Il Mediterraneo è autofertilizzante, al suo interno input antichi si rigenerano e si ripropongono in forma nuova e la storia del Mediterraneo è storia di cambiamenti. Sono bastati quattro mesi per fare dell'area mediterranea il laboratorio di un nuovo assetto geopolitico, non ancora completato.
Una storia complessa fatta di talenti, persone, simboli, avvenimenti e adesso anche tecnologia. Dire Mediterraneo e dire cultura è praticamente la stessa cosa. Oggi possiamo coniare una nuova endiadi, quella tra Mediterraneo e una comunicazione "orizzontale" basata su sistema di relazioni interpersonali a mezzo delle nuove tecnologie.
Questa primavera araba sta cambiando l'uso della Rete anche laddove la democrazia già c'è. Basti per tutti l'esempio dell'imprenditore che cinguetta su Twitter dalle Assise a porte chiuse di Confindustria a maggio di quest'anno o del precario che protesta su Facebook contro i costi della politica o, ancora, l'uso avanzato e responsabile di tutti i social network da parte dell'Unità di Crisi della Farnesina per avvisare cittadini e imprese delle situazioni critiche in giro per il mondo.
Ma c'è di più. Qualcosa sta cambiando nell'atteggiamento delle imprese italiane verso l'Africa. L'altro effetto della primavera araba, anche questo del tutto inaspettato, è che ci si è resi improvvisamente conto che il Sud Mediterraneo è anche Africa.
Questa "familiarizzazione" del concetto di continente africano è sicuramente una delle componenti del fortissimo interesse emergente delle imprese italiane verso i mercati sub sahariani. Una folta e inaspettata presenza imprenditoriale a Roma alla Country Presentation Ghana organizzata dal Ministero degli Esteri il 17 maggio e altrettanto "gettonati" Gabon e Togo, gli appuntamenti organizzati in Italia da Unido, Farnesina e Assafrica & Mediterraneo. Senza contare l'Angola, un paese per il quale il Presidente
della Confindustria angolana nell'incontro a maggio con i Soci di Assafrica & Mediterraneo ha sottolineato con particolare interesse la possibilità di realizzare progetti mediante partnership pubblico‑privato (PPP), in particolare nei settori delle public utilities, della sanità, dell'educazione, delle infrastrutture di trasporto e nell'ICT, rilevando, da imprenditore, i vantaggi della nuova Legge dell'Investimento privato angolana che promuove la crescita del settore privato, tutela gli investimenti esteri e stabilisce un sistema di incentivi e facilitazioni.
Oppure, più recentemente l'Etiopia, nel corso di un incontro organizzato sempre a Roma il 19 luglio da Assafrica & Mediterraneo con l'Agenzia del Ministero della Difesa etiope, appositamente in Italia per "comprare italiano" e chiedere alle nostre imprese di "fare impresa" con loro. Un summit economico che ha evidenziato da parte dell'Etiopia un abbandono del "Cina‑low cost" e che ha fatto riempire una sala della sede di Confindustria oltre ogni aspettativa.
«Dobbiamo abbandonare l'approccio del donatore per diventare partner economici: le nostre relazioni politiche con l'Etiopia sono ad un livello maggiore di quelle economiche. L'Etiopia ha tutte le carte per essere il paese stabilizzatore dell'intera area: dobbiamo creare una nuova Italia nel Corno d'Africa», ha detto nel corso dell'incontro il rappresentante della Farnesina, annunciando una Country Promotion per l'autunno.
Un
approccio da Sistema Paese, finalmente. «Ho proposto ai Ministri dell'Unione Africana di adottare la politica europea per le piccole e medie imprese, lo Small Business Act», ha detto recentemente il Vice Presidente europeo Antonio Tajani. «Gli immigrati possono diventare piccoli imprenditori, artigiani e commercianti. E le piccole e medie imprese europee, una delle best practice dell'economia comunitaria, possono essere partner in questo cambiamento ha continuato Tajani lo sviluppo dell'Africa è una grande opportunità per l'Unione Europea».
Da parte delle imprese italiane una nuova disponibilità ad "andare", il primo vero passo per valutare mercati di sbocco non tradizionalmente "di tendenza" sta affiorando con sempre maggiore evidenza. Ma l'approccio delle imprese italiane in Africa è tuttora molto timido e lento, malgrado il grandissimo interesse che tutte le delegazioni istituzionali di questi Paesi esprimono nei confronti dell'Italia e del suo modello imprenditoriale. Colpa anche di cattivi collegamenti aerei: «Lufthansa ha aperto tre voli settimanali dalla Germania verso Luanda» ha detto il Presidente della Confindustria angolana, Josè Severino. Una nuova Italia industriale tendenzialmente globalizzata sta emergendo, sia pure lentamente.
Ma nella società "liquida" dei nostri giorni, quello che conta è la velocità. Anche per le imprese. É l'ultima chiamata per l'Italia industriale che verrà. |